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martedì 20 marzo 2012

ADESSO ALTRE PECORE capitolo trentotto


in copertina una foto dello stesso viaggio con l'autore a Parigi del 1984 è da allora che non ci ha messo più piede , dopo la Tour Eiffel un saltino  al Centre Pompidou.





 TRENTOTTO

Non svengo del tutto, appena ho fatto la faccia ebete Camilla mi ha mollato un uppercut micidiale, un pugno al mento sferrato dal basso verso l’alto, che ha interrotto il calo di pressione arteriosa e l’insufficiente irrorazione cerebrale evitandomi una lipotimia o addirittura una sincope.
“Hai studiato pugilato?”, le dico ancora incerto se restituire il colpo o ringraziare.
“È indispensabile se vuoi far carriera all’università”
“Andiamo da Ciocci”
Telefono a Ciocci e fisso un appuntamento immediato alla caffetteria del museo. Mentre ci andiamo Camilla si scusa dell’uppercut, dice che è l’unico modo efficace per mantenere sveglia la gente che sviene, che insomma lei ci terrebbe proprio a vedere il Musée d’Orsay, non ha voglia di perder tempo al pronto soccorso, che diamine, dice, sono a Parigi!
Ci sediamo ad aspettare gli altri, ordiniamo due decà, costosissimi.
“Perché Lucie spiegherà tutto a Ciocci?”
“Non lo so, anzi lo so, lo sai anche tu ma ti rifiuti di crederlo”
“Perché anche lei è inventata?”
“Certo, e sa che Ciocci lo è”
“Camilla…e tu ci credi?”
“No, io non credo a nulla, per questo sono barbona, resto a guardare il mondo dal mio laghetto di Villa Borghese, non mi illudo più…però le follie di Ciocci mi piacciono, mi piace la naturalezza con cui parla del suo babbo…è molto convincente…molto…e se avesse ragione?”
“Camilla…che dici? Noi siamo veri”
“Siamo veri? E cosa significa noi siamo veri? Che io e te siamo veri e Ciocci no? Mi dispiace, questo è impossibile, o lo siamo tutti o nessuno, sarò pure barbona ma ho studiato, non sono stupida…fino a ieri pensavo d’essere l’unica persona normale, credevo (e lo credo ancora) che tu hai la follia delle anime e Ciocci quella d’essere falso, adesso non so più cosa credere e allora è meglio continuare a non credere a nulla e stare a guardare…però, vedi, qualcosa proprio non quadra, Ciocci ha fatto rubare a Bertrand un libro sulle anime perché nonna vuole che lo leggi, ti rendi conto? Che significa questo? Ma la cosa più assurda è che Bertrand l’ha fatto!”
“Camilla…per favore…guarda che svengo di nuovo…”
“E io ti mollo un montante”
“Va bene, non svengo…ecco Ciocci, finalmente”
Ciocci si siede, dice che Bertrand si stava rompendo, è andato a fare i compiti.
“Hai parlato con Lucie?”
“Si, l’ho vista poco fa”
“Dove?”
“Qui al museo, adesso è andata”
“Cosa ti ha detto?”, chiedo impaziente.
“Se ve lo dico mi ridete in faccia, però posso raccontarvi una balla, che è dovuta andare dal dentista”
“Che ti ha detto?”, dico alzando la voce.
“Che non ha voglia di entrare in questa storia, ritorna nei meandri prima che sia troppo tardi, dice che non ne vale la pena dopo quello che è successo stamattina”
Provo di nuovo una sensazione di svenimento imminente, astenia marcata, obnubilamento del visus, difficoltà di mantenere la stazione eretta. Camilla mi schiaffeggia con forza fino a quando riesco a dirle basta, sto bene, pace, poi si alza in piedi e fa questo discorso qua.
“Basta, non si può andare avanti così, non fai che svenire come una mezza donnicciuola, per cosa poi? Quindi basta, godiamoci l’arte, il buon cibo e se nel frattempo spunta fuori una ganza che ti piace meglio così, chiamala pure Adelina, ma risparmiaci questa tortura”
“Scusate, avete ragione, però quello che ha detto Ciocci è tremendo…cosa dobbiamo fare? Crederci? Se ci crediamo siamo falsi tutti, se non ci crediamo chi è Lucie? E cosa sono i meandri?”
“Non dobbiamo né crederci né non crederci, dobbiamo far finta che non esiste, proprio come vuole lei, quindi propongo di cominciare tutto da capo, dal Louvre”, così dice Camilla.
“A me va benissimo”, fa Ciocci.
“Di nuovo al Louvre?”
“Certo, non abbiamo visto nulla, sei svenuto quasi subito”
“E se viene Lucie?”
“Impossibile”, fa Ciocci.
“Come fai a dirlo?”
“Perché è mia sorella”
Mi getto su Ciocci cercando di strozzarlo, Camilla mi afferra da dietro, finiamo tutti per terra e sopra di noi accorrono turisti cinesi, tedeschi, spagnoli, russi e di altre nazionalità, volano pugni, schiaffi, calci, son botte da orbi. Quando ognuno ne ha date e prese a sufficienza la rissa finalmente si placa. Intorno a noi tavoli e sedie rotte, cocci di tazze, zuccheriere, bottiglie, Ciocci per fortuna va subito dal gestore della caffetteria e sistema tutto a suo modo, gli passa diverse migliaia di euro sottratti durante la rissa. In cambio niente polizia e seccature, però dobbiamo lasciare subito il museo e non dobbiamo metterci piede nei prossimi due secoli e mezzo.
In una ventina, chi col sangue dal naso, chi con gli occhiali rotti, chi ancora zoppicando, usciamo dal museo commentando l’eroica battaglia, nessuno però ricorda perché ha picchiato o è stato picchiato. In un inglese da terza elementare decidiamo di farci una bella bevuta al pub irlandese di Rue de l’Université. Beviamo Guinness, facciamo brindisi internazionali, ormai siamo amici fraterni, poi però arriva il momento del conto e tutti, tranne noi, si accorgono d’essere al verde. Ciocci dice non vi preoccupate offro io, tira fuori un mazzo spropositato di banconote e va a pagare. A vedere quel malloppo si fanno tutti piuttosto perplessi, poi fanno due più due e intuiscono l’accaduto. Uno spagnolone tarchiato dice a Ciocci hijo de puta, un tedesco arschloch, un islandese prumphænsn, ossia peto di pollo, per quel popolo così civile un insulto gravissimo, e così via fino al punto che son tutti intorno a lui pronti a linciarlo. Ma Ciocci non si perde d’animo.
“Vi spiegherò tutto, prima però voglio ringraziarvi per avermi salvato la vita, se non foste intervenuti il mio amico mi avrebbe strozzato con indici e pollici, with forefingers and thumbs, if you know what I mean, perché il mio amico, this guy over here, se gli girano le palle può uccidere, he kills, l’ha già fatto molte volte ed è armato…fai vedere la nuova 7,65 parabellum agli amici, show your new gun”
Ciocci indica la mia tasca destra, ci metto dentro la mano e tiro fuori una P38. Sono talmente sorpreso che la alzo come se scottasse e volessi lanciarla via, ma l’indice s’è incastrato nel grilletto e parte un colpo. In meno d’un secondo sono tutti a terra, tranne Ciocci e Camilla, usciamo dal pub nel silenzio più totale, fuori ci aspetta il taxi con Bertrand alla guida.







20 commenti:

  1. Non sei più tornato a Parigi? Allora ci andiamo insieme a Pasqua, ho la presentazione di "Maintenant autres moutones" ai Deux Magots, lo pubblica Gallimard.

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  2. Poi possiamo prendere il tunnel e andare a Londra, ho la presentazione di "Now other sheeps" alla Royal Academy of Arts, lo pubblica Penguin Books. Piaciuta la rissa?

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  3. Lo so, volevi più sangue, magari anche un morto, ma non sono capace, forse Roscia o Ged possono scrivere un controromanzo violento (Pilon ha da fare). Io adesso parto, fino a domani non commento più, non ti preoccupare.

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  4. ma lo sai che io ho esposto alla royal accademy di londra una sedia?

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  5. ormai sono partito, in treno non ho il computer, quindi non posso né leggere né rispondere (perché non ce la fai vedere questa sedia? questo è il blog di uno scultore, cazzarola, che c'entrano i romanzi?)

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  6. Non oltrepassare la linea gialla

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  7. Mi scusi è libero?

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  8. Sa mica se ferma a Maccarese?

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  9. Lei va a Maccarese?

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  10. Non è un tipo molto loquace...

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  11. Non parlo mai con gli estranei

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  12. Ma io non sono un'estranea... non mi riconosci?

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  13. Scusate se vi disturbo mentre parlate ma è libero quell'altro posto?

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  14. Permesso...Scusate, è vostra quella pecora che sta mangiando la maniglia della mia valigia?

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  15. ecco la canzone napoletana corretta da G.R.

    L’urtema sagliuta
    (alla maniera di S. Di Giacomo)

    Chiano chiano
    mont’ a china.
    Chino chino
    saglie su.

    Mont’ a china
    da Tuleto,
    chiano chiano.
    E nun saglie cchiù.

    “Ti si’ fatt'
    vicchiariell',
    né, Pasquà,
    nun cant' cchiù?”

    Va pensanno, arrecurdanno.
    Chiano chiano e nun saglie cchiù.

    So’ vent’ann'. “E mo che d’è?
    assettatevi, Pasquale”.
    “Ma Adelina mia nun c’è?”

    “‘A vulite ‘na pizzella?”
    “Ma Adelina mia nun c’è?”
    “’A tenite ‘na scarsella?”
    “Nun ne tengo, tengo cchiù”.

    Va pensanno, arrecurdanno.
    Chiano chiano e nun saglie cchiù.

    “Mò te siento, Adelina,
    mò te parlo, parli tu?
    T’arritruovo dint’o viento
    ‘na carezza ‘a bbuo dà tu?”

    “Don Pasquà, ma ca tenite?
    Don Pasquale… oddio currite!
    Nina, Antò, Lucia, venite…
    nun respira, parla cchiù”.

    Va pensanno, arrecurdanno.
    Chiano chiano e nun saglie cchiù.

    Mò Pasquale sta int’o viento,
    da Tuleto saglie su.
    Tutt''e llacreme chiagnute
    s’è scurdate. Nulla cchiù.

    Va pensanno, arrecurdanno.
    Chiano chiano e nun saglie cchiù

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