54. - ... proprio così, capisci che tragedia! - spalancai l'anta
della finestra, lasciando entrare una folata di ponente, ancora
tiepida in quell'inizio di ottobre. Non mi stancavo di contemplare
l'insolito panorama, rischiarato da una luce che non posso che
definire radiosa. Continuai il mio racconto. - I due si sono
conosciuti casualmente, per un ramo pericolante e quasi subito sono
finiti a letto. Salvatore è un bel tipo, la signora chissà: ho
visto le sue foto, all'inizio della vicenda; quando tutto è finito
le ho riguardate, per togliermi la curiosità. Sembra un tipo non
fatale, ma sexy... capisci?
- Veramente no.
- Va bene, non importa. Di quelle donne che per strada non ti volti a
guardarle ma che, se sono in treno e accavallano le gambe, la
componente maschile dello scompartimento distoglie all'unanimità lo
sguardo dal giornale. Insomma si sono piaciuti e hanno cominciato ad
andare a letto insieme. Naturalmente non c'è voluto molto perché le
"sorelle della Costa" subodorassero la tresca e la notizia
cominciasse a circolare. Però, in questo caso, circolava incompleta
e frammentaria, forse perché la Rinaldi non era del giro:
l'ingegnere preferiva addirittura trascorrere gran parte
dell'estate a Siniscola, capirai, con una villa come quella sulla
Costa Smeralda! Infatti la moglie del barone, la D'Elia, conosceva
moltissimi particolari ma non è mai riuscita ad arrivare al
succo.
- Forse sapeva e non voleva parlare.
- E perché mai? è stata lei ad offrirsi di collaborare con me.
Quando tutto è finito l'ho chiamata per telefono, per ringraziarla.
Era sinceramente stupita e sembrerà quello che vuoi, ma certo non è
un'attrice di prima grandezza. - Sorrisi. - Ora io non so proprio se
la crisi matrimoniale dei Rinaldi sia l'effetto o la causa della
tresca. Non so nemmeno se il tragico racconto dell'ingegnere sia
tutto inventato: stando a quanto mi ha detto lui, le prime avvisaglie
risalivano a molti anni prima. In questo caso l'amorazzo con Deidda
sarebbe l'effetto e non la causa. Ma questo non conta assolutamente
nulla: finisce la prima estate, la Rinaldi parte e Salvatore riprende
la sua vita. L'estate dopo, cioè questa estate, su fogu - d’amore,
però - si rialimenta. Questa volta i due si scoprono un po' troppo:
approfittando della libertà che gli deriva dal suo mestiere,
Salvatore prende sempre meno precauzioni e in questo modo si
tradisce, almeno due volte. La prima: il vecchio giardiniere nota
qualcosa che non va e, visto che non è certo il tipo del pettegolo,
questo qualcosa doveva essere ben evidente; lo racconta
alla moglie e lei, che invece è maligna, spiffera tutto alla povera
Chiara. La seconda: il suo avanti-indietro lungo la litoranea, a
bordo di una voluminosa e appariscente Range Rover, viene notato e
per di più dalla famiglia di un pregiudicato.
- Niente precauzioni!
- Esatto. E una come la Rinaldi, secondo me non aveva il fisico. E
neppure la testa. Il marito sarà anche un bugiardo, ma quei quintali
di sonnifero e tranquillanti li ho visti con i miei occhi. Ce li
aveva tutti, una specie di collezione. D'altronde, te l'ho detto che
era una maniaca dell'ordine e della completezza.
- Strano per una donna ricca.
- Un po' banale, come osservazione, ma non del tutto sbagliata. Ma io
ho un'altra ipotesi.
- Sarebbe?
- Era lei l'uomo, in quella casa. L'ingegnere è una nullità, una
bella e fascinosa nullità. Un play boy anni sessanta che aveva
attaccato il cappello: un buon matrimonio, i soldi, la villa in
città, al mare e in montagna e la possibilità di mettere a frutto
una laurea presa nei ritagli del night. Una piccola impresa che le
conoscenze del suocero e i suoi miliardi fanno quasi subito diventare
importante, una delle maggiori dell'hinterland milanese. Per un po'
resta a galla, ma quando il gioco si fa duro, le conoscenze non
bastano più, e la ditta affonda nei debiti. Debiti che si pagano
con i soldi di famiglia: in un certo senso aveva ragione Ferru,
bisogna riconoscerlo.
- È vero! non ti ho chiesto di Ferru! che tipo è? cosa vi
siete detti? perché dici che aveva ragione?
- È un tipo strano, difficile da descrivere, soprattutto per me. Sai
cosa sono le Istentales ?
- No.
- Sono delle stelle, quelle di Orione, mi pare: in Sardegna si
chiamano così perché sono le ultime a scomparire, prima dell'alba,
dunque “stentano” a tramontare. Un gruppo di banditi, tutti molto
giovani, l'ultima generazione insomma, ha assunto questo nome: si
fanno chiamare sos Istentales, cioè quelli che non sono
ancora scomparsi, che non sono stati ancora cancellati.
- Poetico!
- Bé, volendo. Ma sono canaglie come le altre, con contatti e
infiltrati nella mala internazionale. Niente a che vedere con il
banditismo romantico che pensi tu. Ferru lui sì che è unu
istentale, uno della vecchia guardia, che tarda a scomparire.
- Cosa ti ha detto?
- Non mi ha detto un bel niente. Mi ha fatto quasi pena: un signore
di mezza età che si rintana ancora nella macchia e vive fuori dal
mondo, isolato, senza sapere più niente, nemmeno di quello che
succede nel suo, di mondo. Mi ha detto solo che chi aveva commesso
quel delitto era un pastore e non un contadino, ma intesi come
simboli, ha aggiunto, tanto per tenersi ancora più sul vago.
- Ha ragione. Anche se dovresti dirgli che una cosa è quando, in
periodi di siccità, l'incertezza del pascolo rende pericoloso
il pastore; altro è quando la fame di terra rende pericoloso il
contadino: lo sai, no, che il fuoco prepara terreni buoni per
l'aratro? Comunque è uno strano discorso, specie in bocca a un
bandito analfabeta, ma cosa c'entra con Cala Veronese?
- Ferru non è analfabeta, il contrario semmai: il suo mondo,
ormai, lo legge sui libri. Non fa altro, per tutto il giorno. E
comunque non c'entra nulla con Cala Veronese, hai ragione tu. È solo
che, mentre ti parlavo, vedevo da una parte questa specie di Porfirio
Rubirosa, e dall'altra quella donna dura, chiusa, diffidente: ho
pensato alla contrapposizione tra i due modi di intendere la vita.
Certo che, in questo senso, Deidda non sarebbe potuto mai essere il
responsabile: lui viene da una delle zone più agricole, agricole nel
profondo dell'anima, della Sardegna.
- Te l'ho già detto: anche ai contadini, in qualche caso, conviene
l'incendio.
- Be' direi proprio di sì, anche fuori di metafora: infatti
l'incendio lo ha appiccato Deidda, non l'ingegnere.
- E la moglie dell'ingegnere?
- La moglie si era accorta che il marito disponeva un po' troppo
liberamente dei soldi di famiglia e, da quel momento, deve avere
iniziato a fargli la guerra.
- Ma perché non ha divorziato?
- Perché è una "contadina": il marito fa parte della
proprietà, dunque vuole domarlo, non perderlo. Deidda serve per fare
sesso ma lei vuole sempre e comunque suo marito. Marito che, dal
canto suo, ormai punta soltanto ai soldi: non tutti (sa che non potrà
averli, perché lei gli ha già comunicato di averlo diseredato), ma
gliene basterebbero anche pochi, giusto quelli dell'assicurazione.
- Ma la signora si stufa anche di Salvatore?
- Forse. Ma non è detto. Questo è stato uno dei nostri errori:
volevamo una giustificazione psicologica per il delitto e questa
sembrava la più ovvia: l'amante, tradito a sua volta, che si
vendica, in un momento di disperazione, uccidendo. Salvatore non ha
mai ammesso niente, se non l'incendio e l'omicidio, ma senza
spiegazioni, senza fornire un movente. Adesso sembra tutto chiaro,
all'inizio non era così. Sua moglie viene a sapere della tresca e
gli fa una scenata; a questo punto lui ammette il tradimento e si
mostra, per la prima volta nel loro lungo rapporto, intenzionato a
mollare tutto. Questo può significare solo che il ménage con la
Rinaldi andava bene o comunque non stava per finire.
- E allora?
- Qui comincia la vera tragedia: quella impressionante concatenazione
di casualità che, unendo insieme due, anzi tre moventi, ha
ingarbugliato tutto.
- Perché dici tre?
- Perché il primo era quello immaginato da Salvatore: la moglie
tradita che uccide la rivale. Il secondo era quello immaginato da
noi, istigati dalla confessione di Salvatore, cioè quello
dell'amante tradito. Il terzo era quello reale: i soldi,
naturalmente. Ne dovrei citare anche un quarto, ma è pleonastico: in
Sardegna ci sono mille motivi per incendiare la terra e il
delitto poteva benissimo essere l’effetto di uno di questi. Ma
questa ipotesi, grazie al cielo, l'avevamo scartata fin dall'inizio.
Vediamo solo i fatti: l'ingegnere concepisce un piano per eliminare
l'opprimente consorte. Non sa, questo è fondamentale, che lei ha
rinegoziato l'assicurazione, perché la posta giace in attesa dalla
fedele ex domestica, a Olbia. Prepara il terreno a Siniscola,
organizzando una finta battuta di pesca in solitario, invece prende
la macchina e va a Cala Veronese. Non saprei dire se abbia ucciso la
moglie a freddo o se il delitto sia avvenuto dopo un litigio. Fatto
sta che mentre lei è seduta sul divano, lui prende un pesante pezzo
di legno dalla catasta che anche d'estate orna il caminetto e le
spacca il cranio. Quando ha confessato...
- Ma come ha confessato?
- Sono andato a Milano, con un altro avviso di garanzia in tasca
e l'ho trovato nel suo studio, che parlava con l'avvocato.
- Il topo fritto?
- Il topo fritto. Ma appena ho iniziato a leggere la motivazione,
l'avvocato si è drizzato come un topo al gratin. È stato
l'ingegnere a bloccarlo con un cenno, stancamente, dicendo che
preferiva essere arrestato per un omicidio che aveva commesso che non
per debiti dei quali non gli fregava niente. Poi ci ha raccontato
tutto. Pensava di far passare il suo delitto come un furto
particolarmente cruento, così ha fatto un casino, rovesciando
cassetti, rivoltando e sventrando poltrone, spaccando vetri e,
infine, portandosi via un sacco con soldi, gioielli ed argenteria,
che poi ha buttato in mare. Tutto inutile, naturalmente, dopo la vera
distruzione, quella dell'incendio: i vetri sono scoppiati, le
poltrone e i mobili bruciati, all'argenteria nessuno poteva far caso.
La messinscena, anche abbastanza abile, è stata apprezzata solo da
Deidda e da sua moglie, che sono arrivati sul luogo del delitto
pochissimo tempo dopo la fuga del vero assassino.
- A mezzanotte.
- Sull'ora rimangono dei dubbi, perché il racconto di Chiara Deidda
è frammentario e molto personale: lei dice di aver trattenuto la
collera a lungo, molto dopo l'ora di cena; poi ha vestito i bambini,
li ha portati dalla sorella e ci ha messo un sacco di tempo a trovare
la villa. Quando è arrivata ha visto solo il cadavere e la
macabra scenografia preparata da Rinaldi. Due cose ancora non
capisco: perché Deidda, pur avendo visto anche lui quel marasma,
abbia ritenuto subito e senza ombra di dubbio la moglie, svenuta in
mezzo alla sala, responsabile dell'omicidio; secondo: come faceva a
sapere che l'avrebbe trovata lì.
- Le situazioni tragiche acuiscono l'intuizione.
- Può essere, ma penso che lui ci sia andato per incontrare la
Rinaldi e non per cercare la moglie, come invece quest'ultima sembra
credere. Secondo te è più logica una sequenza del genere: Salvatore
torna a casa, non trova la moglie e i bambini, pensa subito al peggio
e corre a Cala Veronese, oppure Salvatore non torna affatto a casa e,
appena libero dal lavoro, si precipita dall'amante per riferirle che
la situazione è precipitata e che la moglie ha scoperto tutto?
- Quest'ultima.
- Credo anch'io. Rimane l'altro interrogativo, ma forse la coscienza
sporca vale più di mille ragionamenti. Il vero gentiluomo viene
fuori a questo punto: non ha commesso alcun delitto, se non un banale
tradimento, eppure da questo momento si accolla ogni responsabilità.
O meglio: pensa di accollarsi tutte le responsabilità. Così decide
di dar fuoco alla casa e, dato che è un professionista e fiuta
l'imminente arrivo della maestralata, simula un tipico incendio
doloso e non un incidente domestico. Così facendo contravviene
ovviamente alla regola etica principale del suo lavoro, e questo
fatto lo turba a tal punto che tenta in tutti i modi di limitare i
danni del fuoco: come ti ho raccontato, è proprio nel tentativo di
dare l'allarme che in qualche modo si è tradito. Deve aver passato
l'intera estate tormentato dai rimorsi e dalla preoccupazione.
Quando, alla fine, viene messo davanti alla verità, prima nega
decisamente poi, alla sola minaccia di un coinvolgimento della sua
famiglia, ammette tutto, anche ciò che non ha commesso. Alla base di
questa confessione io credo stia il fatto che non ha avuto il
tempo materiale per parlare, con calma, con la moglie: l'ha spedita
al paese, ancora sotto choc, e poi l'ha rivista dopo molti giorni,
nella casa del padre, insieme a tutta la famiglia. Magari nel
frattempo aveva deciso di evitare qualsiasi accenno all'accaduto. Ma
credo che, se anche lei gli avesse giurato la sua innocenza, come
pare abbia fatto, non l'avrebbe creduta comunque, tanto la pensava
colpevole e tanto si riteneva corresponsabile.
- Che tragedia! E l'ingegnere?
- L'ingegnere sarà caduto dalla nuvole un centinaio di volte, in
quelle poche ore. Prima di tutto trova il suo piano modificato, ma
decisamente in meglio: non aveva pensato a un incendio doloso e quel
fattore, per lui assolutamente casuale, certo non lo rattrista.
Quel che lo getta nello sconforto è invece la raccomandata della
compagnia di assicurazioni che legge, per la prima volta, quella
stessa mattina. Tuttavia, non appena capisce che io non sono affatto
convinto della casualità dell'incendio, improvvisa una variante e
perfeziona il suo sfogo di marito angosciato - finto, ma talmente
credibile che continuo a ritenerlo almeno un po' rispondente a verità
- consegnandomi quella lettera, il cui contenuto nega ogni possibile
movente finanziario. Senza busta, naturalmente, e senza dirmi che
l'ha appena aperta.
- Ma Deidda, adesso, che cosa ha da dire?
- Cosa vuoi che dica? abbiamo fatto tutto noi, grazie all'aiuto della
moglie. Lui si è ritrovato in libertà vigilata, accusato solo di
incendio doloso, di omicidio preterintenzionale e di tentato
occultamento di cadavere. Non è poco ma non è omicidio di primo
grado, se permetti. E poi ha ritrovato l'amore della moglie;
ovviamente è senza lavoro. Non so, ma, tutto sommato credo che...
Fui interrotto da un'esplosione violenta, che rintronò nell'aria
tiepida facendo vibrare i vetri della finestra e il pavimento. Per un
riflesso condizionato mi nascosi precipitosamente dietro lo stipite.
- Santo cielo! che cos'era?
- È mezzogiorno. - Rideva. - È soltanto il cannone di Garibaldi! È
lo scotto che si paga per abitare alle pendici del Gianicolo. Dopo un
po' ci si fa l'abitudine. Invece mi piacerebbe che evitassi di
stazionare ancora a lungo, in mutande, davanti alla mia finestra.
Dovresti vestirti, commissario, magari possiamo fare una
passeggiata...
Mancavano solo due giorni alla fine delle mie vacanze. Non avevo
nessuna voglia di passeggiare. Così non risposi e raggiunsi la
dottoressa Fresi nel letto, tornando a sdraiarmi al suo fianco.
FINE