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mercoledì 29 febbraio 2012

ADESSO ALTRE PECORE capitolo sedici




in copertina il monte Careri in una suggestiva foto al  tramono nella valle degli Orti della Farnesina 

 SEDICI

Ho detto a Ciocci che so tutto del passato ma dimentico il futuro. Ricordo tutto dai tempi avventurosi del brodo primordiale, potrei raccontare nei minimi particolari le guerre puniche e l’impresa dei Mille (ma erano al massimo un centinaio, aveva ragione la questura) ma ignoro i miei prossimi involucri, non ho la più pallida idea di cosa diventerò. E questo è un bel mistero visto che ho vissuto centinaia di migliaia di volte l’intero ciclo, quindi anche il futuro.
Però credo sia un bene, altrimenti sarebbe una noia, un film già visto mille volte di cui ricordo benissimo anche la fine, no, un po’ di sorpresa ci vuole, ti tiene sveglio. E poi posso divertirmi con gli amici, perché è pur vero che non mi ascoltano, ma quando si gioca a cosa saremo si divertono un sacco. A questo gioco tutti tranne Ciocci, Camilla e il sottoscritto, ossia gli unici in grado di utilizzare bene la testa (anche se Ciocci comunque è matto) vogliono diventare miliardari e avere interi pollai di gnocche strafiche da possedere al minimo prurito sessuale. L’ultima volta che abbiamo giocato è andata così, adesso lo racconto.
Ha cominciato Nello, aveva le idee molto chiare, segno che al futuro ci pensa anche per conto suo. Sarà un novello Picasso che ha già prodotto i suoi capolavori, attraversato tutte le fasi cromatiche della sua solare carriera e adesso vive di rendita, va avanti a cedole milionarie senza muovere un pennello ed è festeggiato ovunque come autentico genio del ventunesimo secolo. Ma non rilascia interviste, su questo Nello è molto fermo, non intende rilasciare interviste. Quando Nello ci racconta cosa sarà nella prossima vita prima dice questa storia dell’artista ormai ricchissimo e poi subito che non rilascia interviste. Anzi sembra che la storia del genio del ventunesimo secolo sia solo un dettaglio per arrivare al sodo, alla cosa che più gli interessa, ossia che non intende rilasciare interviste.
Terzi si accontenta di fare il proprietario di un agriturismo in Toscana, uno splendido casale ocra con davanti le dolci colline dipinte dagli artisti e cantate dai poeti, dietro l’orto e le galline e dentro…e qui Terzi si eccita e arriva al punto, dentro ci sono cameriere sexy che quando si piegano per raccogliere qualcosa si vede tutto, proprio tutto, e si piegano continuamente, appena lui passa, non fanno che piegarsi. Bob gli chiede e dopo? nel senso di vabbè, si piegano, ho capito, ma dopo tu che fai? Terzi non risponde, ci lascia nel dubbio. Secondo Camilla gli basta che si pieghino, il resto non gli interessa, Manfredi è convinto che a furia di vederle piegate gli succede come all’abete che diventa maestro di sci, perché all’amore non si comanda, omnia vincit amor. Non dice proprio così, traduco e ingentilisco le sue espressioni irripetibili.
Manfredi, come era ovvio, sarà direttore dell’Orchestra di Stato Moldava, secondo lui è molto più raffinata dei Berliner Philharmoniker ed ha un repertorio più bello, suonano soprattutto canti popolari rumeni trascritti per orchestra, da piangere di commozione. Da direttore d’orchestra sarà abbastanza ricco, quindi avrà cinque campi rom con baracche ad alta tecnologia, pannelli solari, Jacuzzi e frullatori. Terzi gli ha chiesto che se ne fa di cinque campi rom, Manfredi ha risposto che a lui piace viaggiare e vuole avere una baracca in ogni capitale europea. Nello gli ha chiesto allora ti bastano cinque baracche, che te ne fai dei campi, lui ha risposto sono per gli amici imbecille. Non ha parlato di donne, ma ai rom non mancano mai quindi non ne parlano.
Bob invece ha solo desideri sessuali, ma quando tocca a lui è già cotto di Tavernello e riesce a dire solo scopare sempre. Forse il più onesto è proprio lui, invece di pensare a chi sarà e cosa avrà va subito al sodo, dice cosa farà. Allora Camilla gli ha detto che potrebbe farlo anche adesso, non c’è bisogno di cambiare involucro, ma lui non ascolta, canta Com’è bello fà l’amore quann’è sera. Le turiste si fermano a guardarlo, Bob è un bel pezzo d’uomo, non a caso lo chiamano l’Americano, e un pensierino di sicuro lo fanno, ma lui neanche le vede, è cotto di perfido Tavernello, canta l’amore in dialetto di Centocelle e sembra soddisfatto così. Camilla sostiene che è stato lasciato dalla donna della sua vita ed è precipitato nel Tavernello per dimenticare, altrimenti tutte quelle turiste scandinave non avrebbero scampo.
Camilla a questo gioco non partecipa, quando è il suo turno dice solo che sarà di nuovo Camilla, sta benissimo così, barbona a Villa Borghese. Io gli dico che non si può, l’involucro va cambiato per forza perché a un certo punto si rompe, lei ridacchia e risponde allora sarò un filo d’erba. Gli altri protestano, Nello dice non vale, se si gioca si gioca, Terzi gli suggerisce cosa può essere per incoraggiarla a continuare, una campionessa di nuoto, un’attrice famosa tipo Jeanne Moreau o Catherine Deneuve, la prima Presidente donna degli Stati Uniti, e aggiunge pure che un filo d’erba dura troppo poco, se lo mangia una mucca e finisce subito cacca, allora meglio direttamente cacca. Niente da fare, o Camilla o filo d’erba.
Ciocci peggiora la situazione, quando è il suo turno dice che vorrebbe essere vero, non dice altro, e anche qui ci sono subito le proteste, non vale dice Nello, diventa almeno un politico corrotto così rubi di più dice Terzi, ma non c’è verso di tirargli fuori qualcosa, dice solo che vuole essere vero, e lo dice serissimo, talmente serio che passiamo subito a me, ma ormai anch’io non sono dell’umore giusto, dico solo che sarò un uomo normale che cerca Adelina o come si chiamerà, van bene tutti i nomi tranne quelli moderni, Noemi, Jessica, Xenia, e dico pure che non mi importa dei soldi e della fama, voglio solo Adelina. Qui il gioco finisce. La colpa è mia, di Ciocci e di Camilla, gli altri han giocato bene, noi abbiamo rovinato tutto. E io so pure perché, ma adesso non lo scrivo.
Oppure lo scrivo, così mi tolgo il rospo dallo stomaco, non so se si dice così però rende l’idea. Il fatto è che Ciocci, Camilla ed io siamo quelli che fanno maggiore uso del cervello, ma questo non vuol dire esser migliori degli altri, al contrario, in questo caso è di sicuro un freno alla felicità, perché pensare ti getta sempre in un brodo di malinconia dal quale è difficile uscire, ti impedisce di pensare con entusiasmo al futuro, ti ingessa le gambe e le emozioni. Per questo nessuno dei tre è riuscito a farsi trasportare dalla fantasia come Nello e Terzi, nessuno è riuscito a immaginare un futuro più felice, perché solo immaginarlo è un po’ crederci e noi non ci crediamo più. Ecco, il rospo è via.
Non era un rospo, era un elefante, e non è vero che è andato via, me lo porto appresso da quando è andata via la mia Adelina, è la sua assenza che mi rende infelice. Ciocci è infelice perché è falso, Camilla non so, non dice niente di sé ma deve avere una grossa delusione. Il risultato è che non sappiamo giocare a come saremo, ci divertiamo solo a sentire gli altri, noi siamo solo statue.

ADESSO ALTRE PECORE capitolo quindici


 QUINDICI

Certo, se si viene a sapere che è un film proiettato migliaia di volte e non si può cambiare neanche una virgola c’è il rischio che la gente si mette a letto e se ne strafotte della vita. Se tutto è già deciso tanto vale grattarsi la panza, basta lotte sindacali, proteste davanti ai ministeri, scioperi e manifestazioni. Ma tanti potrebbero anche smettere di far la corte alle ragazze, tanto è già tutto scritto, e le ragazze di farsi belle per far colpo, comincerebbero a puzzare d’ascelle e di bocca, tanto non si può far nulla, ti capita quello che ti capita e poi te lo tieni.
Se la gente sapesse dell’apocatastasi si fermerebbe tutto, su questo non c’è dubbio, l’apatia e l’indifferenza stoica che sembrano propri del mondo vegetale e minerale diverrebbero comuni anche tra gli uomini. Ho scritto sembrano perché non è così, le forme del creato incapaci di muoversi come le piante e le rocce sono molto più dinamiche degli uomini e degli animali, gli scienziati questo lo sanno bene. Quando ero abete avevo la mia bella tranquillità filosofica e tanto tempo da dedicare a me stesso ma dentro la corteccia e nei rami si svolgeva una vita travolgente che al confronto quella di un giovane rampante discotecaro di Milano 2 assomiglia al pomeriggio di un pensionato depresso.
Il mondo va avanti perché l’uomo non è mai contento, vuole sempre di più, infatti chi ha già tutto muore di noia. Il fatto di volere di più spinge l’uomo all’azione, altrimenti si accontenterebbe di quello che ha e andrebbe a fare due passi invece di pensare sempre al lavoro. Ma vuole di più, così se ne sta in ufficio a fare gli straordinari fino alle dieci di sera, poi torna a casa esausto, non ha neanche più voglia di mangiare, maltratta la moglie, anzi la ignora e va subito a letto. Il giorno dopo lo stesso, il sabato pure, mentre la domenica è dedicata alle cose che non vorrebbe fare ma gli tocca, le visite ai parenti, le uscite fuori porta, le passeggiate con i mocciosi che si lamentano, babbo ho seteeeee, babbo la pizzaaaa, babbo la pallaaaa… meglio l’ufficio, almeno c’è sempre qualcuno con cui litigare.
Immaginiamo l’uomo appena descritto che d’improvviso viene a sapere dell’eterno ritorno, dell’apocatastasi, della deflagrazione che fa ricominciare il film sempre da capo, identico. Come si comporterebbe? Tornerebbe a combattere come ha sempre fatto? Sacrificherebbe l’esistenza per avere di più? Si ammazzerebbe di lavoro sperando di migliorare un giorno il proprio destino e finalmente concedersi amanti giovani e pied-à-terre a Parigi o Londra? Non credo. Si metterebbe il pigiama e una volta sotto le coperte annuncierebbe al mondo che da quel comodo giaciglio intende uscire solo per far pipì.
Però se tutti si mettono a letto il mondo va a rotoli, duriamo pochi giorni, i cittadini pochissimo, i campagnoli di più se hanno un orto fatto prima di sapere dell’apocatastasi che non richiede ulteriori sforzi tranne quello di cogliere una verza o un carciofo, ma già è troppo per chi lo ha fatto tutta la vita e si accorge adesso dell’inutilità dell’esistenza. Il primo pensiero che gli verrà in mente sarà di maledire tutto, avranno una rabbia tremenda per il tempo perso a riflettere se era meglio seminare quel giorno o aspettare una settimana, se mettere le verze o i carciofi, se aspettare la luna piena…quante decisioni inutili visto che era già tutto deciso…ma chi l’aveva già deciso?
Si torna sempre di nuovo a Lui, non c’è nulla da fare, alla fine la domanda è sempre la stessa: chi ha deciso la sceneggiatura di questo film del cacchio? Chi è il regista?
Non so rispondere e comunque vorrei concludere il discorso di prima. Immaginiamo il pescatore che viene a sapere dell’apocatastasi. Credo che diverrebbe folle di rabbia, infilzerebbe la moglie con la canna da traina, spaccherebbe la testa ai passanti col mulinello Shimano, appenderebbe il cane a un rapala con terminale in fluorocarbonio da 0,45 eccetera, perché tutti i pesci che credeva di aver preso grazie alla propria abilità li aveva appesi all’amo quel gran regista delle mie palle. Per non parlare dei giocatori di scacchi o dei direttori d’orchestra. Ore di prove per far capire a quel deficiente del controfagotto che il do è semiminima e non croma e poi vieni a sapere che era tutto inutile, avrebbe suonato come era stato deciso all’origine della vita e come accadeva da sempre in ogni proiezione del Grande Ciclo, quindi poteva dirigere senza prove, stare a casa a far sudoku davanti al caminetto solleticando le cosce della moglie invece di perder tempo con gli orchestrali, tutta gentaglia frustrata, solisti mancati.
E le partite tra Garri Kimovič Kasparov e Anatolij Evgen’evič Karpov? Tutto tempo sprecato, tanto il risultato era già scritto.
Il giorno in cui tutti sapranno dell’apocatastasi ci sarà un improvviso silenzio di profondo smarrimento della durata di circa dieci minuti, si fermerà tutto, proprio tutto, poi cominceranno i primi timidi rumori, le prime reazioni incredule, ma allora…fanculo l’avessi saputo prima…non ha senso porca pupazza…, infine la gente spaccherà tutto e chi non sarà ucciso si metterà subito a letto e non ne uscirà mai più. Prima però si accerterà che la porta sia ben chiusa perché ci sarà ancora molta gente che vuole sfogarsi, soprattutto scacchisti e direttori d’orchestra.
Di questa violenta reazione sono assolutamente certo perché l’uomo può rinunciare a tutto tranne che al libero arbitrio, è molto affezionato al concetto filosofico e teologico secondo cui ogni persona è libera di fare le proprie scelte e l’idea di essere solo un attore che recita la parte lo farebbe impazzire, anche perché non c’è un canovaccio da riempire o su cui improvvisare, c’è un copione al quale si deve esser fedeli, una partitura che ti impedisce financo i più lievi e impercettibili rubato.
Per fortuna queste cose le so solo io, altrimenti la pellicola rischia di rompersi. Non l’ho ancora detto, ma il pericolo è proprio quello. Se d’improvviso la gente si accorge che vive dentro un film c’è il rischio che la reazione incontrollata e simultanea di 6.894.522.000 persone (dicembre 2010) determini una ecpirosi anticipata, una potente conflagrazione che ci manda tutti a ramengo per le galassie. Ma le so solo io, le scrivo ma non le legge nessuno e se qualcuno le legge è difficile che ci creda, di solito sono l’unico che crede alle cose che dico. Solo Ciocci ci crede, ma con lui è diverso. E poi non ci crede neanche lui, le ascolta come se fosse una favola, di sicuro pensa che siano inventate dal nostro comune babbo, è matto.
Ciocci è matto, crede che viviamo nella fantasia di un tizio che di mattina gli frulla la fantasia creativa e scrive la nostra vita, ditemi se questa non è follia! Eppure, a ben vedere, non si sbaglia poi così tanto, perché siamo entrambi già impressi nella grande pellicola della vita. La sola differenza, che poi è la differenza tra una persona normale (che sarei io) e un matto (Ciocci), è che io credo d’esser parte di un grande disegno universale pennellato da Dio (ma su questo devo ancora riflettere) e lui invece si crede figlio di uno scribacchino qualunque che lo muove come un pupo siciliano.
Ma almeno ascolta. Gli altri sbevazzano guardando il Tevere, recitano la formazione della Roma, comprese le riserve, Jiulio Baptista, Matteo Brighi, Daniele De Rossi, Stefano Okaka Chuka, Mirko Vucinic, il grande Totti, di Totti recitano anche la data di nascita, 27 settembre 1976. Camilla ogni tanto ascolta, ma è come se sapesse già tutto, mi guarda con un sorriso quasi beffardo per comunicare il suo scetticismo, come a voler dire Ciocci si beve tutto, anche le tue balle, io bevo solo Tavernello. Nello, Terzi, Bob e Manfredi non ascoltano mai, all’inizio quando li ho conosciuti ascoltavano, poi si son stufati, vogliono solo la storia dell’abete che diventa maestro di sci, gli piace molto la scena del gatto delle nevi.
Quindi non mi crede nessuno, è bene che apra gli occhi una volta per tutte. Le sole persone al mondo che hanno la fortuna di avere accanto l’unico esemplare di uomo che conosce il mistero delle anime non lo prendono sul serio, si allontanano, ridacchiano. Ciocci non si allontana né ridacchia, ma mi ascolta come se leggessi un romanzo, quindi un’opera di fantasia, mentre io racconto la verità. Ieri gli ho detto che so tutto del passato, ma dimentico il futuro.

martedì 28 febbraio 2012

capitolo quattordici


Sempre per i pochi che non conoscessero l'autore, esso è ritratto in copertina all'arrivo in vetta dopo una lunga scarpinata in seggiovia tra abeti e larici, fu forse in quel momento che l'ispirazione lo colse 

QUATTORDICI

 Non c’è niente da fare, insiste con quella storia, ormai ho rinunciato a farlo ragionare. La cosa strana, l’ho detto anche a lui, è che non manca di acume intellettuale e di giudizio critico, quindi la sua follia è ancora più grave. Un po’ come il grande scienziato che però crede in Dio, ma come fa? Come può credere a qualcosa che non c’è, a un’entità soprannaturale che non lascia attorno a sé prove della sua esistenza, solo balle colossali, al massimo prove a contrariis, tipo il numero esorbitante di ingiustizie che rendono il pianeta una valle di lacrime e sangue? Se Dio esistesse dovrebbe prendere i violenti per il collo e gettarli nel Vesuvio oppure ancor meglio nel vulcano islandese Eyjafjöll che è attivo. Ma Dio non c’è. Dio non c’è, ma allora l’anima chi la fa? All’inizio qualcuno la deve aver fatta, poi è probabile che non se curi più e che l’anima viva di vita proprio passando da un involucro a un altro. Riflettere su queste cose più concrete mi rimette sempre a posto dopo le chiacchierate con Ciocci. Una cosa è il discorso logico basato sui fatti, un altro è la fantasia che galoppa senza meta nelle immense praterie del nonsenso. E devo dire che Ciocci non è il solo a vagare nell’irreale e nel fantastico, ci sono con lui migliaia di credenti di tutte le religioni del mondo, gente anche seria che però ha quel difetto di credere a cose che non stanno né in cielo né in terra, cose raccontate da imbroglioni vestiti di nero oppure nudi come gli sciamani australiani, comunque imbroglioni che lucrano sulle debolezze dell’uomo. I preti non lavorano, vivono sulle spalle dei credenti e siccome gli uomini a qualcosa devono pur credere i pretonzoli hanno sempre avuto un pasto caldo e un tetto gratis. Ma sono tutti, dico proprio tutti, degli imbroglioni. Loro stessi a Dio o alle altre divinità inventate dall’uomo non ci credono, e sono pure viziosi, bevono e fanno sesso sporco, vizioso, perverso, sono i peggiori peccatori della terra. E poi non si accontentano di nutrirsi, vogliono le ghiottonerie e prelibatezze più costose, i vini rari, i gamberoni, coi soldi dell’otto per mille da destinare ai poveri della terra. È tutto accertato, non invento nulla, basta leggere i giornali o andare in un qualsiasi ristorante di borgo Pio, c’è sempre qualche pretonzolo che si abboffa con le elemosine e l’otto per mille. Una volta ho visto un parroco che pagava il conto prendendo i soldi dalla cassetta delle elemosine che portava appresso come una borsetta. Lo giuro. Ma l’anima chi la fa? All’inizio chi la fa? Non sarà per caso Dio? Qualcuno la fa di sicuro, qualcuno decide pure di non farle tutte uguali perché sarebbe una noia mortale, immaginate un mondo fatto solo di uomini e animali miti e gentili, ci sarebbe da spaccarsi le palle, tutti a dire buongiorno caro, ti posso aiutare…eccetera, no, impossibile, per quello chi inventa le anime cerca di creare varietà, e forse proprio per questo è costretto a metterci anche qualche farabutto. Se è così, diciamolo una volta per tutte: ne fa troppi! Che ne faccia di meno! Ne sopprima qualcuno! Qui ormai ce n’è troppi, in Italia un numero esorbitante, a Roma si soffoca, tra Vaticano, Palazzo Chigi e Montecitorio ormai è un esercito di figli di puttana che andrebbero gettati nel vulcano islandese Eyjafjöll. Se Dio c’è ne getti subito un bel po’ nell’ Eyjafjöll, se non c’è facciamolo noi, basta fare una retata nei posti del potere testè citati e si va a colpo sicuro, al massimo si gettano per sbaglio un paio di onesti, non credo di più. Io farei dei voli da Fiumicino senza atterrare a Reykjavík, si aprono gli sportelli e si scaricano i farabutti nel vulcano, poi si torna a fare un altro carico. Poi ci vorrebbero nuove elezioni, ma il rischio è di creare un’altra classe politica di farabutti perché la democrazia funziona solo nei paesi civili, in quelli incivili il popolo vota gli imbecilli farabutti nei quali evidentemente si riconosce. Quindi sarebbe tutto inutile, dopo le elezioni bisognerebbe far tutto da capo, voli in Islanda eccetera. L’unica soluzione che vedo è la dittatura illuminata, oppure esser invasi dall’Islanda o dalla Finlandia. Questo è un argomento che piace moltissimo ai miei amici di Ponte Sisto, non l’argomento Dio, loro a Dio ci credono anche se tirano certe bestemmie da far impallidire un calciatore, quello che gli piace è l’argomento politici corrotti figli di puttana. Appena uno di noi ne nomina uno subito gli altri cominciano a ragionare sui modi più crudeli per torturarlo. Il sindaco di Roma, per fare qualche esempio concreto, dovrebbe essere impalato sullo spillone della Piramide Cestia, il primo ministro finire in pasto ai leoni del bioparco (addestrati a mangiarselo poco per volta, oggi succhiano il metacarpo, domani le falangi eccetera, centillinando per bene si prolunga la sofferenza per mesi, addirittura anni), i presidenti di camera e senato picchiati da gladiatori di Pigneto e Centocelle al Colosseo, gli alti prelati gettati nudi nel Tevere e respinti dal popolo ogni volta che cercano di attaccarsi ai margini. Ci divertiamo così ma son solo parole innocenti che ci servono al buon umore, non siamo capaci di far male neanche a una mosca. Tornando all’anima, non nascondo un certo malumore nel dover constatare la mia incapacità di capire chi la fa. Il resto è tutto chiaro, ma chi la fa non è per nulla chiaro, e non si tratta di un dettaglio. Il resto è semplice osservazione del mondo reale, anche se l’oggetto di indagine sono solo io. Ma cerco comunque di attenermi ai principi fondamentali della ricerca scientifica, dunque imparzialità, coerenza, dimostrabilità, oggettività. L’oggetto è la mia anima, cioè una cosa concreta anche se non la posso vedere, quindi l’indagine può essere condotta come si fa con gli altri oggetti concreti, un pollo, un sasso, tutto. Come per qualsiasi ricerca scientifica si deve partire dalla schedatura e classificazione degli eventi osservati, e questo l’ho già fatto col mio catalogo degli involucri. Poi si deve capire il criterio di scelta che porta l’anima a scegliere un sasso piuttosto che un balenottero o il futuro portiere della Roma. Questo lo sto facendo ma non è facile, devo documentarmi con centinaia di testi scientifici, storici, filosofici, antropologici, basta solo pensare all’impresa dei Mille o al brodo primordiale. È difficile ma si può fare, ormai esistono migliaia di studi eccellenti su tutti gli argomenti decisivi della storia del nostro pianeta. Quello che non si può fare, che non riesco a fare, è sapere chi ha fatto l’anima. È stato Dio? E si badi, la domanda riguarda solo l’anima non il creato, perché quest’ultimo non l’ha fatto Dio, ormai non ci crede più nessuno, è stata una lunga evoluzione. Che poi il termine evoluzione è quanto di più errato si possa immaginare perche è accaduto esattamente il contrario, nel brodo c’era un po’ caldo e si rischiava continuamente la vita ma in fondo si stava bene, dopo invece c’è stato solo peggioramento, involuzione, e negli ultimi venti anni (1990-2010) la situazione è precipitata, tant’è che credo che da un momento all’altro vada tutto per aria e ricominciamo da capo. Infatti una cosa è certa, si ricomincia dal brodo primordiale e si rifà per l’ennesima volta tutto da capo. Questo ancora non l’avevo detto perché mi sembrava ovvio, adesso lo dico. La teoria dell’apocatastasi, ossia dell’eterno ritorno attraverso una potente conflagrazione, o ecpirosi, è esattamente quello che succede ogni tot migliaia di anni da quando è nato l’universo, ma la cosa più incredibile è che tutto si ripete al millimetro, non si può cambiare niente. La gente questo non lo sa, lo so solo io perché posso confrontare le stesse situazioni tra loro, essendo l’unico che può seguire l’intero percorso del ciclo dalle sue origini pirotecniche al deludente tramonto tecnologico. Non avete idea di quante volte ho provato a cambiare le cose, ad esempio con la mia Adelina, non sapete quante volte ho provato a convincerla a non andare a Canale Monterano, le dicevo che piove, c’è fango dappertutto, hanno aperto la stagione di caccia, è pieno di tori, ma non c’era nulla da fare, andavamo a Canale Monterano e lei cadeva nel dirupo. Adelina, dicevo io, non andare lì, può essere pericoloso. Lei rispondeva sempre così: è bellissimo, guarda ci sono pure le violette… e precipitava di sotto.

lunedì 27 febbraio 2012


nonostante la perdita di alcuni importanti mercati esteri faccio sapere ad Enricco che anche la sellerrio mi ha fatto una proposta di acquisto dei diritti quindi se si ostina a negare le conquiste fatte in discoteca sarò costretto a fare quest'operazione, tra l'altro anche ecconomicamente vantaggiosa
la casa editrice mi ha proposto anche quest'immagine di copertina

capitolo tredici


la copertina è dedicata a quel narciso di "Pilon" ma anche all'autore e all'editore che non son da meno


TREDICI

“Non mi crede nessuno, anzi non mi ascolta nessuno, solo tu e Camilla, ma Camilla è scettica”

“Camilla ha letto un sacco di libri, ha mollato l’università ma sotto sotto alla scienza ci crede ancora, quindi è scettica, il dubbio è conoscenza, lo dice lei a lezione”

“Tu non credi a nulla?”

“Come potrei credere a qualcosa se sono finto dalla testa ai piedi? Come te”

“Sarei finto?”

“Certo, per questo ascolto le tue storie bellissime, perché chi le inventa è il nostro babbo, noi due siamo fratelli”

“Fratelli?”

“Certo, e Camilla è nostra sorella, è falsa anche lei, ma è un po’ più vecchia, avrà più o meno la mia età ma è stata scritta prima”

“E gli altri, Nello, Terzi, Bob, Manfredi?”

“Fratelli”

“E Sullivan?”

“Fratello, anche i passanti, i tedeschi, i giapponesi, tutti fratelli”

“Una fratellanza universale…”

“No, fratelli sul serio, figli dello stesso babbo, l’autore”

“Ciocci…ma come puoi dire questo…tu sei così sveglio, acuto, intelligente, e poi però dici che siamo falsi…perché?”

“Perché è così, io non ho mai detto nulla sulle tue storie di anime perché sono appunto ‘storie’ di anime, proprio come la mia che è la ‘storia’ di Ciocci”

“C’è una differenza enorme, io so d’avere un’anima che prima stava in un altro involucro, ricordo benissimo chi ero, ed ero io, non c’è dubbio, e so che la mia Adelina adesso è un cucù, lo so, non invento nulla, è come mangiare un uovo fritto e poi dire ‘ho mangiato un uovo fritto’, se è vero che l’ho mangiato sto dicendo la verità. Tu invece dici di essere inventato ma lo sostieni senza nessuna prova, io ti vedo benissimo, ti posso toccare, sei tu, esisti, se fossi falso non potrei toccarti”

“Non c’è differenza, la mia parola e la tua, solo che io alla tua ci credo perché fai parte di una storia, mentre tu non mi credi perché ne avresti troppa paura: se uno è falso vive solo nella lettura degli altri, è dura da accettare”

“Vuoi dire che Megliodigiotto vive solo se qualcuno lo legge? Che io e te stiamo dentro a un libro? Ma Ciocci ti rendi conto? È un’assurdità!”

“Non lo dico solo io”

“Chi altro?”

“Tutti i miei fratelli dell’altro libro, quello in cui son stato inventato, si intitola Olmo Montano”

“Lo posso leggere? Mi interessa molto”

“Non puoi leggerlo, non è pubblicato, l’autore non pubblica i suoi romanzi, questo è il nostro problema”

“E perché?”

“Perché cosa?”

“Perché non li pubblica e perché è un problema”

“Non è facile pubblicare se non hai già un nome e il nostro autore non accetterebbe mai di pagare per la stampa dei suoi scritti. Questo è un problema perché se nessuno ci legge noi non esistiamo, abbiamo bisogno di lettori come dell’ossigeno che respiriamo perché ogni lettura è una nuova occasione di vita, solo apparentemente uguale alle precedenti visto che la ricezione è sempre diversa”

“Mi dispiace, non ti seguo più, mi sembri peggio di Adelina”

“Ma è semplice, chi legge Il rosso e il nero legge la storia di Julien Sorel, che è sempre la stessa, però ogni lettore completa il libro in modo diverso, immagina i personaggi in modo diverso, talvolta addirittura aggiunge particolari assenti nel romanzo di Stendhal. Ogni lettura, è questo che voglio dire, è un’esperienza diversa dalle altre, e questo lo sanno tutti per esperienza, basta leggere lo stesso libro a distanza di anni per accorgersi che sono libri differenti perché nel frattempo il lettore è cambiato”

“Ciocci, mi sorprendi”

“Perché son ladro? Sempre lo stesso pregiudizio, come se il ladro dopo aver rubato non possa rilassarsi con un bel libro… e poi sono un ladro gentiluomo e con un forte senso etico”

“E quale sarebbe?”

“La convinzione che il furto sia l’unico modo di ridistruibuire la ricchezza visto che la politica ha fallito”

“E tu ridistribuisci?”

“Certo, divido con gli amici, sempre”

“Però dici di aver scritto un libro che si intitola Rubare ai ricchi per dare a me, che sembra farsi beffa del motto di Robin Hood”

“Al contrario, chi vive nell’ambiente del furto sa benissimo che questo titolo pone un problema che da anni viene discusso in ambito accademico. Il furto, lo sai, si giustifica solo se a compierlo è il fuorilegge di Sherwood o un suo seguace moderno, quindi in una logica di ridistribuzione dei beni che Dio ha donato a tutti gli uomini e non solo ad alcuni più fortunati o prepotenti. Ma spesso dietro la facciata si nasconde l’egoismo di sempre, dal quale probabilmente non era immune lo stesso Robin Hood. E questo lo vivo io stesso ogni giorno, è difficile staccarsi dal maltolto dopo aver rischiato la galera per ottenerlo”

“Quindi il tuo libro smaschera i falsi Robin Hood?”

“No, affronta il problema in modo equilibrato, perché il ladro è un uomo, mentre Robin Hood è un personaggio inventato, anche se metà storico e metà leggendario, probabilmente frutto della fusione del personaggio realmente esistito, un nobile sassone decaduto diventato bandito, con le preesistenti leggende di un dio della foresta, un folletto omonimo. In ogni caso un eroe idealizzato che uomo non è, dunque può agire in modo innaturale regalando ai poveri ciò che ruba ai ricchi”

“Innaturale?”

“Si, se rischi di essere impiccato direi di si, e infatti se è esistito un Robin Hood doveva assomigliare poco a quello che abbiamo conosciuto nei libri, sarà stato generoso con i suoi compari, un buon capo, ma un anarchico proprio no, né un Che Guevara. Robin Hood non è il solo bandito dal buon cuore che ruba ai ricchi per dare ai poveri, ci sono anche Juraj Jánošík in Slovacchia, Rummu Jüri in Estonia e Tani Yukata in Giappone, a dimostrazione che si tratta di un autentico topos che da sempre affascina l’uomo, quello del furto etico socialmente accettato. Di questo parlo nel libro”

“Ciocci, Ciocci…”

“Lo so cosa pensi… che da me non ti saresti immaginato queste parole, e non per eventuali tuoi pregiudizi nei confronti di un modesto ladruncolo, ma perché sostengo che siamo entrambi falsi: se sono falso come faccio a sapere tutte queste cose?”

“Già, come fai a saperle? Juraj Jánošík in Slovacchia, Rummu Jüri in Estonia e Tani Yukata in Giappone, come fai?”

“Le sa babbo”

domenica 26 febbraio 2012

capitolo dodici


Sono a corto di idee quindi riciclo il mio incipit una scultura di antony che casualmente coglie l'attimo in cui l'anima esce dal corpo


DODICI

Camilla parla poco di sé, però ogni tanto qualcosa dice. Abita a Villa Borghese, è barbona per scelta, e cambia cespuglio ogni notte, dice non si sa mai. Prima di fare la barbona era docente universitaria e qui le cose cominciano ad essere confuse, un giorno dice che insegnava storia della filosofia, un altro filosofia della storia, altre volte solo folosofia o storia, per noi però è lo stesso. Quel che è certo è che un bel giorno ha capito che era necessario cambiar vita, così ha fato un bel falò con le sue pubblicazioni mettendoci proprio tutto, libri, articoli, curatele, voci enciclopediche, edizioni, tutto, e sopra ci ha cucinato le salsicce. Poi ha fatto un fagotto mettendoci Moby Dick, lo spazzolino e le sigarette e se n’è andata.
Il marito è rimasto di stucco ma poi ha capito, i figli erano dispiaciuti ma poi hanno approvato, mamma è così dicevano. Lei è andata per un po’ a ramengo e poi ha deciso che il luogo più bello del mondo è il laghetto di Villa Borghese. Perché? Perché è pieno di avannotti, questa è sempre la risposta e a noi va bene.
A un certo punto ha avuto un’avventura che l’ha condotta in posti bellissimi del mediterraneo a bordo di un veliero d’epoca, ma anche questa è una storia confusa, piena di incongruenze, tra i personaggi c’è addirittura Dio in persona e allora chi di noi aveva creduto a tutto il resto se è appena appena agnostico pensa che sia tutta una magnifica bugia.
Io però al suo passato universitario ci credo, perché è la sola degli amici di Ponte Sisto ad essere numero uno molto colta, numero due capace di organizzare il discorso in modo coerente e logico, numero tre didattica, nel senso che quando decide di parlare vuole che ci disponiamo ordinati sul parapetto del ponte (ristrutturato da Clemente VIII, ce l’ha detto lei) e l’ascoltiamo come fossimo suoi studenti, chi può deve prendere appunti. Alle sue lezioni di storia o filosofia non partecipiamo solo noi amici, si unisce sempre qualche passante sfaccendato, anche qualche giapponese.
Poi ci da un paio di settimane per riflettere e alla data prestabilita cominciano gli esami, sempre sul parapetto clementino, attenti a non cadere di sotto. Una volta Nello era impreparato e Camilla voleva bocciarlo, ma lui (parecchio ubriaco) ha minacciato di buttarsi con un carpiato, urlava allora faccio un carpiato, proprio così. Camilla gli ha dato diciotto ma ci ha fatto capire che non si meritava neanche un dieci. Prima gli ha chiesto quali fossero le aspirazioni e le forze morali che componevano l’Italia postunitaria secondo Federico Chabod, ma Nello ha emesso un rutto sganasciandosi subito dal ridere. Poi gli ha fatto via via domande sempre più semplici, ma non c’era niente da fare, così si è rassegnata a fargli una domanda facilissima, i sette re di Roma, manco quelli sapeva. Allora Ciocci, che faceva da assistente (lo facciamo a turno perché nel verbale sono necessarie due firme), gli ha chiesto i sette nani, di nuovo scena muta, solo Pisolo e Mammolo, ma solo perché Ciocci lo aiutava con Pis…Piso…Pisol… Camilla l’ha guardato severa e lui ha detto che sapeva a memoria i nomi dei mesi, ma è arrivato solo a marzo. Ha preso diciotto perché ha insistito a recitare Roma nun fa la stupida stasera, insieme a Bob che la sa tutta.
Un giorno ha voluto fare l’esame un fuori sede, un barbone australiano che diceva di essere lì con una borsa Erasmus, gli abbiamo chiesto di farcela vedere questa famosa borsa ma lui ha risposto che se l’era dimenticata nel saccapelo, sotto il ponte. Tutto questo l’abbiamo detto in inglese, il nostro inglese di gesti inarticolati e risate da smascellarsi. L’esame è stato memorabile, c’era il pubblico delle grandi occasioni, sembrava una seduta di laurea con le mamme, i parenti, gli amici eccetera, ma erano solo passanti. Sullivan, l’australiano, era seduto sul parapetto e noi intorno a fare i docenti con l’aria pensosa di chi sa l’opera omnia di Benedetto Croce a memoria. La prima domanda l’ha fatta la Presidente della Commissione, Professoressa Camilla.
“Tell me something about Sisto IV, please”
“You mean the Pope, don’t you?”
“Indeed”, fa Camilla, e noi giù a ridere come pazzi per l’indeed, dimenticandoci il ruolo di docenti.
“Pope Sixtus IV, born Francesco della Rovere, was Pope from 1471 to 1484. His main accomplishments as Pope included building the Sistine Chapel, establishing the Vatican archives and the Spanish Inquisition and annulling the decrees of the Council of Constance. He was famed for his nepotism and was personally involved in the infamous Pazzi Conspiracy. He was also responsible for transforming Rome to the Renaissance”
Scoppia un applauso da far cadere il ponte, Camilla lo abbraccia, gli dice che non ha mai avuto un allievo così bravo e che da adesso è cultore della materia presso la sua cattedra, in attesa naturalmente di un concorso per ricercatore o addirittura associato. Noi rimaniamo tutti molto gelosi, vorremmo buttarlo di sotto, poi ci calmiamo. I giapponesi gridano bis, Sullivan li accontenta.
“Upon election to Pope he adopted the name Sixtus, a name that had not been used since the 5th century. One of his first acts was to declare a renewed crusade against the Ottoman Turks in Smyrna. Fund-raising for the crusade was more successful than the half-hearted attempts to storm Smyrna, with little to show in return. Some fruitless attempts were made in unification with the Greek Church. For the remainder of his pontificate he turned to temporal issues and dynastic considerations”.
Ancora applausi. Camilla per la felicità sale in piedi sul parapetto e intona Casta diva accompagnata da Manfredi alla fisarmonica:

Casta diva che inargenti
queste sacre antiche piante,
a noi volgi il bel sembiante
senza nube e senza vel.
Tempra tu de’ cori ardenti,
tempra ancor lo zelo audace,
spargi in terra quella pace
che regnar tu fai nel ciel.

La folla è in delirio, urla, applaude, batte i piedi, chiede il bis, molti si abbracciano come a capodanno, si baciano. Dai due lati del ponte accorrono frotte di turisti, soprattutto tedeschi e giapponesi.
“Was passiert?”
“Keine Ahnung, da singt jemand.”
“Komm, lass uns mal nachsehen.”
Un vigile preoccupato che il ponte crolli (poi tocca a Ratzinger ristrutturarlo e devono chiamarlo Ponte Benedetto) si mette a dire circolare, ma quando Camilla attacca l’aria della Regina della notte assiste anche lui rapito al miracolo della barbona che canta l’aria mozartiana meglio di Wilma Lipp o Edita Gruberova.

Der Hölle Rache kocht in meinem Herzen,
Tod und Verzweiflung flammet um mich her!
Fühlt nicht durch dich Sarastro Todesschmerzen,
So bist du meine Tochter nimmermehr.
Verstossen sei auf ewig,
Verlassen sei auf ewig,
Zertrümmert sei’n auf ewig
Alle Bande der Natur
Wenn nicht durch dich Sarastro wird erblassen!
Hört, Rachegötter, hört der Mutter Schwur!

Nessun applauso, l’emozione è troppo forte, c’è solo un silenzio irreale, fantastico, magico come il flauto dell’opera. Camilla scende dal parapetto, beve un goccio di Tavernello e si accende un toscanello. Solo dopo la prima boccata la folla esplode in un coro di giubilo a quattro voci diretto dal vigile di prima. Ciocci passa col cappello e sottrae portafogli, un’occasione così non capita spesso. Però seleziona per bene le vittime, le sceglie molto antipatiche per non rovinare agli altri il ricordo di quella splendida serata romana. Come fa a distinguere chi è antipatico da chi ne ha solo la faccia? Io non lo so, comunque mi fido, Ciocci vede molto meglio di me, vede dentro le persone, forse vede addirittura le anime, anzi adesso che ci penso deve essere proprio così, perché è l’unico dei miei amici che non batte ciglio quando racconto i miei traslochi. Se ad esempio dico ricordo che da molecola carboniosa avevo sempre pensieri torbidi Nello e Terzi si smascellano per terra, Camilla si gratta perplessa, Bob e Manfredi guardano nel vuoto ubriachi e l’unico che ascolta è Ciocci.
Nel capitolo 13 trascrivo una nostra chiaccherata recente.

sabato 25 febbraio 2012

comunicato stampa

L’incredibile successo delle nostre iniziative (abbiamo superato in meno di una settimana i primi mille contatti) ci ha convinto a rivolgerci d’ora in avanti anche agli studiosi e non solo agli appassionati: da oggi, nella pagina dei “commenti”, l’autore indicherà i testi di riferimento scientifico relativi alle tematiche via via affrontate per consentire al lettore di approfondire quelle che reputa più interessanti. Ci attendiamo entro breve l’adesione del mondo accademico, delle università, dei centri di eccellenza, e con essi l’apporto decisivo delle migliori menti del pianeta: a loro chiediamo di segnalare nei “commenti” i testi più significativi apparsi negli ultimi anni nelle riviste scientifiche, ma anche all’occorrenza singoli passaggi ritenuti fondamentali. Alla fine del romanzo l’autore farà una selezione dei titoli migliori e li pubblicherà nella bibliografia. (Si duole di apparire ancora come “anonimo” ma non riesce a figurare come “membro”, vattelappesca perché)

Dopo sei giorni piuttosto intensi e turbolenti l’editore ha inoltre stabilito una regola che cercherà di rispettare e far rispettare. L’autore s’impegnerà a consegnare ogni nuovo capitolo entro la mezzanotte e l’editore lo pubblicherà subito, senza aspettare il giorno dopo, in modo che il lettore impaziente potrà leggerlo a notte fonda o di primo mattino dopo il caffè e lo studioso potrà trovarci nuovi spunti bibliografici da portare poi in biblioteca. Di ritorno dal lavoro potrà suggerire i propri titoli nella pagina dei commenti.

Ecco la bibliografia essenziali per i primi undici capitoli:

Azzina Luigi, Il dirupo di Canale Monterano, «Quaderni del Dipartimento della Protezione Civile», LVII (1998), pp. 34-47.

Azzina Luigi, Calze di seta, mutande e panforte: le spese equivoche di Sisto IV. Lettura del MS Vaticano 333bis, «Quaderni della Società Italiana di Storia Ecclesiastica», LVI (1998), pp. 45-90.

Ciocci Antonio, Teoria del furto etico, Etrusca Editrice, Cerveteri 2005.

Ciocci Antonio, Ridistribuire il malloppo, «Il grimaldello. Rivista della Società Italiana di Furto con scasso», XVII (2003), pp. 44-69.

Filigeddu Rosa, Orologi a cucù nel campidanese, Scano, Nuoro 2008.

Kaiser Hannah, Metempsychose im alten Deutschland, Frankfurter Verlagsansalt, Frankfurt am Main, 2002.

Maitani Marco, Le pulsioni erotiche dei maestri di sci in Val Pusteria, «Bollettino della Società Italiana di Sessuologia», VII (2003), pp. 3-8.

Maitani Marco, Viagra o panforte, «Bollettino della Società Italiana di Sessuologia», VIII (2004), pp. 12-146.

Porcu Gavino, Lettere dal carcere, Laterza, Bari 2012.

Porcu Pietro, Lettere dal carcere, Laterza, Bari 2012.

Scotta Luigi, Il gatto battineve Pistenbully Paana, in AA. VV., Oggetti belli a motore, Edizioni del Litorale, Ladispoli 2004, pp. 67-68.

Adesso ALTRE PECORE capitolo undici


Siccome pare che l'anima pesi 21 grammi e mezzo, nel caso delle formiche sembra ci sia un'unica anima per ogni formicaio, per quello si riportano sempre dentro i cadaveri delle formicuzze che io sadicamente uccido per i miei esperimenti (l'editore).



UNDICI



Ciocci sostiene di aver studiato furto alla “Sapienza”, un’altra balla spaventosa che non ho mai il coraggio di mettere in dubbio, si dispiacerebbe troppo, ci tiene moltissimo al suo curriculum accademico. Basterebbe dire che non esistono corsi di laurea in furto perché la professione del ladro è tradizionalmente al di fuori della legge e potrei aggiungere che è universalmente noto che l’apprendimento è interamente basato sulla trasmissione orale, spesso di padre in figlio (il primo racconta i suoi colpi al secondo) e sull’apprendistato, come per idraulici e falegnami, prima si passano i ferri al principale e poi a furia di osservarlo alle prese con grimaldelli e piedi di porco si fanno le prime esperienze sotto lo sguardo vigile del titolare e se va bene ci si mette in proprio. Invece non dico nulla, ascolto e scuoto leggermente il capo.

Ciocci sostiene di esser nato a Madonna della Neve, in provincia di Frosinone, e fin qui niente da obiettare. Poi però dice di essersi laureato in furto con scasso col massimo dei voti e la lode alla “Sapienza” di Roma, di aver fatto un master alla Bocconi in clonazioni di Visa Premium, il dottorato a Marsiglia con una tesi su Harrods, che poi sarebbe diventata un libro di successo tra gli addetti ai lavori intitolato Rubare ai ricchi per dare a me. Qui di solito scuoto il capo perplesso, lo sguardo scettico, ma non dico niente.

Quando è particolarmente brillo dice di aver fatto una splendida carriera accademica e di esser stato Direttore del Dipartimento di Appropriazioni Indebite dell’Università di Ragusa, dove avrebbe insegnato Scippo 2 agli studenti della specialistica. In queste occasioni non occorre che comunichi la mia perplessità scuotendo il capo, ci pensa Camilla (che docente è stata sul serio, così almeno dice) sganasciandosi come una tarantolata di Somma Vesuviana.

Lo so, le tarantolate non si sganasciano e a Somma Vesuviana non ci sono ragni Lycosa tarentula, devo essere più preciso con le similitudini oppure evitarle. Camilla si sganascia, si sbellica, si scompiscia, si smascella in preda a una crisi di esplosiva allegria che subito trasmette agli amici di Ponte Sisto, compreso Ciocci che suo malgrado l’ha generata. Di solito la ridarella si trasforma in una danza a metà tra quella degli sciamani australiani e gli indiani Sioux, con Camilla al centro che tarantolando emette canti terrazzati discendenti simili a quelli dei lupi abbruzzesi e noi in circolo che punteggiamo le sue urla con interpunzioni corali galluresi, brevi accordi di terza maggiore sulla parola mba.

Anche in queste occasioni si forma un bel pubblico di passanti e turisti che alla fine della performance applaude chiedendo il bis. Ciocci approfitta della confusione per sottrarre qualche portafoglio, io lo seguo con gli occhi per capire come fa, ma non riesco mai a vedere l’istante in cui la sua mano penetra nella tasca o nella borsetta e ne esce con la refurtiva. È un mago, un artista, l’ho già detto, e poi va anche detto che Ciocci è molto generoso con noi e con la vittima, con noi perché ci offre subito tartine alla polpa di granchio e margaritas, con la vittima perché decide quanto rubare in base al contenuto del portafoglio, se c’è cento porta via cinquanta, se c’è mille porta via tutto, se c’è dieci aggiunge qualcosa lui, e lascia sempre carte di credito e documenti. Ma la cosa più commovente è che questa operazione avviene l’istante dopo il furto, e l’istante ancora seguente il portafoglio è di nuovo al suo posto, una magia.

Poi i passanti passano e noi riprendiamo la routine, osserviamo il Tevere che scorre nel suo antico letto, i rom sui margini a pesca di tinche, i giovanotti che dicono bella a Piazza Trilussa, il traffico impazzito sul lato opposto, e intanto fumiamo un toscano seminuovo raccattato per terra (spesso ce li metto io senza che se ne accorgano, anche se Ciocci di sicuro lo sa, vede tutto).

Io faccio finta di nulla, fumo il mio toscanello appoggiato al parapetto fatto realizzare nel 1598 da Clemente VIII, ma dentro di me resto sempre parecchio perplesso. Insomma, come è possibile che un uomo così sveglio come Ciocci, intelligente, capace di capire da un rapido colpo d’occhio dove sta il portafoglio della vittima, come è possibile che un uomo così racconti cose che stanno per aria come il Dipartimento di Appropriazioni Indebite? Mi chiedo se è solo umorismo sottile o ci creda davvero alle balle che inventa. C’è gente, anche molto intelligente, perfino professori illustri, che inventano storie strampalate e via via che passano gli anni le ricordano come fatti accaduti davvero. È lo stesso meccanismo di appropriazione indebita che si osserva ogni giorno nei luoghi pubblici, c’è sempre qualcuno che ripete opinioni appena lette sul giornale credendole proprie. Non è plagio, perché l’opinione diventa cosa propria e si dimentica la fonte. La storia strampalata diventa accadimento reale. Non è proprio la stessa cosa, me ne rendo conto, l’importante è aver reso l’idea.

Per farla breve non escludo che Ciocci questa storia del Dipartimento di Appropriazioni Indebite l’abbia sognata e poi fatta propria, adesso comunque è vera quanto è vero che Ponte Sisto fu costruito da papa Sisto IV tra il 1473 e il 1479. Non lo costruì di persona, lo fece costruire ai lavoratori dell’epoca, sono stati loro a sudare sette camicie per sette anni, per un totale di 2555 camice sudate da cui però bisogna detrarre le domeniche, circa 350, quindi poco più di 2200, una cifra enorme per l’epoca. Poi il merito è andato a Sisto IV e adesso il ponte si chiama Sisto, una vera ingiustizia visto che è storicamente accertato che lui in quei sette anni non ha fatto altro che solleticare le natiche della moglie del parafreniere pontificio, era il suo hobby. (Qualcuno dice che solleticava direttamente il parafreniere). Nei libri di introito ed esito conservati presso l’Archivio Segreto Vaticano sono indicate le ingenti spese sostenute da Sisto IV per l’acquisto di calzamaglie di seta destinate all’amante e di mutande di lana e panforte per il parafreniere. Proprio così.

La storia della civiltà è fatta di mille ingiustizie, di questo parliamo spessissimo a Ponte Sisto. Camilla è la più battagliera e poi sa un sacco di cose, è lei che ci ha detto che il ponte fu costruito tra il 1473 e il 1479, nessuno di noi lo sapeva. Dai fatti di storia patria si scatena poi la discussione, sempre alticcia ma di buon livello, mai scontata come nei talkshow televisivi, anche se i toni sono accesi come in TV e volano schiaffoni.

Il giorno dopo nessuno ricorda niente, tranne il sottoscritto che è astemio, così capita di ricominciare da capo con lo stesso argomento e capita anche che chi il giorno prima sosteneva una tesi urlando le proprie convinzioni sostenga adesso l’esatto opposto con altrettanto trasporto. L’unica che non cambia idea è Camilla, l’intellettuale del gruppo, abituata evidentemente alla coerenza.

A Camilla intendo dedicare il prossimo capitolo.

EINAUDITO2


Dovete sapere che i rapporti con l'autore sono alla frutta, dopo aver simulato una riappacificazione, la realtà è che non lo reggo più e poi l'Einauditori ha comprato una foto da Maurizzio Corrona che probabilmente farà vendere migliaia di copie di questo romanzo d'appendicite, e così sono in trattative serrate con Marita Berluscani, poi diciamocelo è in ritardo con la consegna del capitolo undici che è la cosa che più mi fa andare in bestia.

venerdì 24 febbraio 2012

ADESSO ALTRE PECORE capitolo dieci


in copertina Adelina e l'autore colti in un momento di intimità

DIECI

Quando ho raccontato ai miei amici la mia morte sugli sci e la nuova vita da abete filosofo quelli erano già alla terza dama di bianco, Camilla ballava da sola importunando i passanti (“ti amo cocco, fai quattro salti con la presente gnocca?”), Ciocci farneticava di colpi in banca dei bei tempi della gioventù, Nello e Terzi giocavano a morra sarda, e insomma ad ascoltarmi c’erano solo Bob e Manfredi. Manfredi suonava la colonna sonora di Schindler’s list, quella originale di John Williams, non quella di "Wojciech Kilar", ed è chiaro che una musica così suonata alla fisarmonica fa piangere anche il marmo di Carrara, e infatti Bob l’americano piangeva e tirava su col naso.
Però a un certo punto ha smesso, è diventato rosso di rabbia e voleva picchiarmi, tanto che Manfredi si è dovuto togliere la fisarmonica per venirmi a difendere, Bob è grosso, se vuole fa molto male. Gli ho chiesto perché, cosa mai gli ho fatto, e lui ha detto che dico troppe balle, che devo smetterla una buona volta, che loro sono uomini sensibili e prima o poi gli viene un infarto, in più con quella musica struggente…poi si è calmato, ha bevuto mezzo litro di bianco di Grottaferrata e ha detto più o meno così:
“Prima dici che nun posso diventà er prossimo Papa perché er cardinale un’anima già ce l’ha e poi stai a raccontà che te sei sdrumato su un arbero gentilissimo che t’ha subbito fatto entrà…anche l’abete già ce l’aveva l’anima, come er cardinale, l’anima de li mortacci tua!”
Questo ha detto Bob e io ci sono rimasto di stucco, di solito non dimostra tanto acume, così gli ho risposto che in casi eccezionali l’anima trasloca anzitempo, prima che il suo compito sia finito, per grave incompatibilità con l’involucro. Così era successo al mio abete, quando ci ho sbattuto era vuoto, poi ho saputo che l’anima precedente a furia di vedere sciatrici strafiche e culetti che ancheggiavano era dovuta uscire, ormai folle di desiderio, ed entrare in un maestro di sci abbronzato mandando a ramengo quella che ci albergava. Il maestro aveva preso lo skylift con la prima sciatrice che saliva consumando un amplesso tra i primi due piloni dell’impianto di risalita.
Qui Bob si è fatto una gran bella risata e gli è passata subito la malinconia, gli è piaciuta molto la storia dei piloni, allora visto che a me piace far ridere gli amici ho continuato dicendo che quel maestro e quella sciatrice avevano deciso di comune accordo di provare su tutti gli impianti di risalita della val Pusteria, seggiovie da uno a quattro posti, funicolari terrestri, cabinovie bifuni e trifuni, seggiovie a morse fisse, ovovie, e poi non ancora soddisfatti avevano rubato un gatto battineve Pistenbully Paana facendoci sesso tutta la notte, ogni tanto rinfrancandosi con una bella fetta di panforte. Qui Bob, quando ho tirato fuori la balla del gatto, si è gettato a terra ridendo a crepapelle e i turisti che passavano lo guardavano inorriditi, qualcuno lo fotografava, però Camilla li faceva correre via proponendogli un tango.
Comunque quella dell’anima che trasloca anzitempo non è una balla, io non le dico le balle, solo quando voglio un po’ colorare il racconto o divertire gli amici. Del resto tutti abbiamo conosciuto qualcuno che di punto in bianco è completamente cambiato, da arrogante a gentile o viceversa, e insomma cosa credete che gli sia successo? C’è stata incompatibilità, è chiaro. L’anima non ha retto più e se n’è andata, ha lasciato l’involucro senza anima, è scappata via. L’involucro si è sentito morire, come il Commendatore, ha detto e dal seno palpitante sento l’anima partir…ma poi non è morto, è solo rimasto senza anima. Se l’anima è fuggita per grave incompatibilità con un involucro criminale e spietato allora è probabile che qualcuno senza saperlo abbia detto la verità, ossia che a quello manca l’anima.
Ci sono involucri che restano vuoti un sacco di tempo, e si capisce, le anime in cerca di un nuovo abitacolo non si fidano, pensano che se alla sua età è ancora vuoto non c’è da fidarsi, dev’essere un poco di buono o avere un caratteraccio. Non era il caso del mio abete, rimasto vuoto per eccesso di fregole represse. E dagli a vedere slalom di culetti invitanti a un certo punto non ce l’ha fatta. Non capita spesso, ma non è difficile immaginare che possa accadere, soprattutto agli involucri fissi, privi di mobilità. Quelli che hanno gambe, pinne, ali o altri sistemi di locomozione di solito cercano di soddisfare i loro desideri senza arrivare a soluzioni così drastiche come il trasloco anticipato, ma non mi sentirei di escludere che anche a molti di loro sia successo.

comunicato stampa


cari lettori e lettrici volevo informarvi che ho commissionato all'amico Careri visto il successo editoriale una versione del suo romanzo per l'infanzia che sarà corredata di un cd interattivo per travestimento digitale in albero, paguro, panforte, orologio a cù cù e quant'altro.

comunicato stampa

L’editore e l’autore del romanzo “Adesso altre pecore” si trovano loro malgrado costretti a informare i lettori che a seguito delle infamanti accuse rivolte loro dal Sig. Pilon, secondo cui l’opera sarebbe già tutta scritta e non redatta giorno dopo giorno come annunciato, dunque una truffa ai loro danni, e a seguito dell’odiosa iniziativa intrapresa dal Sig. Ged che per accertare la truffa propone di far inserire via via nel romanzo parole stabilite dai lettori (per il decimo capitolo la parola “panforte”) è stata avviata dalla magistratura competente un’indagine volta ad accertare eventuali responsabilità penali da parte dei suddetti Sigg. Pilon e Ged, già identificati come i cugini Pietro e Gavino Porcu, residenti a Marina di Sorso presso la nota spiaggia “Platamona” dove insieme gestiscono lo stabilimento balneare “Spicci bellobè”. Editore e autore pregano il lettore di non aderire all’iniziativa del Sig. Ged, alias Gavino Porcu, e giurano sui loro cari che di questo romanzo esistono attualmente solo dieci capitoli, mentre i restanti cinquanta (più epilogo e bibliografia) sono solo nella mente dell’autore, sebbene già vivamente scolpiti.

L’editore, O uno O l'altro
L’autore, Enrico Careri

giovedì 23 febbraio 2012

ADESSO ALTRE PECORE capitolo nove


In copertina l'autore e l'editore si sono riconciliati.



NOVE

Le anime miti e generose sono attratte dai miei quadri, ci traslocano e poi trasmettono benessere a chi le osserva. Se questo è vero, allora si pongono molte questioni delicate che sarà bene cercare di capire. Innanzitutto i criteri generali che determinano gli spostamenti delle anime da un involucro ormai inutilizzabile ad uno nuovo. Immaginiamo che l’anima vada in giro a cercare l’involucro più adatto per lei, ossia che abbia il potere di decidere. Ciò significherebbe che una volta generata (per adesso lasciamo da parte il problema ancor più difficile della genesi) vivrebbe di vita propria spostandosi in base ai propri desideri e bisogni. Quindi se è un’anima nobile non avrà nessuna voglia di finire dentro un bebè che a giudicare dai genitori diverrà un malfattore ignorante e manesco, preferirà un oggetto, addirittura uno stuzzicadenti.
Immagino la scena col Responsabile Smistamento dell’Ufficio Traslochi che offre alle anime in fila le diverse opportunità disponibili.
“Carattere prego?”
“Mite”
“Al momento di umani abbiamo solo un futuro poco di buono, ma può provare a Villa Pamphili, sono appena nati trenta avannotti di buona famiglia ed è stato inaugurato un nuovo spazio per i bambini con tanti giochi ancora liberi…vuole essere uno scivolo?”
“Piuttosto che un furfante mi va bene anche uno stuzzicadenti”
Ma non c’è un ufficio, stavo fantasticando, le anime lasciano la vecchia abitazione e vagano alla ricerca della nuova dimora. Alcune preferiscono un essere umano, altre un pino silvestre, dipende da tante cose. La conditio sine qua non è la compatibilità caratteriale, altrimenti vien fuori un essere o un oggetto dissociato, problematico, pericoloso per sé e per gli altri. Quindi se l’anima è mite cercherà un involucro tendenzialmente adatto ad accoglierla (come si riesca a capire sarà oggetto di riflessioni successive), ma la scelta dipende da cosa è stata fino ad allora, se intende esserlo ancora o preferisce un po’ di pausa. Ad esempio un’anima ha albergato dentro un comico di successo col fuoco nel culo, si è divertita ma adesso vuole riposare, così decide di trascorrere un po’ di tempo dentro un cacciavite nuovo di zecca. Oppure l’anima di un sequoia secolare che si è ammalato ed è stato abbattuto per farne comodini che decide un involucro meno immobile visto che è stata ferma per trecento anni. O l’anima dello stesso sequoia che era talmente affezionata al suo involucro che decide di entrare in uno dei comodini.
Se l’anima si sbaglia sono guai, l’involucro presenta subito dei disturbi psicologici molto gravi che non di rado lo conducono in una casa di cura. Che ci fa infatti un’anima mite in un corpo manesco pronto a fare a botte per un nonnulla? Lo so, qualcuno potrebbe dire che è impossibile, se l’anima è mite il corpo non può essere manesco, e invece non è così, c’è una componente caratteriale che si eredita tutt’altro che trascurabile che in questi casi sfortunati entra in corto circuito con l’anima. E allora si assiste (questa poi è esperienza di tutti) ad una crisi violenta con calci e pugni e subito dopo al pentimento disperato e alle scuse. Il soggetto è combattuto, si sente abitato da diavoli e angeli, picchia e chiede scusa, un disastro.
Se l’anima delicata e sensibile entra nel corpo di un placido bebè che da grande acquista i caratteri somatici del peggiore dei maschi pelosi attaccabrighe può anche succedere che essa, l’anima, prevalga sul DNA generando situazioni davvero comiche che tutti conosciamo: l’omone peloso con la faccia cafona da antico romano (o moderno, è uguale) si comporterà da gentleman cedendo la sedia ai vecchietti in autobus o aiutandoli sulle strisce, da sganasciarsi.
E viceversa, l’uomo sbarbato e ben curato, dai tratti fini e aristocratici, che poi prende a calci le vecchiette e spara bestemmie irripetibili.
Una volta anch’io ho sbagliato, io che sono un tipo tranquillo, pacato, riflessivo sono finito dentro un tizio che dal babbo aveva ereditato l’incapacità di stare seduto un momento, un fuoco perenne nel culo. È stato uno strazio, tutto quello che facevo non mi soddisfaceva, se prevaleva la mia anima mite e mi mettevo in poltrona a leggere poesie sentivo dentro la smania di uscire a fare jogging e non riuscivo a concentrarmi sui versi, se invece andavo fuori a correre mi venivano i pensieri che stavo perdendo tempo, che avrei dovuto legger versi. Tutto sempre così, nessuna via di mezzo. Si chiama dissociazione, perdita del senso di coerenza e coesione personale, e può avere conseguenze molto gravi. Io per fortuna sono morto giovane, leggevo Rimbaud facendo una nera in montagna e sono finito su un abete, che tra l’altro, davvero molto gentile, mi ha subito accolto dentro di sé.
Da abete osservavo quei matti sulla pista di sci, salivano, scendevano, cadevano, si affannavano, si congelavano, gli scappava, gli prudeva la calzamaglia, e non stavano fermi neanche in seggiovia, chi a telefonare, chi a mettersi il burro di cacao, chi a togliersi i guanti per soffiarsi il naso, chi a rimetterseli, un lavorio continuo, disordinato, frenetico. Guardarli dalla mia posizione privilegiata, ben saldo sulle radici, senza problemi di caldo o freddo, di cibo, senza le seccature che affliggono l’essere umano tipo pagare le multe alla posta o trovare parcheggio, mi faceva riflettere sul senso della vita umana e vegetale. Gli uomini sono incapaci di star tranquilli, di star seduti in poltrona a guardare il fuoco nel camino o scrivere un endecasillabo, ce ne sarà uno su mille che si sveglia al mattino e decide di non fare assolutamente nulla, come se l’inazione, che è la cosa più bella e filosofica che esiste, fosse una brutta malattia, invece Oblomov aveva capito tutto. Da abete li guardavo questi sciatori e non riuscivo a reprimere un senso di incolmabile superiorità, io stavo lì, fermo, a svolgere quel minimo di funzioni automatiche che mi tengono in vita, succhiare nutrimento da mamma terra, e loro dopo tutte quelle cunette dovevano andare in albergo, poggiare gli sci, togliersi gli scarponi, farsi la doccia, vestirsi, fare quattro chiacchiere, mangiare, digerire e magari andare pure in discoteca o far sesso, da uscir pazzi.
Anche perché tutte quelle azioni richiedono uno sforzo anche intellettuale che distoglie la mente dalla riflessione pura, filosofica, astratta, che è il fine ultimo dell’essere vivente (umano, animale, vegetale, ma anche minerale eccetera) sebbene molti la credono lo strumento attraverso cui comprenderlo. Infatti per fare quelle azioni bisogna decidere di farle, decidere di mettersi la calzamaglia, i calzerotti, i calzoni da sci eccetera, decidere di comprare lo skypass, decidere se è il caso di fare il giornaliero o bastano dieci salite, decidere se andare con Nando che scia bene e si possono fare tutte le piste o con Francesca che è una schiappa ma è bona, un sacco di decisioni che fanno venire il mal di testa e distraggono dai pensieri alti.
L’abete invece medita quanto vuole, quindi sempre, perché il nutrimento non richiede particolare sforzo fisico o intellettuale. Certo ci sono alcune scelte che devono esser fatte, a seconda delle condizioni di salute del tronco, della chioma, della corteccia, delle foglie, dei fiori e degli strobili (cioè le pigne) è necessario attivare un sistema nutrizionale mirato a selezionare alcuni alimenti piuttosto che altri, ma non ci si pensa ogni giorno, solo ogni tanto, poi va tutto in automatico, un lusso che animali e umani si sognano. L’uomo prima di mangiarsi un pollo arrosto deve fare una quantità spaventosa di azioni, un po’ meno se lo compra già cotto in rosticceria, per non parlare del gatto se vuol mangiare un pettirosso, attese infinite, agguati andati a vuoto, altre delusioni, poi tutte quelle penne schifose da sputare… mentre l’abete si beve il nettare squisito che gli regala madre terra senza alcuno sforzo, e vi posso assicurare che è celestiale, molto meglio del miglior Brunello di Montalcino.
La noia? Non sa proprio cosa sia, non la conosce. Dovete immaginarvi l’abete rosso di montagna, o peccio, come una specie di Leopardi che seduto davanti a una siepe osserva interminati spazi in bilico tra la perdita di sé stesso (così tra questa immensità s’annega il pensier mio) e il piacere che ne deriva (e il naufragar m’è dolce in questo mare). Però c’ero dentro io, un’anima leopardiana felice di osservare l’infinito dal Monte Tabor, gli altri abeti non so, può darsi che qualcuno si rompa a star fermo tutto il giorno senza neanche potersi grattare la corteccia. Poi ci sono gli inconvenienti, tipo le incisioni di iniziali e le pisciatine, ma son poca cosa, il fastidio di un momento.

EINAUDITO


Volevo informare la gentile clientela che i diritti sono stati ceduti all'Einaudi , Marita Berluscani in persona ha voluto cambiare leggermente il titolo.
Ormai i rapporti con l'autore erano insostenibili, della serie dieci mail al giorno... ordini, minacce, ricatti... e poi dice di essere uno gentile, la povera Adelina si deve essere sicuramente gettata da quel dirupo.

DOMANDA

oggi in studio non volevano partire ne la stufa ne il computer, che le due cose siano collegate?

ADESSO ALTRE PECORE capitolo otto




Con l'aiutto della mia redazzione stiamo apportando delle leggere correzzioni di cui l'autore non é al corrente ma che non sembra nemmeno accorgersi
ad essempio un "pottuto" in "pottute".

OTTO

Naturalmente ho pensato a lungo al mistero dei miei quadri, al loro potere soporifero, analgesico, tranquillante, tonificante, erotizzante e quant’altro. Sono solo nature morte ma conciliano il sonno, rendono felice il risveglio, ringalluzziscono i sensi, insomma hanno effetti molteplici e talvolta apparentemente inconciliabili (ad esempio dispongono al sonno ma sono anche afrodisiaci) che però conducono chi li osserva allo stesso piacevole risultato, un bel sorriso di intensa e gaia felicità.
Che fosse solo un caso? Eppure i miei albergatori non sembravano aver dubbi, c’era un prima senza quadri e un poi coi quadri, e il poi vedeva sempre il trionfo dell’albergo e i profitti moltiplicati. Il motivo del successo lo dicevano i clienti al risveglio, la natura morta appesa in camera, molti offrivano cifre a molti zeri per portarsene una a casa. Chi soffriva di insonnia riusciva a dormire, chi non soffriva di insonnia dormiva meglio, chi aveva dolori alla schiena si svegliava atletico, chi era depresso felice e così via, un toccasana come lo specifico di Dulcamara:

Ei move i paralitici,
spedisce gli apopletici,
gli asmatici, gli asfitici,
gl’isterici, i diabetici,
guarisce timpanitidi,
e scrofole e rachitidi,
e fino il mal di fegato,
che in moda diventò.
Comprate il mio specifico,
per poco io ve lo do.

Ma l’elisir di Dulcamara è un imbroglio, mentre le mie nature morte funzionano sul serio, e così cercavo di capirne la ragione studiandone forme e colori, convinto che fosse nella loro qualità pittorica il motivo dell’effetto benefico. Del resto già gli antichi greci sapevano che l’arte può condizionare l’animo rendendolo malinconico e depresso o al contrario audace e battagliero. Quindi perché stupirsi che un semplice cestino di frutta potesse mutare gli umori?
Forse il segreto non era nelle forme ma nei colori, il giallo delle banane, il verde delle mele, il rosso delle pesche e dell’anguria. Feci allora un esperimento, utilizzai gli stessi colori dei frutti per fare un dipinto astratto che regalai ad un albergatore di Filadelfia, Michael Lo Piccolo, pregandolo di scoprirne gli effetti sui clienti. Rispose che l’aveva provato su sé stesso e gli era passato subito un herpes zoster ovvero il micidiale fuoco di Sant’Antonio, un serpente di fuoco che lo stava portando alla follia. Insieme alla risposta c’era un assegno di tremila dollari.
Dunque erano i colori, così sembrava, eppure continuavo a titubare perplesso. Feci allora un altro esperimento, disegnai a carboncino una natura morta identica alle altre, senza colorarla, e la inviai allo stesso albergatore di Filadelfia pregandolo di nuovo di scoprirne gli effetti. Lui mi scrisse di averla provata su sé stesso e sulla cameriera (insieme?) e che ne voleva altre dieci, una per ogni vano della propria casa, compresi WC, corridoi e disimpegni. Allegava un assegno di diecimila dollari
Quindi non erano solo i colori, anche le forme senza colori, o più semplicemente i miei quadri indipendentemente da forme e colori. Feci ancora un esperimento, inviai al solito albergatore una tela completamente bianca, con un taglio tipo Fontana, le mie iniziali e la data. Dopo un paio di settimane scopro che il mio conto in banca è lievitato di ventimila euro grazie a un bonifico proveniente dalla Sleep Well di Filadelfia, la rete di alberghi di Michael Lo Piccolo (sulla causale c’era scritto I love you).
Mi venne pure un’idea che non realizzai, ossia di inviare in America un quadro di Nello o Terzi spacciandolo per mio. Ma sarebbe stato scorretto e non lo feci, e poi ormai si faceva strada nella mia testa la soluzione del problema, sentivo di esserne vicino ma non riuscivo a formularla in modo chiaro, segno che avevo ancora le idee confuse. Eppure era così semplice: era l’anima, ma certo, l’anima!
Possibile che uno che da millenni trasloca da un involucro all’altro, oggetti, piante, animali, uomini, donne, non abbia capito subito che anche i quadri hanno un’anima? Sono stato fiume, paguro, taccuino, stampella (stampella per poco), crocifisso e cinghiale, quindi avrei dovuto immaginare subito che si può essere anche quadro. Che poi le anime che albergano le mie nature morte abbiano tutte effetti benefici dipende probabilmente da me, dal modo in cui le dipingo, che riflette la mia anima mite e generosa. Le anime sono attratte dai miei dipinti perché li considerano i luoghi ideali in cui traslocare, essendo anch’esse miti e gentili. Ma devono essere anche magiche se è vero che guariscono il fuoco di Sant’Antonio. Qui si pone di nuovo un problema: esistono le anime magiche?
Purtroppo non c’è più Adelina, altrimenti avrei chiesto a lei. Mi avrebbe di sicuro saputo rispondere. Adelina era meravigliosa, viveva sulle nuvole e da lì riusciva a vedere meglio il mondo, riusciva a capire un sacco di cose. Ogni tanto scendeva per abbracciarmi, poi saliva di nuovo sui nembi e osservava silenziosa dabbasso. A cena parlava di cose strane, io non capivo nulla ma la stavo a sentire incantato, potevo passare ore ad ascoltare quelle parole prive di concetto così poetiche e musicali che nemmeno un violoncello avrebbe potuto dir meglio.
Ma Adelina non c’è più. A dire il vero c’è, l’ho già detto, è un orologio a cucù, ma adesso è ancora più difficile capirla, ogni quarto d’ora dice che mi ama ma poi comincia discorsi complicatissimi che a me sembrano soprattutto constatazioni, anche questo l’ho detto, constatazioni e suggerimenti. Adesso dico una cosa che non dovrei dire, penserete che solo una mente assassina e perversa può immaginare una cosa simile, ma la dico lo stesso perché mi sono ripromesso di scrivere tutto, proprio tutto. Bè, insomma, ogni tanto mi vien voglia di portare il cucù a Canale Monterano e…si…buttarlo nel dirupo…così l’anima di Adelina trasloca di nuovo, magari questa volta in una bella norvegese o svedese, ma va bene anche una siciliana. Anche una di Cerveteri, però meglio norvegese, una Astrid o Frida o Ingeborg, che solo il nome mi fa svenire d’emozione.
È che ho molta nostalgia del suo calore fisico, un orologio a cucù per quanto mi sforzi di pensarlo donna è solo un oggetto. Adelina stava sempre sulle nuvole, in un mondo tutto suo, avvolta nella nebbia dei suoi pensieri astratti, ma era anche capace d’esser donna. Ed era una vera artista, non come me. Conservo tutti i suoi quadri e se non fosse per il magone che mi prende quando li vedo non farei che contemplarli dalla mattina alla sera. Ma sono come Schubert, mi immobilizzano per molte ore, mi annientano con la loro bellezza. Adelina sapeva metterci dentro il sorriso e la poesia, ma anche tanta malinconia. A pensarci bene c’è tutto, basta solo volerlo vedere.
Il cucù non lo rompo, questo è sicuro, però se si rompe da solo sarò contento. Ho già pensato a tutto. Avrò bisogno di molto tempo per cercarla, non sarà facile, dovrò riconoscerla tra mille cose diverse, anche se spero che questa volta sia norvegese. Quindi non potrò dedicarmi alla pittura. Per questo ho già stanziato un bella sommetta che mi servirà per la ricerca. Ho calcolato tutto, spese di viaggio, soggiorni in albergo, ristoranti, biglietti per cinema, teatro, opera, perché lei (spero proprio una lei) potrà trovarsi ovunque. La cercherò nei musei, nelle spiagge tropicali, nei ristoranti di lusso, nelle piste di sci, sulle barche a vela…i soldi non mi mancano, li ho messi da parte per questo.
E la troverò, la mia Adelina, certo che la troverò.

capitolo sette


le foto in copertina sono di Bobby Neel adams: agemaps consiglio di vederle tutte



SETTE

Adelina adesso è un orologio a cucù. L’ho appesa in soggiorno e ogni quarto d’ora mi dice ti amo e anche altre cose che però non capisco, credo si riferisca alla sua nostalgia per le valli alpine o forse a Innsbruck, spero che non si lamenti per dove l’ho messa. Ma non sembra un lamento, sembrano constatazioni o suggerimenti, tipo piove o ricordati il latte. Cara dolce Adelina, amore della mia vita. Quando mi sento molto solo la vorrei portare con me nel letto, ma ho paura di morire nel sonno ed esser trovato abbracciato a un orologio a cucù.
L’ho detto ai miei amici che mia moglie è un cucù, non ci hanno creduto tranne Ciocci, per lui era normalissimo. Diceva che siamo tutti falsi, inventati da una penna perversa, che lui inventato lo è di sicuro ma lo sono anch’io, quindi perché sorprendersi di una moglie cucù? Il suo discorso era ineccepibile, ma partiva da argomentazioni sballate, cioè che fossimo tutti falsi. Ma come può dire una cosa simile? Quello si è bevuto il cervello! Un discorso è il cucù, normalissimo, un’altra è che viviamo nell’immaginazione di uno scrittore, pura follia.
Ma devo finire la storia del mio apprendistato. Ho già detto che c’era venuta una tale passione per la pittura, Adelina coi suoi monti ed io cogli orizzonti, che volevamo farci costruire un atelier sul solarium. Poi Adelina è venuta a mancare e non se n’è fatto niente, ero troppo triste per pensare al futuro, anzi volevo gettarmi anch’io nel dirupo o dal solarium. Il giorno del funerale, come si usa a Marina di San Nicola, sono venuti i vicini a farmi le condoglianze e io gli ho offerto i tozzetti al cioccolato, anche questa una tradizione locale. Si mangiano tozzetti e si dicono parole di conforto ai familiari del defunto. Tra i presenti c’era un tale, grosso, vestito da agente immobiliare con le caratteristiche scarpe a punta e il colletto della camicia enorme e rigido. Si guardava attorno come per fare un preventivo, ma a un certo punto dice mi dispiace per sua moglie, lei però è un vero artista, e per fortuna è vivo, permetta che mi presenti, Oscar D’Amelio, albergatore. Gli dico piacere e grazie del complimento e lui subito attacca a propormi di vendere tutti i miei quadri (non quelli di Adelina, che comunque non avrei mai dato via) per appenderli nelle stanze del suo albergo Miramare quant’è bello. Mi offre una cifra pazzesca e io non ci penso due volte, vendo. Li avrei fatti di nuovo, pensavo, e con i soldi potevo pagare il funerale.
Passarono poi mesi orribili, mi sentivo l’ultimo degli uomini ed era un miracolo che al mattino non corressi a Canale Monterano per gettarmi nel baratro. Un bel giorno, si fa per dire, Oscar D’Amelio mi chiama al telefono e mi chiede un appuntamento per parlare d’affari. Si presenta nella mia nuova villona appena ristrutturata ma triste più di un obitorio, trecento metri quadri per un uomo solo distrutto dal dolore, mi sarebbe bastato un camper, si presenta e dice subito che da quando ha appeso i miei quadri la clientela è triplicata, quindi vuole costruire due nuovi alberghi e metterci altri dipinti del grande artista. Dice proprio così, del grande artista.
È stato un vero toccasana, mi ha ridato fiducia e voglia di non gettarmi nel dirupo. Ho detto di si e mi son messo al lavoro. In circa due mesi ho dipinto venti nuove tele, sviluppando già allora una tecnica di tipo industriale, cioè dipingere contemporaneamente più tele per non perdere tempo. Perché il problema numero uno per chi dipinge quadri figurativi è che capita spesso di dover aspettare che il colore si asciughi, qundi se si dipinge un quadro per volta ci vogliono molte settimane. Per fortuna nella nuova villona non mancavano gli spazi, c’era una sala hobby nel seminterrato di cento metri quadri, gigantesca, forse un po’ umida ma non si può avere tutto. Ho comprato dieci cavalletti all’ingrosso, le tele e un bel po’ di tubetti, poi subito al lavoro: preparazione dello sfondo, cestino, frutti, optional per diversificare un po’, una bottiglia qua, un violino là, un trespolo con bengalino, un calendario Pirelli.
D’Amelio era entusiasta, mi diceva che molti clienti che dovevano restare una notte si trovavano talmente bene che prolungavano il soggiorno per una settimana, che c’era addirittura una coppia sui sessanta che non se ne andava più, la camera con il mio quadro gli aveva ridato la gioia che credevano persa, avevano addirittura ripreso una regolare ed intensa attività amorosa, questo lo dicevano le cameriere che al mattino rifacevano il letto, un campo di battaglia.
Va da sé (quanto mi piace scrivere va da sé!) che le voci girano e presto accadde che cominciarono ad arrivare richieste da altri albergatori, prima della zona qui intorno, Torrimpietra, Castel Di Guido, Maccarese, Fregene, e poi da molto lontano, Seattle, San Francisco, Los Angeles, New York. Capite bene che per un pittore che c’è diventato per caso, autodidatta, che dipinge per hobby e poi vende le prime tele negli alberghetti del litorale laziale, ricevere commissioni da New York è qualcosa di incredibile, adesso mi sono abituato ma allora mi sembrava di vivere in un sogno. Era successo così, un certo John Osborne di Seattle era venuto a Roma per affari e aveva pernottato una notte in un albergo di Tarquinia, rimanendo entusiasta del senso di riposo provato al mattino. I didn’t feel so well from buggy’s time, non mi sentivo così bene dai tempi del passeggino, diceva in giro, e l’albergatore gli confidò il segreto, era merito dei miei quadri, in tutto l’alto Lazio e la bassa Maremma non c’è un hotel senza le nature morte del maestro del colore, così mi chiamavano prima del soprannome che mi hanno appioppato in seguito, Megliodigiotto. Quel tale Osborne era a capo di una rete di alberghi che copriva tutta la costa atlantica degli Stati Uniti, da Boston a New York, Filadelfia, Washington fino a Miami, e in tutti i suoi alberghi decise di mettere i quadri del grande artista italiano. Da allora non ho più smesso di dipingere nature morte e spedirle negli Stati Uniti.
L’unico problema è che sono incapace di farmi pagare molto o giusto, non ci dormirei la notte e sarebbe un vero paradosso: proprio io che con i quadri faccio dormire migliaia di persone come angioletti poi rimango insonne coi sensi di colpa. La tela costa quindici euro, il colore altri dieci, l’acqua ragia cinquanta centesimi, l’usura del pennello altri cinquanta e poi la manodopera, quindi ventisei euro più la manodopera, io chiedo duecento più le spese di spedizione. Mi sembra giusto, ma so che in America se la ridono, sanno che se l’offerta cresce deve crescere anche il costo della merce. Ma sono solo nature morte, cestini di frutta, come faccio a chiedere di più! E a me comunque basta, ho già detto che posso permettermi anche il filetto, ogni tanto.
John Osborne mi ha proposto di essere il mio manager, dice che se mi trasferisco in America faremo affari d’oro, diventerò l’uomo dell’anno della rivista Time. Io ho risposto di no, per adesso sto bene qui, e poi ho gli amici di Ponte Sisto. Ho scritto ad Osborne che se vado in America rischio di vedere inaridita la mia vena artistica (tutte balle, lo so) come è successo a tutti gli artisti europei che ci sono andati durante il nazifascismo (altra balla gigantesca) e poi avrei troppa nostalgia dei miei amici. Mi ha risposto che se ci vado darà ai miei amici una pensione di quattromila dollari al mese più vitto e alloggio gratis in uno dei suoi alberghi. Mi è venuto un colpo, i miei amici ci resterebbero secchi, non vedono un centesimo dai tempi della lira, che ci fanno con tutti quei soldi? Lo so che ci fanno, si rovinano, invece del vino dei castelli finiscono a whisky and soda, durano al massimo un paio di mesi. Quindi non dirò niente, per adesso non dico niente.

mercoledì 22 febbraio 2012

ADESSO ALTRE PECORE capitolo sette




Ormai andrò avanti solo con le copertine poichè l'autore ha una crisi di identità e non si ricorda più chi è veramente ne tanto meno quello che voleva scrivere

ADESSO ALTRE PECORE capitolo sei


una foto di quando l'editore era una verde collina


SEI

Con gli hotel per adesso va bene, arrivo tranquillamente alla fine del mese e ogni tanto posso concedermi anche il filetto. Adele mangia Eukanuba mica croccantini dozzinali. E una volta alla settimana viene Giovanna a dare una rassettata alla casa (le camice le stiro io). Preciso però che l’espressione arrivo tranquillamente alla fine del mese era solo un modo di dire, perché sono libero professionista, non vado a mensilità
Lavoro soprattutto con clienti americani, loro d’arte ne capiscono un’acca, basta un cestino di kiwi e sono contenti, poi siccome hanno alberghi giganteschi e faccio un buon prezzo, mi fanno ordinazioni industriali, tipo cento cestini di frutta mista, cento di frutta fresca e cento di frutta secca con datteri, io ci metto più o meno un anno tolte le feste e i giorni (tanti) che non mi va di dipingere, e ci vivo tre anni. Ci vivrei tre anni, perché non mi fermo mai, chi si ferma è perduto, quello che non spendo lo metto da parte, dopo dirò perché. Ne faccio dieci alla volta, prima preparo le tele, faccio dieci sfondi tutti uguali, mi conviene perché compro i colori all’ingrosso, il giorno dopo dipingo i cestini, dieci cestini, il giorno dopo le mele, e così via con pere, banane eccetera, si fa prima. Se vogliono frutta esotica il prezzo raddoppia, è molto più difficile, e poi a richiesta ci sono gli extra, una bottiglia di vino, un vaso di fiori, un clarinetto. Per gli extra nel mio sito c’è una tabella coi prezzi.
Alcuni hotel mi chiedono soggetti spaventosi, io li accontento senza fiatare ma non li firmo, rischierei la vita. Capita a tutti in albergo di vedere un quadro orrendo ed aver voglia di strozzare l’autore. Se uno dipinge migliaia di quadri prima o poi qualcuno lo strozza. Questi nemici dell’arte vogliono nature morte assortite, non solo cestini di frutta, anche oggetti della vita quotidiana, uno spazzolino da denti, un pacchetto di gomme, la denuncia dei redditi, il telecomando, come se volessero ricreare nelle stanze del loro hotel il calore disordinato dell’ambiente domestico. Oppure nature morte con crocifisso e bare in lontananza, nature morte erotiche coi frutti disposti nel modo che si può immaginare, o ancora nature morte del ventunesimo secolo, con ipod touch e telefonini. Mi è capitata anche una richiesta talmente oscena che l’ho dovuta rifiutare: un tizio di Cincinnati voleva dieci tele formato monitor con la home page del sito dell’hotel, ci doveva essere tutto, file, modifica, visualizza, preferiti eccetera. Gli ho scritto che non potevo perché si era ammalato il gatto. Coi matti bisogna sempre adeguarsi, si aspettano risposte come questa.
Mica trascorro la mia vita d’artista a dipingere pere e mele, fossi matto! Con pere e mele mi guadagno da vivere, poi per divertirmi faccio cose molto più belle. Un po’ come Simenon, scriveva gialli per campare e poi romanzi bellissimi, anche se sempre cupi. Le mie nature morte sono un buon prodotto come le indagini di Maigret, ma niente di più. Georges Simenon è stato uno dei più prolifici scrittori del ventesimo secolo, anche in questo ci somigliamo: lui ha pubblicato circa 450 romanzi, ne ha venduti 700 milioni di copie tradotti in 55 lingue, quindi una diffusione planetaria, io avrò dipinto circa 5000 nature morte, finite però quasi tutte negli Stati Uniti e nella provincia di Roma, dove è cominciata la mia carriera (Ceri, Castel di Guido, Maccarese, Torrimpietra, Ladispoli, insomma il litorale a nord della capitale). Riassumendo e per capirci meglio: Simenon scriveva Maigret con lo stesso spirito con cui io dipingo le nature morte, per poter fare cose più belle.
C’è però una differenza, lui queste cose belle le faceva tragiche perché era un uomo triste, quindi c’è sempre nebbia, freddo, umidità, stanchezza, malinconia nei suoi splendidi romanzi, io invece le cose belle le faccio gioiose, piene di colore, ridenti, sembrano feste di bambini con festoni e stelle filanti. Sono aggregati di colori felici, il giallo, l’azzurro, il rosso, l’arancione, uso molto il blu di Prussia con molto bianco, viene fuori il mare della Sardegna che per me è il sinonimo di gioia allo stato puro. Non uso mai il nero e il grigio (solo con punte di blu di Prussia), e mai i colori autunnali delle foglie secche. Il risultato quindi è per forza allegro. Questa è una differenza con Simenon, l’altra è che lui è famoso ed io no, io sono un perfetto sconosciuto e la ragione è semplice: non vendo i prodotti migliori della mia arte, me li tengo, vendo solo nature morte. Quindi al massimo sono famoso tra i gestori d’hotel americani e del Lazio tirrenico.
A proposito del Lazio tirrenico, qualche cenno sull’inizio della mia attività di pittore. Come accade spesso è stato un caso, io fino a trentanni non dipingevo. Un bel giorno capita che mia moglie ed io, mia moglie Adelina, quella finita nel dirupo, decidiamo di traslocare, di fuggire dalla città caotica e andare ad abitare al mare, precisamente a Marina di San Nicola, a trenta chilometri da Roma. Vendiamo la casa di Borgo Pio e col ricavato compriamo un villone a pochi metri dalla spiaggia. Che però dev’essere ristrutturato, quindi prendiamo in affitto una villetta modesta per seguire da vicino i lavori. Fatto sta che in questa villetta c’erano ovunque alle pareti quadri di una bruttezza mai vista prima, talmente brutti da uccidere all’istante una persona mediamente sensibile. Li abbiamo subito coperti con le pagine economiche del Corriere della sera, ma ci è bastato quel primo giorno d’affitto per gettarci in una depressione così acuta da costringerci per un paio di mesi a fare ogni giorno jogging per almeno tre ore, la fatica fisica infatti era l’unico modo per toglierci il magone e farci dormire la notte.
Quell’esperienza mi ha insegnato che la pittura può cambiarci la vita e che i quadri che appendiamo in casa possono orientare le nostre emozioni e i nostri pensieri. Ancora non immaginavo che sarei diventato pittore, avevo solo capito che l’arte può condizionare la nostra vita e che avrei dovuto fare qualcosa per migliorare l’ambiente in cui provvisoriamente avremmo abitato. Infatti, pur coperti dai giornali, quegli orrori continuavano a esercitare il loro potere malefico, bastava guardare i giornali per aver voglia di farla finita, di gettarsi nell’acqua gelida del mare o mangiare il minestrone della vicina, sicuramente letale a giudicare dall’odore.
Abbiamo comprato tele, colori a olio, pennelli e acqua ragia e ci siamo messi a dipingere. Adelina era brava, faceva paesaggi montani, dipingeva il suo Tirolo, con prati, mucche, ruscelli e monti innevati. La osservavo ammirato, sentivo cantare dentro di me gli jodler rassicuranti e sereni dei montanari sudtirolesi, i gorgheggi gioiosi, e mi venivano in mente i testi di quelle splendide canzoni: quando è sera ed il sole tramonta tra le vette del dolce Tirolo, penso a Innsbruck e alla bionda Hannelore…Io invece ero un disastro, all’inizio ero un disastro. Provavo a dipingere una barca e mi veniva un fagiano, e viceversa, non c’era modo che il pennello realizzasse quello che la mia testa gli diceva di fare, col risultato che mi toccava correggere quelle schifezze spremendoci sopra interi tubetti di colore. Venivano fuori quadri astratti, a volta neanche così brutti, anzi alcuni decisamente belli, li conservo ancora. E poi in quel modo ho fatto esperienza, sia a mischiare i colori utilizzando il bianco, fondamentale, che a variare la pressione del pennello. Insomma in poco più di un mese abbiamo raggiunto il nostro primo scopo, appendere alle pareti i nostri quadri, e nel mese seguente abbiamo raffinato le rispettive tecniche. Io sono passato rapidamente dal quadro astratto per necessità, quello che nasce figurativo e diventa astratto per correggere gli sbagli, alla pittura di orizzonti marini, prima semplici (mare e cielo), poi via via più complessi (mare increspato, cielo con nuvole), infine virtuosistici (mare in tempesta, nuvole cariche di pioggia, tramonto in lontananza). Le ore trascorse a dipingere le onde e le nuvole mi hanno fatto capire i segreti del mestiere e quando finalmente abbiamo traslocato disponevo ormai di una tecnica di tutto rispetto.
E poi ci avevamo preso gusto, avevamo addirittura deciso di farci costruire un atelier sul solarium in modo da avere uno spazio sempre attrezzato per la pittura, dove poter lasciare quadri e pennelli senza dover ogni volta mettere tutto a posto. Purtroppo quel sogno non si è realizzato perché Adelina è precipitata e adesso vive con me dentro un orologio a cucù.