23. Tanto per la cronaca: il martedì successivo sarei partito per Roma
anche se con Marta non fosse accaduto nulla. Ma quasi tutto, in quella specie
di avventura estiva, era stato un fallimento. Per colpa mia, naturalmente,
perché sono uno di quelli che dovrebbero stare sempre e soltanto da soli. E che
se lo meritano. La domenica mattina, non erano nemmeno le otto e Marta già se
ne andava da casa mia, sbattendo prima la porta e poi il portone. E il
commissario Fontana rimaneva, per l'appunto, solo, in un letto vuoto, a
rimuginare sulla sua idiozia.
Per tutta la notte, mentre Marta dormiva al mio fianco, avevo rivoltato
gli ultimi, straordinari avvenimenti con il mestolo bucato del mio pessimismo:
dato che non sono un Adone - mi dicevo - una bella donna può venire a letto con
me solo se ha un secondo fine. In questo caso, il secondo fine è lampante. Alla
luce di questo assunto mi ero convinto che tutto era peggio, e che poteva solo
peggiorare: avevo aspettato con impazienza che Marta aprisse gli occhi soltanto
per esporle questo disarmante concetto:
- Noi sospettiamo che l'incendio sia la copertura di un delitto. Se è
così e tu non conosci la Rinaldi, o il marito, non puoi essere colpevole. Ma se
così non è e l'incendio non c'entra con la sua morte, tu fai sempre parte della
lista dei sospettati.
Avevo aggiunto che non ero neppure certo che non conoscesse la Rinaldi,
e che le sue omissioni mi irritavano come uomo e mi insospettivano come
poliziotto. Ero contento di averlo detto, mi sembrava di aver portato a termine
un compito: la giusta punizione per la mia presunta ingenuità consisteva nel
ferirla ferendomi. Solo quando lei, senza dire una parola, si era rivestita con
calma e se n'era andata, definitivamente, mi ero reso conto che ero stato più
duro del voluto e più fesso del consentito.
Il resoconto del mio week-end spiega almeno perché, il martedì
successivo sul volo Olbia-Roma, il mio stato d'animo non fosse eccellente.
Vestito e incravattato di tutto punto fingevo di divorare con interesse
malriposto lo stampato della compagnia aerea con le regole per salvarsi la vita
in caso di incidente, al solo scopo di non salutare un avvocato che avevo già
accuratamente evitato prima dell'imbarco. Per quanto uno si sforzi, tuttavia,
quella lettura non può durare più di cinque minuti senza attirare l'attenzione
commiserevole del vicino di posto. Scaduto il termine, passai dunque a fingere
un sonno repentino e catalettico. In realtà continuavo a pensare a Marta ma
soprattutto al suo professore, Luigi Vetrano, ordinario di Botanica
all'Università di Roma "La Sapienza", che avrei dovuto incontrare un
paio di ore dopo.
Per una fortunata coincidenza il professore non era in ferie e aveva
consentito a ricevermi "anche subito o in un giorno qualsiasi della
prossima settimana". Ma questa pronta accondiscendenza non era frutto di
pura fortuna: Casula, che aveva organizzato l'incontro, non solo conosceva
personalmente Vetrano ma lo aveva agevolato in vari modi durante una missione
scientifica di molti anni prima nella Gallura interna. Giuseppe mi aveva
raccomandato di evitare qualsiasi accenno alla possibilità di un coinvolgimento
diretto di Marta: accertamento di prove testimoniali, questo dovevo addurre a
pretesto delle indagini, e solo se interrogato in proposito. Non ce n'era alcun
bisogno: mi sentivo un verme, altro che prove testimoniali. Mi ero quasi
impegnato con Marta a non rivelare nulla e invece andavo a spifferare tutto
alla persona meno adatta, l'ultima che sarebbe dovuta venire a conoscenza della
sua attività extra-lavorativa. Contavo sulla discrezione, magari involontaria,
del professore, perché a quanto ricordava Casula, Vetrano era una persona
schiva e distratta, dedita solo ai suoi studi.
Pirro mi aveva accompagnato all'aeroporto, approfittando di quella
mezz'ora per raccontarmi del suo viaggio a Siniscola. Era rimasto lì tutto il
fine settimana per verificare l'alibi di Rinaldi e aveva avuto gioco facile:
un'allegra brigata di tardone milanesi, annoiate come bambini abbandonati
davanti al telegiornale e senza telecomando, lo aveva rincorso per strada pur
di liberarsi del peso di qualche succosa indiscrezione sull'ingegnere, e
ricavarne in cambio di inedite. Due gli elementi fondamentali, a parte le
chiacchiere: Rinaldi non era della partita, la sera dell'incendio, perché
impegnato, a sua detta, in una solitaria battuta di pesca subacquea notturna.
Si era rivisto verso le due del mattino, alla villa di una delle tardone,
giusto in tempo per rimpiazzare al tavolo del bridge il dottor Tal dei Tali,
ormai prostrato dal sonno. Il che dimostrava, calcolati empiricamente i tempi
del tragitto Cala Veronese-Siniscola, che non poteva avere appiccato l'incendio.
Secondo elemento: l'ingegnere era stato diseredato. Proprio così, diseredato
dalla moglie, già dall'inizio dell'anno, e il fatto era a conoscenza più o meno
di tutti.
Nonostante l'abbondanza di confidenti a titolo gratuito e gli sforzi di
Nicola, non era trapelato nulla riguardo a eventuali attività extraconiugali di
Rinaldi. Semmai era la moglie a essere sospettata di commerci adulterini; con
chi, non era dato saperlo. Ma Pirro stesso era portato a ritenere tendenziosa la soffiata, proveniente a suo
dire da una tardona concupiscente e non ricambiata. In conclusione: stando
alle indiscrezioni di Siniscola, peraltro confermate dalle notizie forniteci
dalla Procura di Milano e dalle sue vaghe ammissioni, l'ingegnere doveva essere
pressoché al verde. Eppure alle due di notte giocava a bridge in una bella
villa, fresco come una rosa, apparentemente ignaro della tragedia familiare e
evidentemente disinteressato a quella finanziaria. Probabilmente, pensavo, la
certezza di non poter disporre del patrimonio della moglie nemmeno alla morte
di quest'ultima, aveva avuto su di lui un effetto rasserenante. Oppure s'era
bevuto il cervello, definitivamente.
Ma qualcosa continuava a non tornare: l'immagine che avevo
dell'ingegnere poteva derivare da quello che lui intendeva far credere di sé,
essere state studiata per dare l'immagine di uomo distrutto o disinteressato.
In effetti quello sfogo tanto accorato da parte di un affarista glaciale,
navigato e calcolatore, suonava, se non proprio artefatto, quanto meno fuori
tono. Ma perché avrebbe dovuto uccidere, allora: per calcolo no, perché non ne
avrebbe ricavato un soldo: niente eredità, niente assicurazione sulla vita,
niente di niente. E lo sapeva. Quanto alla gelosia, in un ambiente come il loro
è un sentimento fuori moda, piccolo borghese (sic!). Il delitto passionale,
poi, semplicemente ridicolo.
E allora? Rinaldi aveva un alibi, e in apparenza nessun movente. Il
barone d'Elia sembrava completamente pulito. Rimanevano gli incendiari casuali,
quelli professionisti e i piromani, al solito. Oppure Marta. Riascoltavo le mie
parole risuonare nel silenzio della domenica mattina: "se la signora Grisi
è stata uccisa e non la conoscevi, sei innocente; se non è stata uccisa puoi
essere colpevole". E se poi l'avesse conosciuta? o avesse conosciuto il
marito? Per scoprirlo avrei dovuto farli pedinare, ma subito, all'inizio della
storia, non ora. E magari avrei scoperto qualcosa di spiacevole, almeno per me.
O forse no: meglio fare l'amore con una piromane che con un'assassina. Santo
cielo, che pasticcio! Già immaginavo il momento cruciale, quando sarei dovuto
andare da Casula per farmi esonerare dal caso. O forse per dare le dimissioni:
un poliziotto impelagato in una tresca con la bella omicida: le dimissioni
erano la soluzione più decente. E tutto questo solo perché Luisa Grisi Rinaldi
era morta su un divano e non intrappolata dalle fiamme, in un'auto o in una
macchia di rovi. Come aveva detto Deidda: incendio doloso provocato da ignoti.
Che soluzione meravigliosa! chiara nella sua oscurità, certa nella sua
incertezza: caso archiviato, come mille altri.
- Si prega di tenere le cinture allacciate e di non alzarsi fino al
completo arresto dell'aeromobile. - Eravamo atterrati e non me ne ero accorto.
Continuai a fingere di dormire fino a quando, tra le palpebre semichiuse, vidi
il mio “amico” avvocato transitare in direzione della scaletta di coda;
aspettai qualche istante e poi, ad aereo ormai vuoto, mi diressi con decisione
verso l'uscita opposta, imitando il passo troppo rapido di chi si è appena
svegliato.
Yuhuuuuu!!!!
RispondiEliminaChe bello! Allora è (era) così.... (altro lettore felice)
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