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mercoledì 13 giugno 2012

SU FOGU fine



54. - ... proprio così, capisci che tragedia! - spalancai l'anta della finestra, lasciando entrare una folata di ponente, ancora tiepida in quell'inizio di ottobre. Non mi stancavo di contemplare l'insolito panorama, rischiarato da una luce che non posso che definire radiosa. Continuai il mio racconto. - I due si sono conosciuti casualmente, per un ramo pericolante e quasi subito sono finiti a letto. Salvatore è un bel tipo, la signora chissà: ho visto le sue foto, all'inizio della vicenda; quando tutto è finito le ho riguardate, per togliermi la curiosità. Sembra un tipo non fatale, ma sexy... capisci?
- Veramente no.
- Va bene, non importa. Di quelle donne che per strada non ti volti a guardarle ma che, se sono in treno e accavallano le gambe, la componente maschile dello scompartimento distoglie all'unanimità lo sguardo dal giornale. Insomma si sono piaciuti e hanno cominciato ad andare a letto insieme. Naturalmente non c'è voluto molto perché le "sorelle della Costa" subodorassero la tresca e la notizia cominciasse a circolare. Però, in questo caso, circolava incompleta e frammen­taria, forse perché la Rinaldi non era del giro: l'inge­gnere preferiva ad­dirittura trascorrere gran parte dell'estate a Siniscola, capirai, con una villa come quella sulla Costa Smeralda! Infatti la moglie del barone, la D'Elia, conosceva moltissimi partico­lari ma non è mai riuscita ad arrivare al succo.
- Forse sapeva e non voleva parlare.
- E perché mai? è stata lei ad offrirsi di collaborare con me. Quando tutto è finito l'ho chiamata per telefono, per ringraziarla. Era sinceramente stupita e sembrerà quello che vuoi, ma certo non è un'attrice di prima grandezza. - Sorrisi. - Ora io non so proprio se la crisi matrimoniale dei Rinaldi sia l'effetto o la causa della tresca. Non so nemmeno se il tragico racconto dell'ingegnere sia tutto inventato: stando a quanto mi ha detto lui, le prime avvisaglie risalivano a molti anni prima. In questo caso l'amorazzo con Deidda sarebbe l'effetto e non la causa. Ma questo non conta assolutamente nulla: finisce la prima estate, la Rinaldi parte e Salvatore riprende la sua vita. L'estate dopo, cioè questa estate, su fogu - d’amore, però - si rialimenta. Questa volta i due si scoprono un po' troppo: approfittando della libertà che gli deriva dal suo mestiere, Salvatore prende sempre meno precauzioni e in questo modo si tradisce, almeno due volte. La prima: il vecchio giardiniere nota qualcosa che non va e, visto che non è certo il tipo del pettegolo, questo qualcosa do­veva essere ben evi­dente; lo racconta alla moglie e lei, che invece è maligna, spiffera tutto alla povera Chiara. La seconda: il suo avanti-indietro lungo la litoranea, a bordo di una voluminosa e appariscente Range Rover, viene notato e per di più dalla famiglia di un pregiudicato.
- Niente precauzioni!
- Esatto. E una come la Rinaldi, secondo me non aveva il fisico. E neppure la testa. Il marito sarà anche un bugiardo, ma quei quintali di sonnifero e tranquillanti li ho visti con i miei occhi. Ce li aveva tutti, una specie di collezione. D'altronde, te l'ho detto che era una maniaca dell'ordine e della completezza.
- Strano per una donna ricca.
- Un po' banale, come osservazione, ma non del tutto sbagliata. Ma io ho un'altra ipotesi.
- Sarebbe?
- Era lei l'uomo, in quella casa. L'ingegnere è una nullità, una bella e fascinosa nullità. Un play boy anni sessanta che aveva attaccato il cappello: un buon matrimonio, i soldi, la villa in città, al mare e in montagna e la possibilità di mettere a frutto una laurea presa nei ritagli del night. Una piccola impresa che le conoscenze del suocero e i suoi miliardi fanno quasi subito diventare importante, una delle maggiori dell'hinterland milanese. Per un po' resta a galla, ma quando il gioco si fa duro, le conoscenze non bastano più, e la ditta affonda nei debiti. Debiti che si pagano con i soldi di famiglia: in un certo senso aveva ragione Ferru, bisogna riconoscerlo.
- È vero! non ti ho chiesto di Ferru! che tipo è? cosa vi siete detti? perché dici che aveva ragione?
- È un tipo strano, difficile da descrivere, soprattutto per me. Sai cosa sono le Istentales ?
- No.
- Sono delle stelle, quelle di Orione, mi pare: in Sardegna si chiamano così perché sono le ultime a scomparire, prima dell'alba, dunque “stentano” a tramontare. Un gruppo di banditi, tutti molto giovani, l'ultima generazione insomma, ha assunto questo nome: si fanno chiamare sos Istentales, cioè quelli che non sono ancora scomparsi, che non sono stati ancora cancellati.
- Poetico!
- Bé, volendo. Ma sono canaglie come le altre, con contatti e infiltrati nella mala internazionale. Niente a che vedere con il banditismo romantico che pensi tu. Ferru lui sì che è unu istentale, uno della vecchia guardia, che tarda a scomparire.
- Cosa ti ha detto?
- Non mi ha detto un bel niente. Mi ha fatto quasi pena: un signore di mezza età che si rintana ancora nella macchia e vive fuori dal mondo, isolato, senza sapere più niente, nemmeno di quello che succede nel suo, di mondo. Mi ha detto solo che chi aveva commesso quel delitto era un pastore e non un contadino, ma intesi come simboli, ha aggiunto, tanto per tenersi ancora più sul vago.
- Ha ragione. Anche se dovresti dirgli che una cosa è quando, in periodi di siccità, l'incertezza del pa­scolo rende pericoloso il pastore; altro è quando la fame di terra rende pericoloso il contadino: lo sai, no, che il fuoco prepara terreni buoni per l'aratro? Comunque è uno strano discorso, specie in bocca a un bandito analfabeta, ma cosa c'entra con Cala Veronese?
- Ferru non è analfabeta, il contrario semmai: il suo mondo, ormai, lo legge sui libri. Non fa altro, per tutto il giorno. E comunque non c'entra nulla con Cala Veronese, hai ragione tu. È solo che, mentre ti parlavo, vedevo da una parte questa specie di Porfirio Rubirosa, e dall'altra quella donna dura, chiusa, diffidente: ho pensato alla contrapposizione tra i due modi di intendere la vita. Certo che, in questo senso, Deidda non sarebbe potuto mai essere il responsabile: lui viene da una delle zone più agricole, agricole nel profondo dell'anima, della Sardegna.
- Te l'ho già detto: anche ai contadini, in qualche caso, conviene l'incendio.
- Be' direi proprio di sì, anche fuori di metafora: infatti l'incendio lo ha appiccato Deidda, non l'ingegnere.
- E la moglie dell'ingegnere?
- La moglie si era accorta che il marito disponeva un po' troppo liberamente dei soldi di famiglia e, da quel momento, deve avere iniziato a fargli la guerra.
- Ma perché non ha divorziato?
- Perché è una "contadina": il marito fa parte della proprietà, dunque vuole domarlo, non perderlo. Deidda serve per fare sesso ma lei vuole sempre e comunque suo marito. Marito che, dal canto suo, ormai punta soltanto ai soldi: non tutti (sa che non potrà averli, perché lei gli ha già comunicato di averlo diseredato), ma gliene basterebbero anche pochi, giusto quelli dell'assicurazione.
- Ma la signora si stufa anche di Salvatore?
- Forse. Ma non è detto. Questo è stato uno dei nostri er­rori: volevamo una giustificazione psicologica per il delitto e questa sembrava la più ovvia: l'amante, tradito a sua volta, che si vendica, in un momento di disperazione, uccidendo. Salvatore non ha mai ammesso niente, se non l'incendio e l'omicidio, ma senza spiegazioni, senza fornire un movente. Adesso sembra tutto chiaro, all'inizio non era così. Sua moglie viene a sapere della tresca e gli fa una scenata; a questo punto lui ammette il tradimento e si mostra, per la prima volta nel loro lungo rapporto, intenzionato a mollare tutto. Questo può significare solo che il ménage con la Rinaldi andava bene o comunque non stava per finire.
- E allora?
- Qui comincia la vera tragedia: quella impressionante concatenazione di casualità che, unendo insieme due, anzi tre moventi, ha ingarbugliato tutto.
- Perché dici tre?
- Perché il primo era quello immaginato da Salvatore: la moglie tradita che uccide la rivale. Il secondo era quello immaginato da noi, istigati dalla confessione di Salvatore, cioè quello dell'amante tradito. Il terzo era quello reale: i soldi, naturalmente. Ne dovrei citare anche un quarto, ma è pleonastico: in Sardegna ci sono mille motivi per in­cendiare la terra e il delitto poteva benissimo essere l’effetto di uno di questi. Ma questa ipotesi, grazie al cielo, l'avevamo scartata fin dall'inizio. Vediamo solo i fatti: l'ingegnere concepisce un piano per eliminare l'opprimente consorte. Non sa, questo è fondamentale, che lei ha rinegoziato l'assicurazione, perché la posta giace in attesa dalla fedele ex domestica, a Olbia. Prepara il terreno a Siniscola, organizzando una finta battuta di pesca in solitario, invece prende la macchina e va a Cala Veronese. Non saprei dire se abbia ucciso la moglie a freddo o se il delitto sia avvenuto dopo un litigio. Fatto sta che mentre lei è seduta sul divano, lui prende un pesante pezzo di legno dalla catasta che anche d'estate orna il cami­netto e le spacca il cranio. Quando ha confessato...
- Ma come ha confessato?
- Sono andato a Milano, con un altro avviso di garanzia in ta­sca e l'ho trovato nel suo studio, che parlava con l'avvocato.
- Il topo fritto?
- Il topo fritto. Ma appena ho iniziato a leggere la motivazione, l'avvocato si è drizzato come un topo al gratin. È stato l'ingegnere a bloccarlo con un cenno, stancamente, di­cendo che preferiva essere arrestato per un omicidio che aveva commesso che non per debiti dei quali non gli fregava niente. Poi ci ha raccontato tutto. Pensava di far passare il suo delitto come un furto particolarmente cruento, così ha fatto un casino, rovesciando cassetti, rivoltando e sventrando pol­trone, spaccando vetri e, infine, portandosi via un sacco con soldi, gioielli ed argenteria, che poi ha buttato in mare. Tutto inutile, naturalmente, dopo la vera distruzione, quella dell'incendio: i vetri sono scoppiati, le poltrone e i mobili bruciati, all'argenteria nessuno poteva far caso. La messinscena, anche abbastanza abile, è stata apprezzata solo da Deidda e da sua moglie, che sono arrivati sul luogo del delitto pochissimo tempo dopo la fuga del vero assassino.
- A mezzanotte.
- Sull'ora rimangono dei dubbi, perché il racconto di Chiara Deidda è frammentario e molto personale: lei dice di aver trattenuto la collera a lungo, molto dopo l'ora di cena; poi ha vestito i bambini, li ha portati dalla sorella e ci ha messo un sacco di tempo a trovare la villa. Quando è arri­vata ha visto solo il cadavere e la macabra scenografia preparata da Rinaldi. Due cose ancora non capisco: perché Deidda, pur avendo visto anche lui quel marasma, abbia ritenuto subito e senza ombra di dubbio la moglie, svenuta in mezzo alla sala, responsabile dell'omicidio; secondo: come faceva a sapere che l'avrebbe trovata lì.
- Le situazioni tragiche acuiscono l'intuizione.
- Può essere, ma penso che lui ci sia andato per incontrare la Rinaldi e non per cercare la moglie, come invece quest'ultima sembra credere. Secondo te è più logica una sequenza del genere: Salvatore torna a casa, non trova la moglie e i bambini, pensa subito al peggio e corre a Cala Veronese, oppure Salvatore non torna affatto a casa e, appena libero dal lavoro, si precipita dall'amante per riferirle che la situazione è precipitata e che la moglie ha scoperto tutto?
- Quest'ultima.
- Credo anch'io. Rimane l'altro interrogativo, ma forse la coscienza sporca vale più di mille ragionamenti. Il vero gentiluomo viene fuori a questo punto: non ha commesso alcun delitto, se non un banale tradimento, eppure da questo momento si accolla ogni responsabilità. O meglio: pensa di accollarsi tutte le responsabilità. Così decide di dar fuoco alla casa e, dato che è un professionista e fiuta l'imminente arrivo della maestralata, simula un tipico incendio doloso e non un incidente domestico. Così facendo contravviene ovviamente alla regola etica principale del suo lavoro, e questo fatto lo turba a tal punto che tenta in tutti i modi di limitare i danni del fuoco: come ti ho raccontato, è proprio nel tentativo di dare l'allarme che in qualche modo si è tradito. Deve aver passato l'intera estate tormentato dai rimorsi e dalla preoccupazione. Quando, alla fine, viene messo davanti alla verità, prima nega decisamente poi, alla sola minaccia di un coinvolgimento della sua famiglia, ammette tutto, anche ciò che non ha commesso. Alla base di questa confes­sione io credo stia il fatto che non ha avuto il tempo materiale per parlare, con calma, con la moglie: l'ha spedita al paese, ancora sotto choc, e poi l'ha rivista dopo molti giorni, nella casa del padre, insieme a tutta la famiglia. Magari nel frattempo aveva deciso di evitare qualsiasi accenno all'accaduto. Ma credo che, se anche lei gli avesse giurato la sua innocenza, come pare abbia fatto, non l'avrebbe creduta comunque, tanto la pensava colpevole e tanto si riteneva corresponsabile.
- Che tragedia! E l'ingegnere?
- L'ingegnere sarà caduto dalla nuvole un centinaio di volte, in quelle poche ore. Prima di tutto trova il suo piano modificato, ma decisamente in meglio: non aveva pensato a un incendio doloso e quel fattore, per lui assolutamente ca­suale, certo non lo rattrista. Quel che lo getta nello sconforto è invece la raccomandata della compagnia di assicurazioni che legge, per la prima volta, quella stessa mattina. Tuttavia, non appena capisce che io non sono affatto convinto della casualità dell'incendio, improvvisa una variante e perfeziona il suo sfogo di marito angosciato - finto, ma talmente credibile che continuo a ritenerlo almeno un po' rispondente a verità - consegnandomi quella lettera, il cui contenuto nega ogni possibile movente finanziario. Senza busta, naturalmente, e senza dirmi che l'ha appena aperta.
- Ma Deidda, adesso, che cosa ha da dire?
- Cosa vuoi che dica? abbiamo fatto tutto noi, grazie all'aiuto della moglie. Lui si è ritrovato in libertà vigilata, accusato solo di incendio doloso, di omicidio preterintenzionale e di tentato occultamento di cadavere. Non è poco ma non è omicidio di primo grado, se permetti. E poi ha ritrovato l'amore della moglie; ovviamente è senza lavoro. Non so, ma, tutto sommato credo che...
Fui interrotto da un'esplosione violenta, che rintronò nell'aria tiepida facendo vibrare i vetri della finestra e il pavimento. Per un riflesso condizionato mi nascosi precipitosamente dietro lo stipite.
- Santo cielo! che cos'era?
- È mezzogiorno. - Rideva. - È soltanto il cannone di Garibaldi! È lo scotto che si paga per abitare alle pendici del Gianicolo. Dopo un po' ci si fa l'abitudine. Invece mi piacerebbe che evitassi di stazionare ancora a lungo, in mutande, davanti alla mia finestra. Dovresti vestirti, commissario, magari possiamo fare una passeggiata...
Mancavano solo due giorni alla fine delle mie vacanze. Non avevo nessuna voglia di passeggiare. Così non risposi e raggiunsi la dottoressa Fresi nel letto, tornando a sdraiarmi al suo fianco.

FINE

18 commenti:

  1. adesso te lo dico
    io avrei finito
    con una poesia di Enrico
    ma non quello di cerenova
    che sta lì a covar le uova
    con quello che finisce con la ci
    che le donne gli dicon sempre si

    Enico Cerenova

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  2. St'usanza che pareva bella e morta / è tornata de moda 'n'artra vorta. / Mo' mezzogiorno a tutte le perzone / j'ariviè segnalato dar cannone. / Quanno lo sento penzo co' la mente / na prejera che viene su dar core / e mormoro: Signore! / Fa ch'er cannone serva solamente / pe' dì all'umanità / che sta arrivanno l'ora de magnà.
    Checco Durante

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  3. ho messo una copertina dove si vede che siete tutti in vacanza e non leggete più il blog pilon compresi

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  4. Questo messaggio è per dire che tu vuoi chiudere baracca e burattini?
    io non sono affatto in vacanza purtroppo ed ancora per un bel po'...

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  5. ... comunque meno male che Pilon non guarda più il blog, ha ha ha

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  6. Emilia quando si ride la "h" sta dopo la "a"
    ma forse tu non ridevi ah ah ah ah ah...

    Enrico C.

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  7. Caro Enrico C.
    vista la mia propensione a ridere spesso, ho fatto una lunga riflessione tempo fa (non avendo altro da fare) su come trasferirla in mail, sms e simili e, pur avendo visto che la risata è spesso/sempre rappresentata con ah ah ah, ho deciso che la mia risata ha un'aspirazione iniziale (prima della vocale) e quindi la rappresento sempre come ha ha ha ha ha ha ha ha ha ha ha ha ha ha ha ha ha

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  8. Bravo Pilon, ho letto solo adesso la fine (giovedì, ore 19,15) e m'è piaciuta molto, difficili le fini e questa poi mi sembra come quella del rondò dell'op. 33 di Haydn (ascoltalo e poi capisci), poi aggiungo che anche a me piacciono le donne che accavallano le gambe in treno, per questo faccio il pendolare, infine sono felice che Enrico C. abbia sciolto il proprio cognome in Cerenova, non sono io visto che ne ho un altro, si sa. E adesso? Che strapicazzo si fa? Un romanzo epistolare tra Emilia e Roscia sugli attori famosi? Un racconto di fantascienza con Ged protagonista? Propongo di far decidere a Lievito.
    (avete provato la genovese?)
    (intendo il sugo)

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  9. Per 6 persone:
    - 1 Kg di carne di manzo, primo taglio oppure lacerto
    - 1 dl di olio
    - 50 g di lardo
    - 100 gr. di salame e prosciutto (il gambo, la parte finale)
    - 2 carote
    - 1 pezzetto di sedano
    - 1,5 Kg di cipolle
    - 2-3 pomodorini
    - prezzemolo
    - un bicchiere di vino bianco secco
    - sale e pepe


    Tritare finemente il lardo, le cipolle, il sedano, le carote ed il prezzemolo. Tagliare a dadini il salame ed il prosciutto.
    Mettere la carne in una casseruola (la tradizione vuole che sia un tegame di coccio, o’ tiano) insieme al trito di verdure, i dadini di salame e prosciutto, l'olio, il pomodoro, il sale ed il pepe.
    Coprire e far cuocere a fuoco molto lento, rimestando di tanto in tanto.
    Dopo circa 90 minuti le verdure saranno cotte, quindi alzare la fiamma per far rosolare la carne e le verdure. Quando saranno rosolate, aggiungere il vino a più riprese e far sfumare.
    Far completare la cottura della carne, aggiungendo ogni tanto un pò d'acqua se necessario. Il tutto deve cuocere almeno tre ore e bisogna controllare di tanto in tanto che carne e cipolle non si attacchino al fondo.


    A Napoli si condiscono con questa salsa i maccheroni della zita (ziti spezzati a mano) oppure i mezzani. In mancanza di tali tipi di maccheroni, si può usare una pasta corta che tiene bene la cottura. Chi lo gradisce, può spolverare il piatto con un pò di formaggio.
    La carne tagliata a fette e condita col resto del sugo è l'ottimo secondo da servire magari con un'insalatina.

    Dopo ci vuole il centerbe

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  10. Gamberi al curry

    Ingredienti per 4 persone:
    1 kg. di gamberetti freschi o surgelati
    50 gr. di burro
    1 cipolla bianca
    2 spicchi d’aglio
    3 cucchiai di farina di grano tenero
    2 tazze di latte
    2 cucchiai di curry in polvere
    Noce moscata
    Mezzo cucchiaino di paprika
    1 cucchiaio di sherry

    Innanzitutto pulite i gamberetti, se sono freschi potete lasciare anche le teste altrimenti è preferibile toglierle.
    Se preferite potete anche lasciare le code, ovviamente a seconda della dimensione dei gamberi! Dopo averli puliti, tritate la cipolla nel tritatutto e mettetela ad appassire dolcemente in una padella con il burro, aggiungete in seguito anche i 2 spicchi d’aglio solamente schiacciati. Aggiungete gradualmente la farina facendo attenzione che non vi faccia grumi, quindi il curry, la noce moscata e la paprika, un pizzico di sale ed amalgamate il tutto rendendolo simile per consistenza ad una salsina.
    Togliete dal fuoco ed aggiungete poco alla volta il latte che lascerete assorbire leggermente. Quando vedrete che il composto si addensa, allora potrete aggiungere i gamberetti e, dopo averli lasciati cuocere (saltandoli) per 2 o 3 minuti, allora potrete aggiungere anche lo sherry.
    Servite con del prezzemolo tritato.

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  11. però o pasta alla genovese o gamberi al curry, altrimenti si muore, io ho mangiato la genovese venerdì 8 e i gamberi sabato 9 e lunedì 11 avevo ancora rigurgiti e spetazzamenti, ma devo aver sbagliato qualcosa

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  12. Io voto per il racconto di fantascienza con Ged protagonista.
    Chi lo scrive?

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  13. io propongo una antologia di poesie di Enrico C.

    Enrico B.

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  14. udite udite
    poesie mai sentite
    versi in rima
    e versi capovolti
    comincian dalla cima
    arrivano sconvolti
    alla base della prima

    Enrico C

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  15. se dobbiamo continuare
    con poesie che fan cagare
    meglio andare tutti al mare

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  16. Pilon ti sei offeso che non commenti più?

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  17. Ma che offeso! Anzi sono fiero della forma della pubblicazione ed anche dell'ultima copartina. É che ho avuto un po' da fare. E comunque grazie a tutti e tre i lettori della loro attenzione.

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  18. Beh ma i tre lettori, dalle mille identità, valgono almeno per nove...

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