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domenica 6 maggio 2012

SU FOGU capitolo sedici

lo sciopero dell'editore continua ad oltranza 
visto che nessuno ha cliccato sull'immagine precedente e mi ha riconosciuto nel quadro di Panizza 

16.
Non so se anche a tutti gli altri che cominciano a perdere qualche capello, per usare un blando eufemismo, gli uomini dotati di folte chiome ondulate e irresistibilmente spruzzate di bianco alle tempie ispirino la stessa sordida antipatia. Se poi sono anche alti, belli e abbronzati, mi fanno proprio schifo. Da un quarto d’ora abbondante continuavo a fissare l'ingegner Riccardo Rinaldi che fumava malgrado il divieto, seduto su una delle poltroncine di similpelle marroni che adornano con arioso brio il mio ufficio. Sembrava avere quarantacinque anni, forse quarantasette. Tutti i particolari del suo sobrio abbigliamento estivo - calzoncini corti kaki, camicia a righe azzurre e scarpe da vela di cuoio meticolosamente ingrassato - sprizzavano stile e bella vita da ogni cucitura, malgrado la camicia fosse stazzonata e macchiata di sudore, come dopo un lungo viaggio.
Lui non mi poteva vedere né sentire, perché mi trovavo nell'ufficio di Pirro dove qualche megalomane, prima del mio arrivo, aveva fatto installare un vetro speciale, specchio da una parte e vetro dall'altra. Nella sua sostanziale inutilità in questo caso mi dava agio di rimirare, non visto, il bel Riccardo mentre, apparentemente, rifletteva. Non aveva l'aria di un uomo distrutto, ma nemmeno quella dell'uxoricida, ammesso che esista la tipologia. Avevo già visto quel tipo di espressione, non glaciale… piuttosto “pietrosa”: mi ricordava un vecchio pescatore greco che, durante una vacanza di tanti anni prima, mi portava a pescare o a fare il bagno con la sua barca, ma andava sempre e solo dove voleva lui. Alle richieste di cambiare posto o di tornare in uno che mi era piaciuto, rispon­deva semplicemente fissando il mare, con la stessa espressione di Rinaldi scolpita sul volto granitico. Se l'ingegnere era un avversario, mi avrebbe dato filo da torcere.
- Da quanto tempo è qui? - chiesi a Pirro che si faceva vento con il giornaletto della Polizia.
- Da una mezz'ora.
- È  già stato alla villa?
- Ho chiamato i carabinieri, che mi hanno detto che è passato, si è fatto riconoscere, ha fatto un giro dentro ma non ha preso nulla e non ha fatto un fiato. Quando è arrivato qua io ero a pranzo, ma mi ha detto Vitali che si è limitato a presentarsi e a dire che avrebbe aspettato il ritorno di un superiore.
- Bene! Grazie. Vado dentro.
- Devo accendere l'interfono? O devo entrare?
- Se ti diverti, sì, altrimenti non c'è bisogno: è tutto an­cora molto informale. - Uscii dall'ufficio di Pirro, feci il gesto di aggiustarmi la cravatta che non avevo, infine entrai. L'ingegnere spense la sigaretta e si alzò in piedi, porgendomi la mano con l'aria di uno che si appresta a parlare di affari. Gli feci cenno di accomodarsi e presi posto davanti a lui, non dietro la mia scrivania. Lo guardai dritto negli occhi e lui sostenne il mio sguardo, senza arroganza, ma con l'evidente intenzione di non essere il primo ad abbassarlo.
- Ingegner Rinaldi, le mie più sentite condoglianze.
- La ringrazio infinitamente, dottor...
- Fontana. Sono un commissario e sono incaricato di svolgere gli accertamenti di rito sulle cause dell'incendio che, presumibilmente, ha provocato la morte di sua moglie. E di un'altra persona.
- Qualcuno...nella villa? - aveva avuto un attimo di esi­tazione.
- A lei risulta che ci fossero altri ospiti?
- Nessuno, a quanto ne so. La servitù non è fissa, viene solo di giorno e mia moglie odiava ogni tipo di compagnia che non fosse strettamente familiare.
- Immagino che lei sia un uomo pratico, una persona abituata a parlare chiaro... - mi ero deciso per l'approccio diretto, nel quale mi distinguo solo perché non brillo neppure in tutti gli altri.
- Perché me lo chiede?
- Perché ho intenzione di parlarle molto francamente. È  soltanto una mia ipotesi, ma ritengo che sua moglie quando è scoppiato l'incendio fosse già morta. Le hanno detto dove è stata ritrovata?
- No. - si era fatto più serio e ancora più pietroso: quando, e se, giocava a poker doveva essere imbattibile.
- Seduta sul divano, tranquilla, adagiata a godersi il pa­norama. Ma il panorama, alle tre di ieri notte, era l'incendio: fiamme, fumo, calore insopportabile. E così mi sono chiesto, e ora lo chiedo a lei: sua moglie soffriva di cuore? aveva svenimenti, mancamenti, si drogava, era afflitta da turbe psichiche? In sintesi: aveva un motivo qualsiasi, che lei sappia, per non tentare di mettersi in salvo?
- Prendeva sonniferi e tranquillanti, questo sì, ma... È  per questo che prima lei ha detto “presumibilmente”, riferen­dosi alla causa della morte? - Al pokerista, quell'avverbio che avevo buttato lì come per caso non era sfuggito.
- So che prendeva sonniferi. So anche che se li faceva mandare perfino dalla Svizzera. Ma lei ha detto “ma” e non ha concluso: la prego, continui.
- Non so bene cos'altro dire. A volte ne buttava giù a man­ciate ma non mi è mai capitato di vederla addormentarsi in camera da pranzo, o in salotto. Credo che ormai fosse assuefatta, che non le facessero più alcun effetto. Lei diceva di soffrire di insonnia cronica.
- Questo potrebbe confermare l'ipotesi di un suicidio? Oppure la escluderebbe? Il tipo di medicinali che prendeva poteva causare crisi depressive?
- Lei pensa ad una dose eccessiva assunta volontariamente, spero, e non ad una morte cercata tra le fiamme?
- È stato il mio primo pensiero, quando ho ritrovato il corpo della signora: nessuna crisi depressiva, alterazione farmacologica o mentale, ti dà il coraggio necessario per affrontare una morte del genere. Dunque?
- Per quanto riguarda il suicidio, non mi sento di escluderlo categoricamente: come le ho detto, Luisa non era quel che si dice una persona tranquilla.
- Temeva qualcuno o qualcosa? Aveva nemici o, se a sua conoscenza, qualcuno che potesse trarre giovamento dalla sua morte?
- Io. - Sorrise debolmente e quel sorriso lasciò filtrare un pulviscolo di stanchezza, di umanità e, forse, di dolore. Ma la fessura si richiuse immediatamente.
Finsi di non aver colto l'evidente ironia della sua risposta. - Il vostro matrimonio non an­dava bene? O era una questione di soldi?
- Commissario, mi scusi, ma lei ha detto di essere una persona che va subito al nocciolo: invece mi pare che gli abbia soltanto girato intorno. Non sono un ragazzino e dunque risponderò alla domanda che le sta più a cuore, anche se lei ha avuto il tatto, finora, di non formularla. Io e Luisa siamo stati molto bene insieme, in tempi passati. Quella casa - si interruppe e guardò  fuori della finestra, deglutendo a vuoto, sempre più granitico ma lievemente più simpatico - quella casa aveva un significato profondo per noi. Anche a questo pensavo mentre la aspettavo, a tutti gli oggetti ai quali mia moglie teneva tanto... più che alle persone, alla fine. La “Rotonda”… l’avevamo voluta insieme, arredata insieme; io stesso ho collaborato alla realizzazione del progetto. Ci venivamo tutti gli anni, in ogni stagione, noi due soli. Ma lei sa come capita: io ho un lavoro al quale dedico molto tempo. Mia moglie no: era solo ricca, ricchissima di famiglia e sola al mondo. A parte me. Penso che in un momento infelice della sua vita abbia cominciato a credere che utilizzassi il suo patrimonio personale per scopi soltanto miei. Non nego di averlo fatto, ma anche i soldi che guadagnavo io erano ovviamente suoi, e lei lo sapeva bene. Mia moglie era una persona vitale, ma solo se per vitale si può intendere l'essere ossessivamente attaccati non tanto alla vita quanto alle cose della vita: fatti, oggetti, situazioni. Del presente o, come per mia moglie, anche del passato.
- È questo il motivo dei vostri dissapori?
- Non ci sono stati veri e propri dissapori. Questo era impensabile, con Luisa. È possibile che queste fossero solo sovrastrutture, costruite per giustificare una delu­sione e dare un perché al fatto che le cose non andassero più come prima. Col tempo, l'attaccamento di Luisa a ciò che in passato le aveva procurato gioia, pia­cere o diver­timento, era diventato morboso. I suoi tentativi per ricreare atmosfere perdute, con una cura ossessiva per i minimi dettagli, erano estenuanti: lei si esauriva in questi preparativi e finivamo per annoiarci. Entrambi: questo è  il tragico! - Scosse la testa e chinò il capo. - Aveva finito per essere una nevrastenica e io credo di non essere abbastanza coraggioso per contrastare una situazione del genere.
- Ha un'altra donna, ingegnere? - Approfittai di quello sfogo accorato per insinuare, quasi sottovoce, la domanda che odio sopra ogni altra. Perché, nel profondo, non c’è cosa che mi interessi meno.
- No, non ne ho il tempo, - sorrise ancora una volta, sempre con quella sua garbata autoironia - occasioni ne avrei, ma da quando Luisa si è  ridotta in quello stato, mi sento sempre vuoto, stanco... distratto. Sarà solo amor proprio ferito. - L'uso del presente mi faceva pensare che la situazione perdurasse.
- Le sono molto grato, ingegner Rinaldi... - dissi in tono di congedo. Ma l'ingegnere mi interruppe con un cenno della mano destra, mentre con la sinistra estraeva dal taschino della camicia un foglio ripiegato, che sembrava una lettera commerciale.
- Un attimo ancora, dottor Fontana. Prima dia un'occhiata a questa lettera. Non so se faccio bene a mostrargliela, qualunque avvocato mi direbbe di no, comunque. Ma spero che serva per abbreviare i tempi, perché non desidero altro che andar via da questo posto. - Mentre cominciavo a leggere, lui proseguì, con voce piatta. - La guiderà verso due direzioni completamente opposte: la prima mi fornisce un buon motivo per non aver dovuto uccidere mia moglie, se lei pensa che possa averlo fatto per denaro. La seconda rafforzerà i suoi sospetti, se invece pensa che il denaro non c'entri e che tutto dipenda dalla triste situazione che si era creata fra noi due e della quale lei conosce solo la mia versione. Io le posso assicurare che quanto le ho detto risponde a verità, naturalmente una verità soggettiva: padronissimo di non crederci. La saluto, se ha finito. Da questa sera mi trova all'Hotel del Golfo. Grazie per la sua disponibilità.
Mi strinse la mano e mi lasciò a sventolare come uno stupido la lettera di una compagnia di assicurazioni. 

18 commenti:

  1. Io ti avevo riconosciuto. Senza bisogno di cliccare.

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  2. in effetti per te sarebbe più difficile
    riconoscermi adesso:-)

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  3. Veramente anch'io ti avevo riconosciuto e per questo lo avevo intitolato il Terzo Spostato...

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  4. Se mi clicchi ti dò un bacio.

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  5. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  6. Oh, oh, sì, sì sì... linkami ti prego, cliccami ancora, ancora...

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  7. Ma quanti capitoli ci aspettano?

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  8. Una quarantina. Pochi o troppi?

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    1. cazzo !
      e me lo dici così?

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    2. In realtà sono 34 ma alcuni sono brevissimi. Se è opportuno posso accorpare, così si tagliano le puntate sul blog. Mi dispiace per la tua bicicletta e comunque mio figlio ha già distrutto un motorino, appena comprato. Per fortuna aveva ragione lui e quindi l'assicurazione mi ha pagato. Per i ladri di biciclette pensavo che il norditalia fosse un posto tranquillo, dove l'ordine regna sovrano. O almeno così si evince leggendo La Padania, giornale che compro quotidianamente. Invece...

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    3. ma no scherzavo era per il pubblico :-)
      per la bici dovevo ancora indagare (ma non ho fatto in tempo e non sono Fontana) se l'avesse chiusa bene, altre volte ho visto che bastava sfilare il sellino che uno se la portava via mio figlio oltre a essere pigro non è pratico...

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  9. Posso accorparli in capitoli più grossi. Almeno alcuni.

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  10. Volevo riportare il blog al suo scopo originario, soddisfare l'amor proprio degli autori e diffondere buona letteratura mediante critiche e commenti stimolanti:
    questo capitolo è molto bello
    Roscia

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    1. in realtà lo scopo originario era quello di lasciare in incognito miei pensierini soprattutto sulla mia triste sorte e lamenti di questo genere, poi Enrico C. che non leggeva mai il blog e non era capace di farsene uno mi ha chiesto di pubblicargli il suo ultimo romanzo a puntate e io ho accolto volentieri questa supplica, se no sarei qui a raccontarvi quanto mi sono incazzato ieri dopo che mio figlio aveva perso le chiavi del lucchetto della mia bici nuova, strumento che doveva riportarmi a una forma smagliante per quest'estate, e così dopo aver comprato una tronchesa (15€)per liberarla e riportarla a casa siamo andati io e franco sul posto dove lui l'aveva legata per scoprire che qualcuno aveva avuto lo stesso mio pensiero, solo che per la mia bici e non per la sua,ciò non toglie che a questo punto avendo l'arnese appropriato non possa diventare un Ladro di Biciclette.

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  11. Chi col d*** il c*** si netta
    tosto in b*** se lo metta
    e così avrà pulito
    carta muro c*** e dito

    Enrico C

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  12. e no, dai, basta
    (però sono bei versi)

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