Visualizzazioni totali

sabato 10 marzo 2012




TERZA RIMA 


l'entusiasmo che i lettori hanno dimostrato per la poesia, culminato negli splendidi versi di Ged, hanno convinto la redazione di "Uno e l'altro" a dare vita all'iniziativa TERZA RIMA, che inizia adesso con i primi tre endecasillabi cui chi vorrà aggiungerà i successivi e così via secondo il consueto schema dantesco. Contiamo su di voi!


Vecchio polpaccio glabro e macilento,
Che un dì fosti lanoso, irsuto e forte,
Or mi trascini fiacco, ora sei spento.

Un tempo mi portavi fino a Orte,
Che com’è noto sta vicino a Roma,
Or mi conduci massimo a La Corte.

Davvero l’epica fierezza è doma
Spezzata a terra come morto gatto
Ed assomigli sempre più a un rizoma?



3 commenti:

  1. CONTROROMANZO
    CAPITOLO 31 (forse)

    Mauro non era più Romanzo. Tal Porcu, un buzzurro mengo con catena d’oro e capelli impomatati, lo aveva fatto sloggiare mostrandogli il numeretto della sala d’attesa delle anime. Il 234987: secondo lui prima del suo. Ma Mauro, il suo, l’aveva buttato via appena arrivato nel blog. E quel tipo era minaccioso. Aveva una leppa che gli spuntava dalla tasca dei pantaloni di raso viola-segnale (RAL 4008), una cicatrice ed un berretto di rete che gli arrivava certamente fino all’omero. E forse fino al femore.
    Ma lo stato delle anime, si sa (?), non è durevole. E Mauro si ritrovò ad essere vento. Qual condizione meglio si addice ad un anima? Non è forse, il vento, anima? Non è forse anemos il nome del vento, nell’antica lingua dei più saggi tra i filosofi. Non è forse l’anemone il fiore del vento, quell’armonioso genere di piante erbacee perenni rizomatose, che conta numerose specie, caratterizzate da vistosi fiori di colore rosso, blu, bianco, rosa o viola, che sbocciano dalla primavera all'autunno, a seconda della specie? Non ha forse l’anemone rizomi molto piccoli (2-3 cm di diametro)? E, last but not least, non è forse il fiore dell’anemone più grande rispetto alle dimensioni del rizoma?
    Per tutto questo (ed altro ancora) Mauro fu vento. Ma non un vento normale. Mauro fu Maestrale. Si ritrovò di punto in bianco velocissimo a correre sul mare. E non avendo occhi pure vedeva tutto, e tutto insieme per un fronte di molti chilometri. E aveva una forza paurosa. Egli poteva muovere il mare: siccome un bimbo che, fattosi d’un tratto pensieroso sul far della sera, lasciati gli usati giochi forse per stanchezza o forse per la malinconia che il calar del sole induce sull’umana specie, ancorché ancora innocente e ignara della fatica del vivere, si lasci andare sull’orlo del vascone, ai margini dell’aia ancora profumata del lungo giorno estivo, e lì, con un frondoso ramo tratto da quercia antica, induca all’acqua ferma moto innaturale, fingendosi mitici naufragi e fiere dal mare emerse, paurose - a un tratto - al punto da fargli lasciare giuoco e ramo, per rifugiar correndo nell’ombra fresca della casa avita, dove il caldo sembiante della mamma, se non solo l’amata voce, possa fugar quell’ombra di fugace, orripilante inganno. Ecco: esattamente siccome quel bimbo lì.
    Dicevo: Mauro fu Maestrale all’improvviso. Pensate che emozione. E che paura, anche. Muoveva velocissimo, in mare aperto. E si sentiva fresco, allegro, asciutto. Davanti a lui fuggivano certe nubi gonfie di pioggia, umide e malsane. Sotto di lui, il mare urlava e biancheggiava (poteva anche vedere stormi di uccelli neri nel vespero migrar, ma solo se guardava attentamente).
    Poi all’improvviso comparvero innanzi a lui nere scogliere a dirupo. Il terrore lo colse. Viaggiava a non so quanti nodi orari e non sapeva fermarsi. Non era mai stato vento e tantomeno Maestrale. Ecco, ora… ora! L’impatto. Inevitabile. L’urto feroce, la nuova morte.
    E, invece, nulla: passava, passava! Lesto ed indenne. Tra cespugli di mirto, chessa, euforbia, lentisco, cisto villoso (qualcuno ce n’era anche glabro), ginepro rosso, orniello, olivastro, pungitopo e stracciabraghe. Si incuneava tra gli scisti, e carezzava appena Il Salottino, Acqua gelinda e frizzosa, il Cammello (o Profilo di Dante), cala Trinchetto, cala Le Brache, Cala Costantini Scala, Cala Schiaffo di Lellè, l’Isola dei Porri e Coscia di donna. Inondava rocce e caverne di schiuma bianca, scagliando forte contro quei muri neri enormi rami, anch’essi glabri, cassette di legno e galleggianti rossastri, nonché certi pezzi di grandi gomene arancioni, sporche di nero.

    RispondiElimina
  2. CONTINUA

    E l’allegria che si portava dentro contagiava uomini e bestie, scacciava le tristezze, gonfiava le vele, rianimava grabiglie ed asciugava panni. “Molla caro, molla caro” gridavano davanti a lui o, meglio, a un pezzo di lui che si era infilato nella Cala del Lupo per uscirne, come da un imbuto, più forte e rabbioso. “Catta, stavamo scuffiando!”, dicevano dietro di lui. Ma tutti erano allegri. Come più belli, come più vivi, come più forti.
    Mauro era Maestrale. E gli piaceva un bè.

    RispondiElimina
  3. Quarta terzina:

    Claudico lento, sembro quasi un matto
    Che vaga per le vie, che va ramengo
    Senza una meta; dai, facciamo un patto:

    RispondiElimina