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giovedì 26 aprile 2012

SU FOGU capitolo sette


7.
La Range Rover aveva l'aria condizionata; c'erano due cannocchiali e un termos, questo di età contemporanea ma comunque pieno di caffè. Mi sentivo intontito e stanco, ed erano solo le otto.
- Si pigli anche la spianata, dottò, e la salsiccia, lì dietro, in quella busta bianca. E gusti un po' di vino, che la giornata è lunga e l'ossigeno non ce lo regalano, oggi.
- Grazie, Deidda. - Restai in silenzio, mangiando, bevendo e, per quanto possibile, pensando. - Ha visto il cadavere? a lei sembra normale che uno, anzi una, aspetti di essere arso vivo seduto sul sofà?
- Dice il morto nella villa?
- No, la morta nella villa. Chi era?
- Boh. Gente di fuori, continentali: di Milano, di Roma. La cosa più facile è che sia la proprietaria.
- Dunque: le sembra normale?
- Magari è svenuta. Oppure un infarto.
- Senta, io non sono un esperto di incendi, ma quanto ci mette il fuoco a percorrere sette, ottocento metri, quasi un chilometro? Di notte le fiamme si vedono bene, si sente l'odore. Anche se dormi, ti svegli. Da quel divano poteva avvistare un incendio in Corsica, eppure non è fuggita. Due macchine a disposizione all'aperto, pronte a partire. E comunque l'istinto è quello di ripararsi. Si ricorda di quella turista che si era salvata restando non so quante ore sotto la doccia, chiusa in bagno?
- Sì, l'abbiamo ritrovata noi: era un po' intirizzita, ma viva. Fortuna che avevano l'impianto fatto bene. Ma lei cosa pensa, che abbiano incendiato mezza Gallura per ammazzare una bella signora?
- Chi lo sa se era bella. Certo, potrebbe essere una coincidenza: delitto e fuoco insieme, casualmente. Ma potrebbero anche essere collegati. Provi a pensarci: la signora già morta viene bruciata...
- Si vede che è di cattivo umore, stamattina: si fa venire certe idee. Qui abbiamo minimo tre incendi per estate. L'anno scorso, due morti: un francese che fuggiva in moto nella direzione sbagliata e quel pastore che si è rotto la gamba saltando da una roccia di sette metri ed è stato raggiunto dal fuoco.
- E va bene, proprio per questo: questi che dice lei fuggivano, rischiando la vita da vivi e non morendo da morti.
- Commissà, un poeta è lei. Mangi ancora salsiccia, che ce n'è.
Mi sentivo meglio: la salsiccia e il vino di Deidda erano buoni e il climatizzatore funzionava a dovere. Scrutavo il tratto di territorio non bruciato con il potente binocolo da marina, facendo funzionare le braccia come ammortizzatori. Me lo aveva insegnato mio padre, a caccia. Non cercavamo nulla di speciale, ma la prassi vuole che si battano i perimetri delle aree incendiate perché si dice - e sembra sia vero - che quasi sempre i piromani tornino a vedere i risultati delle loro azioni. Proprio come gli assassini.
Alle nove e tre quarti avevamo quasi completato il circuito, costeggiando il mare per un breve tratto e poi addentrandoci in una campagna desolata. Avevamo incontrato i carabinieri, che pattugliavano le carreggiabili ancora a rischio: non avevano visto nessuno, evidentemente la notizia era circolata. Purtroppo, ci dissero, c'era un altro morto, un vecchio che dormiva in uno stazzo isolato, nel mezzo di un querceto.
- Un altro che muore da morto - commentò Deidda, pensando forse di risultare simpaticissimo. Non risposi perché come una folgore mi aveva attraversato la mente l'immagine della noia delle indagini congiunte e della caccia agli incendiari professionisti già schedati.
- Guardi là! - Deidda aveva frenato bruscamente, indicandomi una radura a due chilometri buoni da noi. Scendemmo dalla macchina e fummo investiti dal caldo infernale e dai vortici impazziti della cenere. I binocoli puntati, qualche secondo per mettere a fuoco una figura umana accovacciata e ripartimmo, sgommando sulle asperità del terreno. Diciamo che il fattore sorpresa non era alla base della nostra tattica di avvicinamento, quando, dopo aver rimbalzato lungo il pianoro che aveva la stessa copertura arborea di un asse da stiro, frenammo a pochi centimetri dalla schiena dell'uomo. Un'indelicatezza cui parve non dar peso; scesi cautamente e feci qualche passo. Non avevo armi, ma quella caccia al piromane non sembrava particolarmente pericolosa: in quanto a reazioni, il tizio restava granitico.
- Favorisca i documenti! - per carità, che questurino! Mia madre mi avrebbe ripudiato. Feci un altro passo e mi accorsi che non era un uomo ma un ragazzino. E singhiozzava.
- Che ti succede? hai qualcuno là in mezzo? - indicai la zona incendiata e, delicatamente, poggiai l'altra mano sulla sua spalla. Si voltò e sembrò finalmente vedermi. Due occhi neri, più profondi di un pozzo, mi guardavano tra ruscelli di lacrime e chili di fuliggine.
- Mi chiamo Fresi. Marta Fresi. E faccio la botanica.

20 commenti:

  1. Caro editore,
    mi prudono le dita, vorrei tanto scrivere un altro controromanzo ma mi astengo, desisto, per i seguenti buoni motivi:
    1) sono stato crudelmente scoraggiato dalla perfida Roscia
    2) come sanno anche le pietre sono persona molto schiva, preferisco stare nell'ombra, rifuggo il protagonismo, un mio nuovo intervento potrebbe essere dai maligni (Roscia appunto) male interpretato
    3) nessuno più scrive controromanzi, forse il genere è ormai obsoleto, sono tuttavia convinto che chi prima li scriveva così volentieri è stato minacciato, gli han detto "guarda che ti brucio la casa e finisci come la donna del giallo" (io ci vedo lo zampino di Roscia e Pilon, stan sempre a Sassari a brigare)

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    1. Tante storie...
      Ammetti che non avevi l'ispirazione

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  2. e caro Enrico, tu sei ragazzo sveglio, e capisci al volo!
    Tra l'essere asfaltati e tacere hai scelto il sicuro...
    un abbraccio
    Roscia

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  3. Emi, tesoro, andrò a vederlo, come sappiamo i fighi scarseggiano nella vita reale!

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    1. E poi quanto è simpatico, ha ha ha ha ha, non te lo puoi perdere

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  4. ehi enrico, pubblica il controromanzo, dai. Ci penso io a tenere a bada quella perfida roscia, dai, pubblica, vedrai che nessuno ti posta niente di malevolo, dai, fidati di me, che quella perfida non avrà il coraggio di dirti niente, quella vigliacca, dai enrì, mettilo il controromanzo

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  5. Una ammiratrice del più grande scrittore di tutti i tempi26/04/12, 22:55

    Ti prego Enricuccio, ci fai sapere che fine ha fatto qualche altro gnu?
    Ti prego, ti pregp, ti prego, enricuuuuuuucccccciooooooooo

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  6. Ma cos'è questa bella copertina? Carta, carbone, carta-carbone???

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  7. Va bene, miei cari ammiratori, domattina vi sforno un capitolo del controromanzo al Serengeti.
    Sogni d'oro,
    Enrico

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  8. Roscia domani presidi tu?

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  9. Si, cara amica, buonanotte

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  10. Ha ha ha ha che simpatiche che siamo

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  11. È duopo passare alle vie legali, qui le cose han preso una direzione che non mi garba punto, vuoi per gli anonimi che si firmano Enrico, vuoi per le gravissime minacce, vuoi per i toni sardonici dei falsi complimenti. Ma ciò che più stupisce è che i perfidi che ovunque s'annidano in questo blog han rapidamente aggiornato le loro tecniche sostituendo la scritta "anonimo" con identità personalizzate, tipo "Una ammiratrice del più grande scrittore di tutti i tempi, PM" oppure "Roscia". Ebbene, non c'è bisogno d'esser Sherlock per capire trattarsi inequivocabilmente della stessa persona che una volta scoperto il trucco lo usa a suo piacimento, prendendosi giuoco di me e poi mettendo la firma: Roscia, sempre lei, per di più botanica, ce n'è abbastanza per il prossimo giallo del suo compagno di merende e di misfatti, il faccendiere Pilon.
    I miei legali sono in stato d'allerta, io nel frattempo pubblicherò l'inizio del mio terzo controromanzo, per vedere di nascosto l'effetto che fa.

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    1. Dei servizi di quale avvocato ritieni avvalerti?
      Avv. Alerti

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    2. credo dell'Avv. Ertito Mezzosalvato

      Enrique

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    3. Parente dell'Avv. Isato Mezzosalvato?

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    4. è il figliol prodigo

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  12. Terzo controromanzo, dedicato alla perfida Roscia

    Marta Fresi sogna.
    È Maria Paola Bonaparte, sorella prediletta di Napoleone, e posa completamente nuda su un triclinio per il celebre scultore veneto Antonio Canova all’insaputa del geloso marito, il principe Camillo Filippo Ludovico Borghese. Tra un colpo di scalpello e l’altro Canova le titilla il sedere per metterla di buon umore.
    “Ho freddo”
    “Ti avvicino la stufa”
    “Non posso avere un drappeggio? Che bisogno c’è di star nuda se ancora stai alla mano destra?”
    “Mi ispiro, mica faccio lapidi o gradini”
    “Voglio un drappeggio, altrimenti diventerò una Venere intirizzita, rigida, insomma neoclassica”

    (continua?)

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  13. ecco infine un mio ritratto in versi:

    Alto e giusto di forme, e brun di volto;
    nero di ciglia; intento occhio che splende;
    fronte mobile ed ampia; il crin mi scende
    giù per le spalle abbandonato e folto.

    Sotto i mustacchi impallida o s’accende
    il labbro; agil la voce, il piede ho sciolto;
    pronti i gesti; talor l’abito incolto;
    ecco il visibil che di me si rende.

    I pochi o i tanti che non m’han veduto,
    come leggendo suol crear l’affetto,
    mi fingono sottil, macro e sparuto;

    ma in viso il fior della salute io mostro.
    Che importa mai? Si scrive carmi; e il petto
    fuor manda sangue a colorar l’inchiostro!

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  14. A Ged: hai spiegato a Roscia il significato di Apollo e Dafne? E della tragica fine dello gnu? Perché non scrivi a tutti alcune tue sagge riflessioni su quei due immortali soggetti? Te ne sarei infinitamente grato. Sarebbe bello anche un tuo autoritratto in versi.

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