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mercoledì 4 aprile 2012

ADESSO ALTRE PECORE capitoli cinquantuno, cinquantadue, cinquantatre


romanzo erotico/musicale 




CINQUANTATRE

Alla reception ci son già tutti, elegantissimi, come a un matrimonio. Adelina ha un vestito mozzafiato di seta bianca e in mano un mazzolin di fiori, diciamo pure un bouquet. Un bouquet? E che ci fa con un bouquet?
Ciocci sta facendo un discorso.
“…mare significa anche viaggio, partenza, speranza, lontananza, e il viaggio è un tema molto presente nelle arti di tradizione colta e soprattutto orale, offre mille spunti perché suscita emozioni diverse, il desiderio di una vita migliore e insieme la paura di abbandonare la propria terra — partono ‘e bastimente pe’ terre assaje luntane — sebbene prevalga tra esse la malinconia. Il viaggio è anche ritorno a casa, con i sentimenti diversi che esso comporta, perché luntano ‘a Napule nun se po’ stà, ma il luogo d’origine viene quasi sempre idealizzato e poi si rivela per quello che è, un luogo talvolta estraneo, come canta De Andrè nella bellissima Créuza de mä, che racconta il ritorno a casa dei marinai e il loro sentirsi ovunque ombre, umbre de muri muri de mainé, dunde ne vegnì duve l’è ch’ané…”
Di nuovo rimaniamo di stucco, in silenzio. C’è anche il conte di Antignano.
“Era babbo”
“No, eri tu”, fa Camilla.
“Babbo”
“Non vuoi ammetterlo, è semplice, dici cose bellissime, romantiche, profonde, ma non vuoi ammettere di averle pensate”
“Mi permetto di interrompere la signora, mi chiamo Giangiacomo Orsini, conte di Antignano, ho sentito le belle parole del signore e volevo complimentarmi per la profondità di pensiero e il modo poetico di esprimerlo…se non avete impegni sarei lieto di invitarvi a cena, conosco un ristorante eccellente a Versailles”
“Grazie, signor conte, ma abbiamo un altro impegno”
“In questo caso sarete miei ospiti quando lo gradirete nel mio agriturismo di Merlazza”
“Dove rimane?”, chiedo solo per esser cortese.
“In provincia di Asti, come tutti gli agriturismi che posseggo”
“Dove rimangono?”, insisto gentile.
“A Lanci, Marelli, Gonella, Morgnano, Rollini, Merlazza, Boschetto, Genovesi, Nicola, Saracchi, Perosini, Revigliasco, Zappa e Firano”
“Sembrano tutti inventati”, fa Ciocci.
“Mi scusi, conte, per lui è tutto falso…io invece ci credo, anzi mi è venuta una gran voglia di recarmi a Merlazza”
“Sarà mio ospite, vedrà che luogo delizioso”
“Cosa offre?”
“Gite a piedi nelle vicinanze e ottima fonduta valdostana”
“Non vedo l’ora di andare a Merlazza”, dico per educazione.
“Ma si, verremo tutti a Merlazza, adesso però andiamo, il pulmino è qui fuori”
Usciamo dall’hotel, saliamo su un pulmino Ford Tourneo 2000 TD nuovo di zecca, è un nove posti e noi siamo dodici, ma Theodore, Thèrèse e Morcol vanno in taxi. Ciocci mette in marcia, preme l’acceleratore e il pulmino sgomma via gagliardo come una Ferrari.
Ci viene all’istante voglia di cantare canzoni montanare. Iniziamo dalla più bella, La mula de Parenzo.

La mula de Parenzo
ga messo su botega
de tutto la vendeva
fora ch’el bacalà.

Perché non m’ami più?

La me morosa vecia
la tegno de riserva
e quando spunta l’erba
la mando a pascolar.

Perché non m’ami più?

La mando a pascolare
nel mese di settembre
e quando vien novembre
la vado a ritirar.

Perché non m’ami più?

La mando a pascolare
insieme alle caprette,
l’amor con le servette
non lo farò mai più.

Perché non m’ami più?

Se il mare fosse tocio
e i monti de polenta
o mamma che tociade
polenta e bacalà

Perché non m’ami più?

“Quasi meglio di Mozart, il testo poi è sublime, l’ultima strofa è un capolavoro assoluto, solo i padani potevano arrivare a tali vette”
“Dov’è Parenzo?”
“Sulla costa occidentale della penisola istriana, oggi si chiama Poreč”
“Che significa tociare”
“Fare zuppetta”
“E perché la mula vendeva tutto tranne il baccalà?”
“Non lo sapremo mai”
“Dove andiamo?”, chiedo a Camilla.
“All’Eliseo”
“Stai scherzando?”
“No, siamo attesi lì tra un quarto d’ora per la cerimonia”
“Quale cerimonia?”
“Il tuo matrimonio con Adelina”
Per fortuna avevo in tasca la bottiglietta con la trementina, ne ho inalato subito una lunga sniffata, poi ho rivolto a Adelina un punto interrogativo.
“Ci sposiamo all’Eliseo, ha organizzato tutto Morcol”
Altra trementina, quasi quasi me la bevo.
“Ma…”
“Non vuoi sposarmi?”
“Certo…ma…”
“Carla e Nicolas ci faranno da testimoni”
Decido di bere un sorso, Adelina mi ferma in tempo.
“Sei pazzo, è trementina!”
“Scusa…però…”
“Ci sarà la stampa, la tivvù di mezzo mondo, cerca di non svenire”
“Ma perché?”
“Perché ai francesi piace proteggere i terroristi rossi, hanno idee curiose, e poi Carla è molto amica di Fred Vargas, anche lei adora i terroristi italiani”
“Ma noi non siamo terroristi”
“Loro però non lo sanno”
“Ma Nicolas…”
“È un tappetino, decide tutto Carla”
“Ma…”
Mi molla un bacio per farmi tacere, poi intona Quel mazzolin di fiori.







CINQUANTADUE

Cedo, sento che cedo. Il Teorema di Ciocci mi ottunde il cervello, mi impedisce di pensare ad altro che al teorema stesso: se x è falso anche y è falso perché tutto allora è falso. Se Ciocci è falso, lo dice lui, anch’io sono falso e quindi anche Adelina, Morcol, Theodore, Thérèse, Nello, Terzi, Bob, Manfredi, il conte di Antignano, tutti. Soprattutto il conte di Antignano, la storia dell’agriturismo a Merlazza non regge, è fiction.
Ho fatto la doccia e mi sono vestito elegante per andare a pranzo. Togliere il trucco non è stato facile, ho dovuto chiedere aiuto a Adelina, quella roba unta sulla pelle non va via con acqua e sapone, ci vuole altra roba unta, acidi, schifezze. Adesso son sdraiato sul letto e rifletto, ho appuntamento tra dieci minuti davanti alla reception, Ciocci è andato a rubare un pulmino così possiamo andare tutti insieme. Dice che in pulmino ci si diverte di più, si può cantare Quel mazzolin di fiori e La mula de Parenzo.
Così, dicevo, sto qua a riflettere sul Teorema di Ciocci e non riesco a darmi pace. Cerco di esser razionale e scienziato, decido di elencare le prove a favore e quelle contro. Comincio da quelle contro che in fondo si riassumono in una verità assoluta che mi conforta: impossibile, siamo veri, tutti veri, altrimenti non potrei sentire sulla pelle quel brivido di emozione ogni volta che Adelina mi sorride e quella gioia universale quando poi mi bacia. Quelle a favore sono una miriade di apparenti dettagli che accadono di continuo e che mettono in crisi qualsivoglia idea di realtà oggettiva palesando un mondo di sogni, meandri, nubi, follie. L’ultimo in ordine cronologico l’ha detto Adelina: il bidello del terzo piano avrebbe avuto il terzo fatale colpo apoplettico. Ma come! L’avevo pensato un momento prima, lo diceva Edmond a Faria nuotando a rana nel mio cervello! Ecco, queste coincidenze mi mettono seriamente in crisi, mi fanno pensare che i due colpi apoplettici (del bidello e di Faria) sono contigui nel tempo perché lo sono nelle righe, fanno parte dello stesso capitolo, nel caso specifico (dei colpi apoplettici) il capitolo 51.
Secondo il Teorema di Ciocci i colpi apoplettici sono entrambi inventati dall’indice del babbo che suona sulla tastiera del computer. Però sulla tastiera ci sto scrivendo io, non il babbo, sto scrivendo io quest’opera scientifica sulle migrazioni dell’anima, non il presunto babbo (di Ciocci? mio?). Sono io che trascrivo tutti gli accadimenti di questo disordinato soggiorno parigino per poterli studiare con comodo al mio rientro a Roma. Perché è l’anima che mi interessa, non la consistenza reale o fantastica degli involucri.
Ecco, credo di essere arrivato a una svolta fondamentale, forse il Teorema di Ciocci e la teoria dell’anima migrante possono costituire insieme le basi scientifiche e filosofiche di una nuova e rivoluzionaria teoria del mondo, che ovviamente porterà il nostro nome. Provo a formularla come mi appare adesso nel cervello, ma intendo perfezionarla appena avrò un po’ di tempo, tra due minuti devo scendere alla reception.
Secondo il Teorema di Ciocci siamo tutti falsi, tutte creazioni fittizie del pensiero fantasioso di un autore che Ciocci identifica con il babbo e che io chiamerò Dio. Secondo la mia teoria, che non è una teoria ma esperienza vissuta, le anime trasmigrano da involucro a involucro adattandosi di volta in volta alle diverse situazioni. Ebbene, perché non immaginare che le anime siano vere e gli involucri inventati? L’idea è sublime, si spiegherebbero un sacco di cose, la sensazione di esserci e quella stranissima di non esserci, di vivere in una pellicola proiettata mille volte, incapaci di scegliere realmente il nostro destino eppure misteriosamente capaci di organizzare la nostra giornata. L’anima è vera ed è sempre la stessa, gli involucri son solo vestiti e le cose che chiamiamo mondo o natura solo illusioni di cartapesta.
Così l’anima si veste con l’involucro che ha scelto e poi quando si è consumato lo abbandona per cercarsene un altro, sapendo benissimo che è solo un vestito, niente di più, una cosa inventata da Dio per coprire la nostra inconsistenza. Senza involucri ci scontreremmo o forse ci mescoleremmo vista la nostra natura volatile, di gas, ma è ora di andare, mi staranno aspettando.






CINQUANTUNO

Seduto sulla scalinata del Palazzo di Giustizia, con un pennello in mano, guardo la Senna con lo stesso sguardo perso di Ellen Andrée nel quadro di Degas (così si chiamava, e lui era Marcellin Desboutin), mentre nella mia testa scorrono le immagini della la mia fuga rocambolesca dalle segrete del Castello d’If.
In questo preciso momento nuoto a rana con l’abate Faria nelle acque gelide del golfo di Marsiglia.
“Mi fa piacere vederti nuotare con me nelle acque gelide del golfo di Marsiglia”, dico.
“Temevi che non ce l’avrei fatta?”, domanda l’abate.
“Ci aspettavamo tutti il terzo fatale colpo apoplettico”
“Tutti?”
“Si, tutti”
“Ma ci sei solo tu!”
“Faria…sei uno scienziato, un uomo colto…possibile che non capisci?”
“Cosa?”
“Lasciamo perdere, nuotiamo invece…comunque prima, quando eravamo nella mia cella, avresti dovuto dire Oh! eccola...viene...tutto è finito...la mia vista si perde....la mia ragione svanisce....la vostra mano Dantès...addio!, poi riunendo tutte le tue forze e le tue facoltà avresti dovuto fare un ultimo sforzo per rialzarti dicendo Montecristo... non dimenticate Montecristo
“E sarei morto?”
“Stecchito”
“Cacchio…quindi mi è andata bene…e adesso?”
“Sono molto indeciso se uccidere Danglars e Fernand Mondego o recarmi a Montecristo a cercare il tesoro degli Spada, tu che dici?”
“Dico che ho freddo”
“Allora andiamo prima all’isola di Tiboulen, riposiamo un po’ e domani mattina speriamo di avvistare una tartana genovese, la Giovane Amelia, con a bordo contrabbandieri. Sarà il 28 febbraio 1829, saremo liberi”
“Sarai libero, sento arrivare, in ritardo, il famoso terzo colpo apoplettico”
“È solo un po’ di freddo”
“E comunque non sono allenato, non posso nuotare a lungo, sono stato fermo in prigione per diciotto anni, dal 1811”
“Poche storie, nuota e stai zitto”
“Edmond”
“Che c’è?”
“Posso nuotare a dorso?”
“Si, basta che tieni la rotta”
“Va bene…Edmond…sai…vorrei proprio esser Pinocchio, comodo dentro una balena”
Mentre nel cinema che ho in testa stiamo per essere divorati da una balena per entrare in un’altra storia famosa, sento alle mie spalle la risata vulcanica di Adelina che mi riporta alla realtà.
“È fatta”
“Ci sei riuscita?”
“Si, è stato facile”
“Racconta, come hai fatto?”
“Sono andata dal bidello del terzo piano e l’ho adescato con occhi erotici e segnali corporei inequivocabili. Lui ha detto che avrebbe preso il cuore di sua madre per i miei cani pur di possedermi nel WC dei testimoni oculari, io gli ho chiesto molto meno, ossia appendere il tuo quadro nell’ufficio di Morcol”
“E poi?”
“L’ha fatto, ha detto a Morcol che è un regalo dei bidelli del Quai des Orfèvres”
“E poi?”
“Poi gli ho dato un bacio e mi sono fatta toccare la chiappa destra, nulla di più”
“Nulla di più? Sul serio?”
“Si, gli è venuto il terzo fatale colpo apoplettico”
“Terzo?”
“Così mi han detto i colleghi, ne aveva già avuti due toccando la bidella del secondo piano”
“E adesso che facciamo?”
“Aspettiamo che il quadro faccia effetto”
Ci sediamo sulla scalinata, Adelina è di ottimo umore, teme solo il ritorno della ridarella. Io sono molto confuso, penso a Ciocci, alla sua teoria del babbo, una vera follia che però mi da molto da pensare…molto…il terzo colpo apoplettico…strana coincidenza…Faria…il bidello del terzo piano…non sarà tutto inventato da babbo? Mi sento mancare, Adelina se ne accorge e mi costringe a inalare essenza di trementina, poi col pennello mi solletica il collo.
Non passa neanche un minuto che sentiamo delle voci provenire dall’ingresso, ci voltiamo e vediamo Camilla e Bertrand con un signore anziano che fuma la pipa.
“Come ho potuto farvi un torto simile!”
“Non si preoccupi signor Morcol, tutti possiamo sbagliare”
“È stata colpa mia, non dovevo guidare in quel modo”
“Per così poco bastava una multa, invece vi abbiamo trattato come pericolosi terroristi…ma intendo rimediare, sarete miei ospiti nel migliore ristorante della città, l’unico in cui è ancora permesso bere autentico assenzio e non quel perfido Pastis
Ci avviciniamo, Camilla saluta Adelina, poi guarda me, si avvicina, mi osserva per bene la faccia, le tette, le gambe, il culo, di nuovo la faccia, resta un momento perplessa, poi emette un suono vocalico impossibile da descrivere, una specie di trillo basso come il clarinetto della Rhapsody in blue che dalle note basse sale per gradi cromatici alla più acuta e qui si ferma aumentando di forza fino ad esplodere in una fragorosa risata.
Adelina non resiste, inizia anche lei, anche Bertrand che però non mi ha riconosciuto, e subito dopo Morcol, come un pazzo, forse è un effetto collaterale del quadro che gli ho donato. Io invece resto serio, anzi un po’ triste, non riesco ad unirmi alla loro gioia, vorrei solo fare una doccia e vestirmi da persona seria, sono stufo di fare la cavallerizza russa. Mentre quelli si scompisciano sdraiati per terra chiamo Theodore al cellulare e gli chiedo di venire al Quai, poi chiamo anche Ciocci.
“Sono liberi, è tutto risolto, andiamo tutti a cena, paga Morcol”
“Paga Morcol?”
“Si”
“Possono venire anche gli altri?”
“Chiedi al babbo”
“Così non funziona, devi dirlo tu anche se poi lo fa il babbo”
“Va bene, scusa, ricominciamo da capo…sono liberi, è tutto risolto, andiamo tutti a cena, paga Morcol”
“Paga Morcol?”
“Si”
“Possono venire anche gli altri?”
“Certo, Morcol mi ha detto che siamo tutti suoi ospiti”
“Bene, molto meglio, e dove andiamo?”
“Invento un posto a caso?”
“Si, ma deve essere verosimile”
“Allora andiamo Chez Zazie dans le métro, l’unico ristorante parigino dove si può bere assenzio”
“Dove rimane?”
“Dans le métro”
“Hai bevuto?”
“Sai che sono astemio”
“Preso qualcos’altro?”
“Inalato trementina”

15 commenti:

  1. estos capitulos tengon una carica erotica increible

    Maria Jose

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  2. i bigoli con le luganeghe sul canapè no estan porque era mas erotico?

    Pliar

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  3. los comientos de Maria Jose y Pilar tengon una carica erotica increible

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  4. los ultimos tres comientos tengon una carica erotica increible

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  5. los ultimos cuatro comientos tengon una carica erotica increible

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  6. los ultimos cinco comientos tengon una carica erotica increible

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  7. La mula de Parenzo
    ga messo su botega
    de tutto la vendeva
    fora ch’el bacalà.


    Perché non m’ami più?


    La me morosa vecia
    la tegno de riserva
    e quando spunta l’erba
    la mando a pascolar.


    Perché non m’ami più?


    La mando a pascolare
    nel mese di settembre
    e quando vien novembre
    la vado a ritirar.


    Perché non m’ami più?


    La mando a pascolare
    insieme alle caprette,
    l’amor con le servette
    non lo farò mai più.


    Perché non m’ami più?


    Se il mare fosse tocio
    e i monti de polenta
    o mamma che tociade
    polenta e bacalà


    Perché non m’ami più?

    RispondiElimina
  8. comunque da un musicologo della fama di Enrico non mi sarei mai aspettato tanta ignoranza, la canzone in questione nulla a a che fare con la montagna, Parenzo è una bellissima cittadina dell'Istria posta su una penisola un po' come Stintino, quindi una città di mare "se il mare fusoi de tocio e i MONTI de polenta" questa forse è la frase che ha tratto in ingannno il nostro autore.
    di seguito Wikipedia docet e il testo intergrale della canzone:
    La mula de Parenzo (in italiano La ragazza di Parenzo) è una canzone popolare nota nell'Italia settentrionale. In dialetto bisiaco e triestino (a volte attribuito anche al dialetto veneto), questo pezzo ha radici molto antiche: Parenzo (Poreč in croato) infatti è una città istriana che in passato era abitata per la maggior parte da italiani, quando ancora tali territori erano annessi all'Italia.

    Sia il testo che la canzone sono di autori anonimi; esistono più versioni del testo e alcune differenze negli accordi di accompagnamento.
    Testo [modifica]

    La mula de Parenzo leri-lerà
    l'hà messo su bottega leri-lerà
    e tutto la vendeva
    e tutto la vendeva.
    La mula de Parenzo leri=lerà
    l'hà messo su bottega leri-lerà
    e tutto la vendeva
    fora ch'el bacalà
    perché non m'ami più.

    Me piase i bigoî co le luganeghe
    Marieta damela per carità.
    Marieta damela per carità.
    Marieta damela per carità.
    Me piase i bigoî co le luganeghe
    Marieta damela per carità.
    Marieta damela per carità sul canapè.

    La mia morosa vecia leri-lerà
    la tengo per riserva leri-lerà
    e quando spunta l'erba
    e quando spunta l'erba.
    Le me morosa vecia leri-lerà
    la tengo per riserva leri-lerà
    e quando spunta l'erba
    la mando a pascolar
    perché non m'ami più.

    Me piase i bigoî co le luganeghe
    Marieta damela per carità.
    Marieta damela per carità.
    Marieta damela per carità.
    Me piase i bigoî co le luganeghe
    Marieta damela per carità.
    Marieta damela per carità sul canapè.

    La mando a pascolare leri-lerà
    nel mese di settembre leri-lerà
    e quando vien novembre
    e quando vien novembre.
    La mando a pascolare leri-lerà
    nel mese di settembre leri-lerà
    e quando vien novembre
    la vado a ritirar
    perché non m'ami più.

    Me piase i bigoî co le luganeghe
    Marieta damela per carità.
    Marieta damela per carità.
    Marieta damela per carità.
    Me piase i bigoî co le luganeghe
    Marieta damela per carità.
    Marieta damela per carità sul canapè.

    La mando a pascolare leri-lerà
    insieme alle caprette leri-lerà
    l'amor con le servette
    l'amor con le servette
    La mando a pascolare leri-lerà
    insieme alle caprette leri-lerà
    l'amor con le servette
    non la farò mai più
    perché non m'ami più.

    Me piase i bigoî co le luganeghe
    Marieta damela per carità.
    Marieta damela per carità.
    Marieta damela per carità.
    Me piase i bigoî co le luganeghe
    Marieta damela per carità.
    Marieta damela per carità sul canapè

    Se il mare fosse tocio leri-lerà
    e i monti de polenta leri-lerà
    o mamma che tociade
    o mamma che tociade.
    Se il mare fosse tocio leri-lerà
    e i monti de polenta leri-lerà
    o mamma che tociade
    polenta e bacalà
    perche non m'ami più.

    Me piase i bigoî co le luganeghe
    Marieta damela per carità.
    Marieta damela per carità.
    Marieta damela per carità.
    Me piase i bigoî co le luganeghe
    Marieta damela per carità.
    Marieta damela per carità sul canapè.

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  9. esta cancion me fa vibrar

    Pilar

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  10. Dal DEUMM (Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti), voce canti montanari: "La mula de Parenzo è una famosa canzone montanara ambientata a Porec, gaia cittadina a duemila metri d'altezza"

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  11. È una canzone montanara, non c'è dubbio, lo scrivono pure i curatori dell'edizione critica (cfr. La mula de Parenzo, edizione critica a cura di R. Castriotta e A. Nalda, «Le gemme del canto veneto», XIII, 1988, p. 25).

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  12. bon se xe cussì te gavarà ragion ti

    anonimo de parenzo

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  13. Dal New Grove Dictionary of Music and Musicians: "The Parenzo's Mul is a famous popular song composed on the top of a mountain"

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  14. Todos estos comientos tengon una carica erotica increible

    Pilar

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  15. Da Die Musik in Geschichte und Gegenwart: "La mula de Parenzo ist ein Lied geschriben in Berg"

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