in copertina una foto dello stesso viaggio con l'autore a Parigi del 1984 è da allora che non ci ha messo più piede , dopo la Tour Eiffel un saltino al Centre Pompidou.
TRENTOTTO
Non
svengo del tutto, appena ho fatto la faccia ebete Camilla mi ha
mollato un uppercut micidiale, un pugno al mento sferrato dal basso
verso l’alto, che ha interrotto il calo di pressione arteriosa e
l’insufficiente irrorazione cerebrale evitandomi una lipotimia o
addirittura una sincope.
“Hai
studiato pugilato?”, le dico ancora incerto se restituire il colpo
o ringraziare.
“È
indispensabile se vuoi far carriera all’università”
“Andiamo
da Ciocci”
Telefono
a Ciocci e fisso un appuntamento immediato alla caffetteria del
museo. Mentre ci andiamo Camilla si scusa dell’uppercut, dice che è
l’unico modo efficace per mantenere sveglia la gente che sviene,
che insomma lei ci terrebbe proprio a vedere il Musée d’Orsay, non
ha voglia di perder tempo al pronto soccorso, che diamine, dice, sono
a Parigi!
Ci
sediamo ad aspettare gli altri, ordiniamo due decà, costosissimi.
“Perché
Lucie spiegherà tutto a Ciocci?”
“Non
lo so, anzi lo so, lo sai anche tu ma ti rifiuti di crederlo”
“Perché
anche lei è inventata?”
“Certo,
e sa che Ciocci lo è”
“Camilla…e
tu ci credi?”
“No,
io non credo a nulla, per questo sono barbona, resto a guardare il
mondo dal mio laghetto di Villa Borghese, non mi illudo più…però
le follie di Ciocci mi piacciono, mi piace la naturalezza con cui
parla del suo babbo…è molto convincente…molto…e se avesse
ragione?”
“Camilla…che
dici? Noi siamo veri”
“Siamo
veri? E cosa significa noi siamo veri? Che io e te siamo veri
e Ciocci no? Mi dispiace, questo è impossibile, o lo siamo tutti o
nessuno, sarò pure barbona ma ho studiato, non sono stupida…fino a
ieri pensavo d’essere l’unica persona normale, credevo (e lo
credo ancora) che tu hai la follia delle anime e Ciocci quella
d’essere falso, adesso non so più cosa credere e allora è meglio
continuare a non credere a nulla e stare a guardare…però, vedi,
qualcosa proprio non quadra, Ciocci ha fatto rubare a Bertrand un
libro sulle anime perché nonna vuole che lo leggi, ti rendi
conto? Che significa questo? Ma la cosa più assurda è che Bertrand
l’ha fatto!”
“Camilla…per
favore…guarda che svengo di nuovo…”
“E
io ti mollo un montante”
“Va
bene, non svengo…ecco Ciocci, finalmente”
Ciocci
si siede, dice che Bertrand si stava rompendo, è andato a fare i
compiti.
“Hai
parlato con Lucie?”
“Si,
l’ho vista poco fa”
“Dove?”
“Qui
al museo, adesso è andata”
“Cosa
ti ha detto?”, chiedo impaziente.
“Se
ve lo dico mi ridete in faccia, però posso raccontarvi una balla,
che è dovuta andare dal dentista”
“Che
ti ha detto?”, dico alzando la voce.
“Che
non ha voglia di entrare in questa storia, ritorna nei meandri prima
che sia troppo tardi, dice che non ne vale la pena dopo quello che è
successo stamattina”
Provo
di nuovo una sensazione di svenimento imminente, astenia marcata,
obnubilamento del visus, difficoltà di mantenere la stazione eretta.
Camilla mi schiaffeggia con forza fino a quando riesco a dirle basta,
sto bene, pace, poi si alza in piedi e fa questo discorso qua.
“Basta,
non si può andare avanti così, non fai che svenire come una mezza
donnicciuola, per cosa poi? Quindi basta, godiamoci l’arte, il buon
cibo e se nel frattempo spunta fuori una ganza che ti piace meglio
così, chiamala pure Adelina, ma risparmiaci questa tortura”
“Scusate,
avete ragione, però quello che ha detto Ciocci è tremendo…cosa
dobbiamo fare? Crederci? Se ci crediamo siamo falsi tutti, se non ci
crediamo chi è Lucie? E cosa sono i meandri?”
“Non
dobbiamo né crederci né non crederci, dobbiamo far finta che non
esiste, proprio come vuole lei, quindi propongo di cominciare tutto
da capo, dal Louvre”, così dice Camilla.
“A
me va benissimo”, fa Ciocci.
“Di
nuovo al Louvre?”
“Certo,
non abbiamo visto nulla, sei svenuto quasi subito”
“E
se viene Lucie?”
“Impossibile”,
fa Ciocci.
“Come
fai a dirlo?”
“Perché
è mia sorella”
Mi
getto su Ciocci cercando di strozzarlo, Camilla mi afferra da dietro,
finiamo tutti per terra e sopra di noi accorrono turisti cinesi,
tedeschi, spagnoli, russi e di altre nazionalità, volano pugni,
schiaffi, calci, son botte da orbi. Quando ognuno ne ha date e prese
a sufficienza la rissa finalmente si placa. Intorno a noi tavoli e
sedie rotte, cocci di tazze, zuccheriere, bottiglie, Ciocci per
fortuna va subito dal gestore della caffetteria e sistema tutto a suo
modo, gli passa diverse migliaia di euro sottratti durante la rissa.
In cambio niente polizia e seccature, però dobbiamo lasciare subito
il museo e non dobbiamo metterci piede nei prossimi due secoli e
mezzo.
In
una ventina, chi col sangue dal naso, chi con gli occhiali rotti, chi
ancora zoppicando, usciamo dal museo commentando l’eroica
battaglia, nessuno però ricorda perché ha picchiato o è stato
picchiato. In un inglese da terza elementare decidiamo di farci una
bella bevuta al pub irlandese di Rue de l’Université. Beviamo
Guinness, facciamo brindisi internazionali, ormai siamo amici
fraterni, poi però arriva il momento del conto e tutti, tranne noi,
si accorgono d’essere al verde. Ciocci dice non vi preoccupate
offro io, tira fuori un mazzo spropositato di banconote e va a
pagare. A vedere quel malloppo si fanno tutti piuttosto perplessi,
poi fanno due più due e intuiscono l’accaduto. Uno spagnolone
tarchiato dice a Ciocci hijo de puta, un tedesco arschloch,
un islandese prumphænsn, ossia peto di pollo, per quel popolo
così civile un insulto gravissimo, e così via fino al punto che son
tutti intorno a lui pronti a linciarlo. Ma Ciocci non si perde
d’animo.
“Vi
spiegherò tutto, prima però voglio ringraziarvi per avermi salvato
la vita, se non foste intervenuti il mio amico mi avrebbe strozzato
con indici e pollici, with forefingers and thumbs, if you know what I
mean, perché il mio amico, this guy over here, se gli girano le
palle può uccidere, he kills, l’ha già fatto molte volte ed è
armato…fai vedere la nuova 7,65 parabellum agli amici, show your
new gun”
Ciocci
indica la mia tasca destra, ci metto dentro la mano e tiro fuori una
P38. Sono talmente sorpreso che la alzo come se scottasse e volessi
lanciarla via, ma l’indice s’è incastrato nel grilletto e parte
un colpo. In meno d’un secondo sono tutti a terra, tranne Ciocci e
Camilla, usciamo dal pub nel silenzio più totale, fuori ci aspetta
il taxi con Bertrand alla guida.
Non sei più tornato a Parigi? Allora ci andiamo insieme a Pasqua, ho la presentazione di "Maintenant autres moutones" ai Deux Magots, lo pubblica Gallimard.
RispondiEliminaPoi possiamo prendere il tunnel e andare a Londra, ho la presentazione di "Now other sheeps" alla Royal Academy of Arts, lo pubblica Penguin Books. Piaciuta la rissa?
RispondiEliminaLo so, volevi più sangue, magari anche un morto, ma non sono capace, forse Roscia o Ged possono scrivere un controromanzo violento (Pilon ha da fare). Io adesso parto, fino a domani non commento più, non ti preoccupare.
RispondiEliminama lo sai che io ho esposto alla royal accademy di londra una sedia?
RispondiEliminaormai sono partito, in treno non ho il computer, quindi non posso né leggere né rispondere (perché non ce la fai vedere questa sedia? questo è il blog di uno scultore, cazzarola, che c'entrano i romanzi?)
RispondiEliminaNon oltrepassare la linea gialla
RispondiEliminaMi scusi è libero?
RispondiEliminaSi
RispondiEliminaSa mica se ferma a Maccarese?
RispondiEliminaÈ la prossima
RispondiEliminaGrazie
RispondiEliminaSi figuri
RispondiEliminaLei va a Maccarese?
RispondiEliminaNon è un tipo molto loquace...
RispondiEliminaNon parlo mai con gli estranei
RispondiEliminaMa io non sono un'estranea... non mi riconosci?
RispondiEliminaLucie...
RispondiEliminaScusate se vi disturbo mentre parlate ma è libero quell'altro posto?
RispondiEliminaPermesso...Scusate, è vostra quella pecora che sta mangiando la maniglia della mia valigia?
RispondiEliminaecco la canzone napoletana corretta da G.R.
RispondiEliminaL’urtema sagliuta
(alla maniera di S. Di Giacomo)
Chiano chiano
mont’ a china.
Chino chino
saglie su.
Mont’ a china
da Tuleto,
chiano chiano.
E nun saglie cchiù.
“Ti si’ fatt'
vicchiariell',
né, Pasquà,
nun cant' cchiù?”
Va pensanno, arrecurdanno.
Chiano chiano e nun saglie cchiù.
So’ vent’ann'. “E mo che d’è?
assettatevi, Pasquale”.
“Ma Adelina mia nun c’è?”
“‘A vulite ‘na pizzella?”
“Ma Adelina mia nun c’è?”
“’A tenite ‘na scarsella?”
“Nun ne tengo, tengo cchiù”.
Va pensanno, arrecurdanno.
Chiano chiano e nun saglie cchiù.
“Mò te siento, Adelina,
mò te parlo, parli tu?
T’arritruovo dint’o viento
‘na carezza ‘a bbuo dà tu?”
“Don Pasquà, ma ca tenite?
Don Pasquale… oddio currite!
Nina, Antò, Lucia, venite…
nun respira, parla cchiù”.
Va pensanno, arrecurdanno.
Chiano chiano e nun saglie cchiù.
Mò Pasquale sta int’o viento,
da Tuleto saglie su.
Tutt''e llacreme chiagnute
s’è scurdate. Nulla cchiù.
Va pensanno, arrecurdanno.
Chiano chiano e nun saglie cchiù