SESSANTA
L’anatra
cuoce a fuoco lento nel tegame, Adelina mescola la polenta, io apparecchio la
tavola ben attento alle simmetrie. Tutto, proprio tutto, mi colma di una gioia
immensa, il suo modo di tagliare la cipolla, di buttare subito le bucce nella
pattumiera e mettere il coltello sporco nella lavastoviglie nella sezione che
ospita i coltelli da cucina (diversa da quella dei coltelli da tavola), il
senso rigorosamente antiorario del mestolo e la sua velocità costante, senza
accelerazioni o deviazioni che potrebbero generare fastidiosi grumi di farina
gialla, e poi le pantofole (quasi piango di commozione) che ha subito voluto
comprare dabbasso per non disperdere in salotto frammenti millesimali di
sporcizia urbana, i nostri nemici comuni. E poi ancora tanti dettagli minimi
che posso notare solo io, piccoli gesti automatici, segnali meravigliosi di
un’ossessione che finalmente potrò condividere con qualcuno.
La osservo
mentre mescola la polenta e prego tutte le divinità responsabili del nostro
futuro di farmi vivere per sempre con lei, per lo meno in questo attuale
involucro. Dispongo i coltelli perfettamente paralleli alle forchette e lascio
tra le posate e il tovagliolo uno spazio di un centimetro e mezzo, né più né
meno. Poi prendo una decisione molto importante: a partire da adesso voglio
pensare solo a lei, quindi per un po’ di tempo, forse qualche anno, il mio
trattato dovrà aspettare, anche perché quello che dovevo scoprire l’ho già
scoperto, mi ha aiutato Ciocci. Ho scoperto che l’anima è una sola e che noi
siamo solo vestiti, non è granché, l’aveva gia scritto Platone, ma io però non
lo sapevo. Non passerò alla storia per le indagini sulle anime migranti, però
ho trovato un’anima con un vestito splendido, Adelina, il resto ha poca
importanza.
Quindi basta
trattato, chiudo qui la narrazione, al massimo un paio di paragrafi e quando
avrò tempo racconterò come è andata.
La polenta
con sugo di anatra muta era buonissima, dopo cena ho baciato a lungo Adelina
per farle capire che mi era piaciuta e poi abbiamo consumato un lungo e gioioso
amplesso (ride molto durante l’atto e questo un po’ m’imbarazza, ma mi
abituerò).
Abbiamo
deciso di vivere a Roma, a casa mia, lei sarà il mio manager con le nature
morte, dice di saperci fare con i soldi. L’hotel lo ha affidato a una amica,
ogni tanto volerà a Parigi per controllare che tutto sia a posto.
Forse avremo
figli. Forse nipoti.
in copertina un ritratto di megliodigiotto
SESSANTUNO
Riprendo a
scrivere dopo tre anni, ma solo qualche paragrafo.
La nostra
vita a Roma procede tranquilla, felice. Frequentiamo abitualmente gli amici di
Ponte Sisto, giochiamo a cosa saremo
e seguiamo le lezioni universitarie di Camilla. La domenica andiamo a trovarla
a Villa Borghese, le portiamo il pane secco per le anatre (alcune sembrano
mute, ma sono solo timide o forse riflessive) e qualche prelibatezza per lei.
Ogni tanto, visto che siamo molto ricchi, invitiamo gli amici da Sora Lella a mangiare la pajata, ma io
ordino riso in bianco o in alternativa un piatto di fettuccine ai funghi
porcini. Si finisce sempre a cantare La
mula de Parenzo e a discutere del primo problema omonimo, ma è inutile, son
sempre tutti ciucchi di Frascati, diventa solo un elenco di difetti fisici.
Dopo l’ultimo refrain ― perché non m’ami
più? ― qualcuno dice che la ragione è semplice, si chiama aerofagia, ossia
la disfunzione dell’apparato
digerente consistente nella tendenza ad ingoiare aria che va nello stomaco
in quantità eccessiva e provoca un rigonfiamento gassoso dell’addome con conseguente meteorismo e frequenti
eruttazioni e flatulenze. Aerofagia, logorrea, alitosi, bromitrosi plantare
(puzza di piedi), eccetera.
Il trattato è
fermo, l’ho già detto, e noi viviamo felici. L’anno scorso a Natale Ciocci mi
ha detto che il babbo ci ha visto così contenti che non ha il coraggio di
finire il libro. Io lo lascio dire, però ad Adelina non dico niente, cerco di
evitare i discorsi di anime e babbi, la voglio serena, tranquilla.
A Pasqua
Ciocci mi ha detto che un libro è un libro, a un certo punto finisce, non si
può andare avanti per anni, quindi il babbo stava pensando a una specie di
riassunto, tipo e vissero sempre felici e
contenti, il più possibile generico in modo che io e Adelina possiamo
riempirlo nel modo che preferiamo. Dice che babbo verrà a trovarci a casa, darà
un’occhiata al libro per correggere eventuali refusi, scriverà una breve
conclusione e forse aggiungerà una bibliografia.
“Cos’è questa
fretta?”, ho chiesto a Ciocci.
“Di solito il
babbo non supera i sessanta capitoli e noi siamo già al 61”
“E poi
esattamente cosa fa?”
“Te l’ho
detto, controlla di nuovo tutto e aggiunge una conclusione, forse anche una
bibliografia”
“E noi?”
“Con la
formula e vissero sempre felici e
contenti non avrete problemi, vivrete a lungo”
Il dialogo
che ho trascritto è avvenuto a Ponte Sisto, a Pasqua, sul momento mi è venuta
un bel po’ d’angoscia, poi per fortuna è passata. Il solito Ciocci, pensavo.
Qualche
giorno fa, quando ormai non ci pensavo più, è accaduto quello che purtroppo
temevo. Stavo dipingendo un porro nel mio atelier, Adelina capava le puntarelle
in cucina, insomma c’era la consueta quiete domestica, quando inaspettato
squilla il citofono. Chiedo chi è, risponde il
babbo. Mi viene un colpo, come se avesse detto la morte. Apro e attendo sul pianerottolo.
Dall’ascensore
esce un tipo molto simile a me, con una decina d’anni in più (dev’essere
proprio il babbo, se sono il protagonista è logico che io sia un lui più giovane), vestito uguale, con un
sorriso timido, preoccupato. Ci siamo accomodati in soggiorno, abbiamo preso un
caffé parlando del clima e roba del genere, poi si è fatto coraggio e ha detto
quello che mi aspettavo, che voleva rileggere tutto e scrivere e vissero sempre felici e contenti,
aggiungendo eventualmente un epilogo e forse una bibliografia. Io e Adelina
abbiamo detto va bene, basta che ci assicuri ancora molti anni di
felicità e almeno tre figli, lui ce l’ha promesso, ha detto che l’avrebbe
scritto nero su bianco, di non preoccuparci.
Gli ho dato
il portatile, da adesso scrive direttamente lui.
Adelina
e…accidenti mi son dimenticato il nome…megliodigiotto è il soprannome…il nome
non ce l’ha…non ci posso credere…ormai però è inutile…il romanzo è finito…
Ricomincio.
Adelina e suo
marito vissero a lungo felici e contenti, ebbero tre figli, fecero molte
passeggiate evitando Canale Monterano per via del famoso dirupo e mangiarono
molte anatre mute.
La mattina
del sabato Adelina chiedeva ai figli cosa preferivano per pranzo, polenta o
baccalà, ma loro rispondevano sempre pasta al sugo, semplice, come gli altri
giorni. Quindi polpa di pomodoro Casar, la migliore, una cipolla intera che poi
si toglie, una carota intera che poi si toglie, due foglie di basilico, niente
spezie, niente peperoncino, niente esperimenti e novità altrimenti andranno ai
giardinetti e torneranno a casa infangati con le scarpe piene di terra.
Direi che va
bene, basta.
FINE
a perdido toda la carica erotica
RispondiEliminaPilar
Post epilogo
RispondiEliminaCome ci si sente quando si finisce di leggere un romanzo? Ci si sente come Adelina e Megliodigiotto, orfani, vuoti, nostalgici, ma di che? E’ finito solo un romanzo, una storia, una finzione, un sogno. E adesso?
E che commozione gli epiloghi, tanto più commoventi, quanto più freddi, pacati, formali, convenzionali. Mi viene da pensare all’ultima scena del Don Giovanni, quando tutti i personaggi si presentano, come a salutare il pubblico, quasi fuori scena. Prendono commiato, imbastiscono una qualche moralistica formuletta finale e da personaggi si riducono a vuote marionette. Qualcuno pensa che sia una scena inutile, appiccicata là, che stride col resto. Certo che stride, e stride per una semplice ragione, che Don Giovanni non c’è. Dov’è? E’rimasto all’inferno? Ma non è tutta una finzione?
Come alla stazione, gli amici partono, saluti, baci, un po’ di imbarazzo, eviti di mostrarti commosso ma non riesci neppure a essere naturale e spiritoso. L’incanto è finito, ma l’anima dov’è?
L’anima vorrebbe rientrare nel romanzo, potresti ricominciarlo da capo, ma sai che è inutile, lo rileggeresti, come si legge un libro, come si osserva un oggetto esterno, ma non lo rivivresti una seconda volta, devi prima dimenticarlo, per poi riscoprirlo e a tratti ricordarlo come se fosse una vita passata, vissuta in un altro corpo, sotto un altro vestito. Leggere un altro romanzo? Ce ne saranno pure di altrettanto belli e appassionanti. Ma è come dire a un innamorato abbandonato di scegliersi un altro amore, la cura funziona ma è il malato che non la vuole, perché il malato è l’anima e l’anima è l’anima del romanzo, e l’anima del romanzo non vuole morire, non vuole essere sostituita dall’anima di un altro romanzo.
Nel più tipico stile facebook, prendo commiato comunicandovi che devo andare in cucina a controllare i fornelli. Non c’è la favata sul fuoco, neppure le papassine nel forno, né baccala né polenta, c’è un tegamino di sugo Casar, tolgo la cipolla e aggiungo due foglie di basilico, ecco fatto.
Addio per sempre, Gavino Porcu
Ged, è chiaro che adesso tocca a te, ci sai fare, nuoti meglio, scrivi meglio, forse cucini meglio, quindi aspettiamo tutti con ansia un racconto, oppure dei versi o almeno una ricetta, ecco, una ricetta in versi. Comunque domani devi cliccare di nuovo "o uno o l'altro" perché manca l'epilogo, lo sto scrivendo adesso, tra un po' lo mando all'editore.
RispondiEliminaColgo l'occasione per ringraziare tutti i lettori che sono arrivati fino alla fine, pochi ma buoni, direbbe l'editore. So che non è stato facile perché leggere un capitolo al giorno è una tortura, lo è stato anche per me, quindi grazie e grazie soprattutto all'editore, è stato grandioso.
Ma no, dai, ci sono tante cose che sai fare meglio tu, per esempio la faccia di Filippo Ravagli.
Eliminanon ha perdido la carica erotica, la tiene eccomes
RispondiEliminaMaria Jose
PS. Domani c'è l'epilogo e poi ci saranno nuove straordinarie iniziative, quindi cliccheremo "o uno o l'altro" ancora a lungo, per cominciare proporrei all'editore un concorso fotografico a tema, si vince una vacanza a Porec, fanno un'ottima anatra muta
RispondiEliminaBeh, a me piacerebbero dei racconti, tanti comunicati stampa, il concorso fotografico, magari qualche legenda e tanti commenti.
RispondiEliminae gli spagnoli?
RispondiEliminanon soj spagnola
RispondiEliminajo soj argentina
Pilar
enrico sono commossa! bravissimo sei un mito. Però non convincere ged a scrivere, lascia perdere, non mettergli grilli per la testa (pelata). A parte la commozione adesso potrebbe iniziare il bello! vero Emi? comunicati stampa, premi, concorsi chi la più cool tra le tue amiche di 52 anni e altro ancora
RispondiEliminaRoscia
Ha ha ha il concorso è una splendida idea, io voto per quella zoccola di roscia (l'hai voluto tu)
EliminaSe non ricordo male Emilia era capo redattrice della pagina delle ricette del "Beatles, il giornale di chi sta a Liverpool" (tiratura una sola copia per me che stavo a Liverpool), quindi è la persona adatta a proporre argomenti culinari, ma questo è il blog di uno scultore, architetto, fotografo, deve decidere lui, però adesso che ci penso è anche un eccellente cuoco quindi le ricette forse lo interessano. Per il concorso fotografico a tema sarebbe bello coninciare con "riflessione", ho già lo scatto in testa. Ma come si fa? Si possono spedire allegati a un blog? Che ne pensi editore?
RispondiEliminaPilar è spagnola
RispondiEliminail mio blog è aperto a tutte le esperienze anche perchè non è più il posto dove mi lamento per la malasorte
RispondiEliminaBuongiorno. Adesso che è finito il romanzo che facciamo?
RispondiEliminaComplimenti per la trasmissione. Pilon
(l'unico vero, orginale)
Per le ricette, ne ho già una. PASTA CON LE SARDE.
RispondiEliminaCuocete la pasta e conditela a piacimento. Invitate a mangiarla con voi zia Furica e Gavina.
Altrimenti, sempre che vi interessi, posso "postare" a puntate il mio vecchio giallo ambientato in Costa Semralda.
RispondiEliminaO, ancora, continuiamo con Mimesis.
RispondiEliminaOppure pubblichiamo, sempre a puntate, i nostri articoli scientifici. Così si cresce un po', anche culturalmente.
RispondiEliminaE le commedie della Compagnia Stabile di Manziana? Anche se c'è il problema che vanno completamente riscritte.
RispondiEliminaE pubblicare romazi di altri e commentarli? Come la vedete? Potremmo iniziare con Guerra e pace, così, almeno, dura un po'.
RispondiEliminaUn'altra idea. L'editore mette una sua scultura al giorno (o opera d'arte o di desing) e noi scirviamo i nostri commeti: che cosa ci dice, se ci piace, cosa ci leggiamo ecc. Così, poi, quando pubblicheranno il catalogo della Mostra, c'è già la parte testuale pronta.
RispondiEliminaohi che esaurimento nervoso!
RispondiEliminaPilon si è finalmente svegliato, adesso ci deve raccontare dov'è stato tutto sto tempo, cosa ha fatto, con chi, per caso con Pilar? Lo faccia senza peli sulla lingua, scriva tutto, anche i particolari più intimi, va tanto di moda (v. l'ultimo Starnone), poi l'editore dovrà decidere il da farsi, qui scalpitiamo tutti.
RispondiEliminaMi era passata l'ispirazione. Mi si era ispirata la passata. Mi ispirava il passato. Mi passa il sale, per favore. Ora mi pento, ora che mi sento, di non essermi sentito prima, per poi pentirmi di non sentirmi. Anzi di non essermi sentito. Di non essermi fatto sentito. Di non sentire più tanto bene. E vedere anche (ma quello non ci ho ho mai visto tanto bene). Ed ora, mannaggia, che tutto è finito, ora, dunque, vorrei risentirmi e rivedermi e ispirato non pentirmi. Di essermi pentito mi pento e anche sento di non essere pentito. Adesso. Non è ieri. Adesso. Non è domani. Adesso è proprio adesso. E quando metto il punto e scrivo e quando metto il punto già non è più adesso. Ohi, che esaurimento nervoso.
RispondiEliminanon capisco se ho capito ma ho capito che capisco
RispondiElimina