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domenica 29 aprile 2012

SU FOGU capitolo dieci


10.
Penso che nei bar di Porto Rotondo un addobbo para-natalizio sul bicchiere - qualsiasi cosa questo contenga - debba esserne considerato come corollario indispensabile. La mia granita al caffé, una volta raggiunta oltre bandierine e siepi di gadget, non era male, ma soprattutto con una mattinata come quella... un maestrale fresco e teso, la sua luce tersa, le otto di mattina e la piazzetta di Porto Rotondo tutta per me. Mi chiedevo dove fossero vacanzieri e VIP, forse a perdersi ore preziose dormendo o ammassati davanti all'unica edicola del paese. Sogno talvolta di presentarmi a turisti sconosciuti e renderli partecipi dei miei segreti luoghi. Prelevarli dalla spiaggia affollata, tra urla e racchettoni, o da una snervante attesa per vedere Paola Barale uscire dall’albergo e portarli veleggiando nelle calette più arcane, per vedere le loro facce, sentire i commenti a mezza voce, estasiarli con la mia isola. E magari si rompono le palle. Anzi, sicuro: altrimenti sarebbero già lì e non tutti all'edicola.
- Commissario: niente da fare - Pirro si era materializzato alle mie spalle. Per festeggiare quella mattina radiosa avevo indossato il mio vestito preferito, di cotone beige chiaro, e una camicia azzurro cupo, senza cravatta. Mi ero messo in eleganza, blanda, per fare una visitina al barone D'Elia, a contargli i cerini rimasti. Divertito della mia stessa idea, che consisteva essenzialmente nell'innervosire don Ercole mandandogli uno "scagnozzo" all'alba, mi ero portato dietro Pirro e lo avevo spedito in avanscoperta alla villa.
- Non ti ha ricevuto?
- No. Ho fatto il poliziotto proprio bene: ho esibito il tesserino e ho salutato portandomi due dita alla fronte. Quello, il cameriere ha fatto la faccia bianca, è andato di là e subito si è ripresentato, che il barone si è appena alzato e non riceve nessuno fino alle dieci.
- E noi lo inseriamo d’ufficio nell'annuario del Chi se ne fotte. Bene: adesso puoi tornarci con il biglietto. - Gli diedi uno dei miei cosiddetti biglietti da visita: me li aveva regalati mia madre per un compleanno di molti anni prima, un po' per sfottere ma secondo me neanche tanto. Sul cartoncino di un tenue color crema è stampigliato in seppia il mio nome, ma per intero, con tutti i titoli e i sottotitoli che mi competerebbero per nascita e censo se i bollettini di conto corrente che l'Istituto Araldico si ostina a spedirmi fossero pagati alla posta e non inseriti nei cassonetti. A dispetto di questa insolvenza cronica, il mio nome, su quei biglietti, è sormontato da una piccola ma ben visibile coroncina ducale, adatta, così almeno pensavo, a provo­care un po' il barone, che per di più, pare che il titolo se lo sia comprato. Ebbene, avevo colpito nel segno: esattamente otto minuti dopo ero comodamente seduto in una delle poltrone del salotto baronale

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