9.
Una lunga facciata bianca interrotta
parsimoniosamente solo da quattro finestre con persiane verdi, alte.
Il portone grande, di legno di noce, a due battenti. E su tutta
questa superficie candida non un capitello, né una losanga o un
ghirigoro: soltanto due panchine in muratura ai lati del portone -
qui le chiamano pidrizze
- e una cert’aria da casa di maggiorenti del villaggio sottolineata
dall'affaccio sulla piazza principale del paese. Ho comprato questa
casa lo stesso anno in cui ho preso servizio in Polizia in uno dei
centri più popolosi della Gallura costiera, sul limitare dei Monti
di Mola, che poi sarebbero quel paradiso per ceti emergenti o già
emersi, che oggi chiamano Costa Smeralda. Fare il poliziotto in
Sardegna, almeno nelle commedie all'italiana, è la punizione per
antonomasia (...ti sbatto in Sardegna).
Effettivamente, anche se in una zona di consolidata residenza
turistica, non è che si sta propriamente tranquilli. Ma per chi ci è
nato... Queste baggianate me le ripetevo per farmi passare i nervi,
mentre me ne stavo immerso nella mia bella vasca con idromassaggio.
Sono nato tra gli agi e ci sono cresciuto, per un po'. Poi mi sono
spartanizzato, sono diventato brutto, vecchio e antipatico. Vecchio
no: ho l'età di Deidda, credo, ma lui sembra più giovane e bello.
Io ho una faccia lunga e grosse sopracciglia e qualche volta i baffi
(ma li taglio subito perché cerco di morderne le estremità e alla
fine della giornata mi fanno male i muscoli delle labbra). Una volta
qualcuno mi disse che ricordavo Elliot Gould, ma a quei tempi avevo
ancora tanti ricci ed ero molto giovane. A Gould, poi, i capelli gli
sono rimasti. E comunque: degli agi tra i quali sono cresciuto
coltivo ancora solo quello della sala da bagno. Nella mia grande
casa, per il resto quasi vuota, ho ricavato una specie di impianto
termale unendo il bagno originale, una camera e un ripostiglio.
Funziona tutto, benissimo in ogni stagione, grazie all'enorme
cisterna di acqua piovana, preesistente al mio arrivo, che si estende
sotto la casa. Funziona, poi, senza ingente spesa grazie all'impianto
di riscaldamento a energia solare, cui ho provveduto di persona. Ho
fatto anche un antibagno, con una libreria, due poltroncine di vimini
e qualche pianta, diciamo così, tropicale. I miei soldi di famiglia,
che non sono tanti ma vivo pur sempre da solo, e parte di quelli che
mi passa lo Stato mi permettono di dedicarmi con maniacale pervicacia
all'arte del ritocco, su un insieme che peraltro oserei definire
perfetto.
Erano le nove di sera e mi sarei dovuto decidere ad
andare a dormire: nel letto, magari, e non nella vasca. In tutta la
giornata non mi ero concesso un attimo di sosta: avevo congedato la
Fresi, pregandola di rifarsi viva l'indomani mattina. Al bar
dell'Associazione Velica - le avevo proposto - e non in Questura,
nella speranza che modificando la forma ci avrei guadagnato in
sostanza. Poi la lunga, snervante e come sempre inutile riunione
congiunta col vice questore (manco a dirlo, Er Sola nun era potuto
venì), il sostituto procuratore, i comandanti dell'Arma e dei
Vigili del fuoco, due assessori rincoglioniti e il sindaco. Costui,
un rampantello neanche quarantenne che pure aveva attraversato
incolume le prime due repubbliche e si preparava per le successive,
dotato di una collezione di giacche a quadrettoni che avrebbero fatto
inorridire anche un direttore di circo, era visibilmente sollevato
perché i luoghi più esclusivi della Costa, come Romazzino o Liscia
di Vacca, non erano stati neanche lambiti dalle fiamme. L'unica cosa
che lo preoccupava, adesso, era che le nostre dichiarazioni alla
stampa fossero "coordinate nell'ambito di una linea d'azione
congiunta, che tenga in debito conto la gravità della situazione ma
anche gli interessi della popolazione". Dal puntuale rapporto di
Deidda era emerso che la maggior parte delle terre bruciate
appartenevano ad un'unica persona. Siccome conosco i miei polli,
avevo proposto immediati accertamenti in merito, così da appurare se
ci potessero essere "interessi della popolazione" nel
liberare terreni da vincoli paesistici o nel rialzarne l'indice di
edificabilità deturpandone il valore naturalistico. E così,
ovviamente, sulla soglia il sindaco mi aveva preso sottobraccio,
simulando una confidenza inesistente, e mi aveva pregato di occuparmi
personalmente di quest'ultimo dettaglio, dato che il proprietario in
questione, il barone d'Elia, era persona di riguardo, cui il nostro
Comune doveva tanto. Ed essendo io, per lui, "uno che conosce il
mondo, noi ci intendiamo, caro Fontana", mi si poteva chiedere
un favore, in nome della "stretta comunanza di intenti che ha
sempre improntato le relazioni tra rispettive strutture di
appartenenza".
Una giornata orribile, con una sola nota di colore
locale: il giardiniere della villa che mi si era presentato in
questura vestito come un rapper: intanto portava scarpe da ginnastica
rosse, di quelle erte che sono un misto tra un'astronave e un
panettone; senza calze. Ma soprattutto si era procurato una di quelle
magliette con su scritto a caratteri cubitali mens
sana in corpore sardo, che quell'anno
promuovevano la Sardegna in tono turistico-autonomista. Nome:
Pirastru Antonino; età: anni settantasei. Di faccia era un misto tra
Carlo d'Inghilterra e un cavallo (in sintesi sembrava un cavallo). Si
dichiarò subito colpevole del mucchio di frasche, ma non
dell'incendio. Proclamò (si era alzato in piedi e aveva messo la
mano sul petto) di avere due alibi e cioè l'amore per la sua terra e
la gelosia della moglie, che non lo lasciava uscire mai di notte.
Quando gli domandai se nel lavoro di Cala Veronese lo aiutasse
qualcuno, mi squadrò come a dire che-ti-credi-che-non-ce-la-faccio,
ma ammise che, sì, un nipote ogni tanto gli dava una mano, ma era
partito tre giorni prima, imbarcato come marinaio aggiunto su un
duealberi francese. Prima che si allontanasse gli chiesi il nome dei
proprietari della villa. Mi rispose: - Sinibaldi, se non sbaglio.
Alle sette e mezzo avevo i nervi ma anche, in tasca, un
prezioso elenco che accarezzavo mentalmente mentre mi avviavo a piedi
verso casa. Mi sento più tranquillo, quando faccio degli elenchini;
mi dà piacere aggiornali eliminando le cose fatte con un sottile
rigo di penna. Questo non era un granché, tuttavia era pur sempre il
frutto degli ultimi sprazzi di lucidità, tutti tesi ad una sintetica
ricapitolazione. Pressappoco recitava così:
- piromani: possibile
- incendiari casuali (turisti, campeggiatori ecc.):
altamente improbabile
- incendiari interessati (tipo lavoratori a cottimo per
il rimboschimento): poco probabile
- incendiari professionisti guidati:
a. dal barone: accertare
b. da altri, comunque interessati al terreno:
accertare
c. da altri per interessi ancora ignoti (v. il
cadavere nella villa)
- altro ancora, tutto da vedere (Marta Fresi???)
Il punto "c" di "incendiari
professionisti" conteneva ovviamente la mia vaga ipotesi di un
delitto, in connessione più o meno diretta con l'incendio. La
vaghezza dei contorni, purtroppo, rispecchiava alla perfezione lo
stato delle cose: il mio idromassaggio aveva aiutato il corpo, come
si dice, ma non lo spirito.
Quarto controromanzo
RispondiEliminaEmilia sogna.
È Maria Paola Bonaparte, sorella prediletta di Napoleone, e posa completamente nuda su un triclinio per il celebre scultore veneto Antonio Canova all’insaputa del geloso marito, il principe Camillo Filippo Ludovico Borghese. Tra un colpo di scalpello e l’altro Canova le titilla il sedere per metterla di buon umore.
“Ho freddo”
“Ti avvicino la stufa”
“Non posso avere un drappeggio? Che bisogno c’è di star nuda se ancora stai alla mano destra?”
“Mi ispiro, mica faccio lapidi o gradini”
“Voglio un drappeggio, altrimenti diventerò una Venere intirizzita, rigida, insomma neoclassica”
“La rigidità sarà poi smorzata dalla naturale morbidezza con cui farò i drappeggi e il triclinio, ma non ora, adesso ti voglio nuda”
“Hai già un’idea di come farai i drappeggi?”
“Lo apprenderò grazie a numerosi studi in gesso e in terracotta finalizzati ad una elevatissima conoscenza del nudo umano”
“A maggio mio fratello si fa incoronare Re d’Italia”
“Tuo marito come l’ha presa?”
“È geloso, è geloso di tutti, soprattutto di te, se mi becca qui nuda mi accoppa”
“Allora devo sbrigarmi, intendo passare alla storia proprio con questa scultura, la chiamerò Venere vincitrice ma sarà nota a tutti come Paolina Borghese, la mia Paolina, l’amante del grande Canova”
Le titilla il culo. Entra il generale napoleonico Camillo Borghese, li vede e va su tutte le furie.
“Almeno un drappeggio, cazzo!”
“Cielo, mio marito!”
“L’anno prossimo ti porto a Guastalla”
“No, Guastalla no, meglio la morte”
“Perché?”
“È in Val Padana, si muore di noia, c’è la nebbia”
“Ma sarò Duca!”
“Per poco, vedrai, mio fratello e Maria Luisa d’Asburgo-Lorena la incorporeranno nel Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla e tu finirai in Piemonte a mangiare fonduta valdostana”
Camillo Borghese piange e tira su col naso.
“Buona però la fonduta”, azzarda Canova.
“Dipende dal caquelon e dal formaggio, non tutti sanno farla bene”, dice Camillo singhiozzando un po’ meno.
“Io non l’ho mai mangiata”, fa Paolina rimettendosi le mutande.
“Per degustarla ogni commensale ha una forchetta da fonduta di forma allungata con cui infilza un pezzo di pane che deve immergere nel formaggio fuso all’interno del caquelon, che poi sarebbe una casseruola. Una volta immerso il pane s’imprime alla forchetta un movimento rotatorio continuo cercando di non fare uscire il formaggio dal caquelon perché macchierebbe la tovaglia. Quando si ritiene che il pane abbia raggiunto la temperatura ideale lo si estrae dal formaggio fuso e se ne apprezza il gustoso sapore”
“Non mi sembra troppo complicato”
“Non lo è”
“Potremmo provarci…”
“Già”
“Vai subito a cercare un caquelon”
“Vado a cercare un caquelon”
Camillo Borghese va a cercare un caquelon. Paolina si toglie le mutande
Enrico sogna.
RispondiEliminaÈ Camillo Filippo Ludovico Borghese. Ha bisogno di un caquelon, compito difficile, non sa dove trovarlo. "Quasi quasi proverei a chiederlo a mammina".
La sua mamma, Anna Maria Salviati, detta Marianna, non era una personalitá di spicco della sua famiglia, ma era una buona madre e aveva sempre cercato di rispondere ai bisogni di quel figlio egocentrico, interessato solo ad acquisire altri titoli nobiliari. Ma da quando era entrata in casa la nuora sconsiderata, le cose non andavano più per il verso giusto.
Non aveva quindi intenzione di darsi da fare per trovare un caquelon per Camillo, dello Millo.
'"Millo, quel Marcantonio di tuo padre, che io sappia, non ha antenati svizzeri e la mia famiglia, pur annoverando un tal Gottifredo fra i suoi antenati, non mi ha lasciato in eredità un tal manufatto. Dí alla tua mogliera che la fonduta può cucinarla in uno dei barattoli di quel suo amico scultore".
Millo è affranto, aveva sperato di trovare un'alleata ed invece aveva come al solito rinfocolato i rancori familiari.
Si consola cosí con sogni di gloria, conte, duca, principe, chissà... Dimenticando Paolina, il caquelon e soprattutto le mutande.
Millo è un nome proprio o un modo dialettale di dire "eccolo" (millo mì)? Grazie. Un lettore.
RispondiEliminaAmore in cuccetta
RispondiEliminaDodi e Lady si erano conosciuti al mare, ai bordi di quell'immensa distesa di acqua dal sapore salato, che allarga l'orizzonte e pacifica gli animi. Una giornata al mare, il primo sole caldo dell'anno ed una spiaggia che iniziava ad assorbirne il calore.
Lui era un perdigiorno, un tipico maschio. Anche la gita al mare poteva essere l'occasione per infastidire qualche femmina.
Lei, sensibile com'era al portamento maschile, lo notò subito e se ne invaghí nel tempo che una nuvola impiega ad oscurare il sole in una giornata ventosa.
E cosí iniziò la loro storia d'amore, che dura ancora oggi, rallegrata da altre gite in campagna, al mare, in montagna e dai latrati che le accompagnano.
"Dody, Lady, smettetela di far cagnara e andate a cuccetta!"
È in arrivo "Poligamia d'autunno'", delle stesse autrici.
EliminaMa è una storia di cani? Io detesto le storie di cani.
RispondiEliminaio le amo, bravo Ged
RispondiEliminaLe storie di cani che se le leggessero i cani. Io sono Drupi e leggo le storie di Drupi. Un amico mio, che è Puffo, legge sorie di Puffi. Vittorio legge storie di gelatai. Bullacone di bullaconi. E via dicendo. Sennò dove andremo a finire?
RispondiEliminaTutti i cani muovono la coda e tutti gli sciocchi voglion dir la loro.
RispondiEliminaDodi
E già, magari lo dicevano anche a noi "Stavolta ti sbatto in Sardegna". E poi... poi.
RispondiEliminaA me piacciono le storie di mutande, c'è qualcuno che me ne racconta una?
RispondiEliminaJean Culotte
Io ne so a centinaia
RispondiEliminaPaola Tanga
E allora raccontacene una!
RispondiEliminaSli Pino
Correggo Sli P.Pino
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