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martedì 15 maggio 2012

SU FOGU capitolo venti


20. Il giorno seguente, mentre preparavo con cura i miei spostamenti, mezza Sardegna andò a fuoco. Quasi per un piano concertato, una spaventosa serie di incendi iniziò a colpire le zone più disparate dell'isola e, sotto il bombardamento delle nuove disastrose notizie, il nostro modesto caso finì nel dimenticatoio. Ma passammo alcuni giorni d'inferno proprio perché la Gallura e la Costa Smeralda non erano state toccate dall'onda di fuoco e si temeva un prevedibile scoppio ritardato. Così mi ritrovai a coordinare (il termine proprio sarebbe "tenere a freno") un pittoresco esercito composto da vigili del fuoco e guardie forestali, volontari della protezione civile e carabinieri, poliziotti e semplici cittadini in tenuta da Rambo: tutti a battere la campagna e tutti, chi più chi meno, a fare casino. Si deve ringraziare solo la buona sorte se quell'atmosfera carica di tensione, resa insopportabile da uno scirocco asfissiante, non scatenò episodi gravi di violenza. E neppure altri incendi, per la verità. Il primo giorno dovetti profondermi in scuse con tre contadini, fermati e condotti in Questura perché sorpresi a bruciare frasche: lo facevano in una radura adibita a quello scopo addirittura con ordinanza comunale ma, naturalmente, i volontari che li avevano prelevati non lo sapevano. Un altro giorno, al calar del sole, giunse la segnalazione di disordini in prossimità dello svincolo per Golfo Aranci. Arrivammo in cinque minuti, a sirene spiegate, e trovammo un capannello di auto intorno a uno stazzo, due giovani seduti per terra con il naso sanguinante e un pastore che conoscevo di vista seduto su una pietra, con il fazzoletto premuto sulla fronte. C'era anche la Range Rover di Deidda: proprio al centro del capannello lui e il mio amico Fadda Gavino discutevano animatamente con gli altri presenti. Quel che era accaduto è presto detto, anche se poi del racconto sono circolate versioni iperboliche, alimentando l'epopea dei bar di paese. Deidda aveva visto un gruppo di persone strattonare e colpire ripetutamente con calci e pugni il pastore davanti al suo stazzo, ed era accorso in difesa del poveraccio, evidentemente scambiato per un piro­mane. Era stato accolto a male parole e un ragazzino biondo, che identificai subito perché lo tene­vamo d'occhio per spaccio di stupefacenti, gli aveva urlato:
- Siete voi che mettete il fuoco, per mantenervi il posto! Ti abbiamo visto, la notte di Cala Veronese: il fuoco lo metti tu! - e altre gradevolezze del genere. Deidda era sceso dalla macchina e, fuori di sé dalla rabbia, aveva spintonato il ragazzo. A questo punto era stato messo in mezzo e, senza l'intervento risolutore del suo aiutante, le cose si sarebbero messe davvero male. Fadda era sceso placidamente dalla macchina e senza ulteriori commenti aveva steso i due capi del gruppo di esagitati con altrettante testate, chiedendo poi gentilmente se vi fossero "altri volontari" che volevano sperimentare qualche istumbadda (le testate si chiamano così). Il nostro arrivo aveva placato gli animi: nessuno volle sporgere denuncia, anche perché minacciai il coinvolgimento di tutti i presenti, nessuno escluso, sotto l'imputazione di rissa. Mandai una volante a portare gli infortunati all'ospedale e poi presi da parte Deidda.
- Non ha una bella cera, Salvatore - gli dissi, preoccupato per il suo pallore - si sente male? L'hanno colpita?
- No, grazie. È che in questi giorni siamo tutti molto stanchi. Bisogna stare sempre in giro e non si riesce a dormire per il caldo.
- Si prenda una vacanza e si porti anche Fadda, mi pare che se lo sia meritato. 

2 commenti:

  1. idiosincrasia per zero commenti
    Roscia

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  2. In copertina il volto dell'assassino?

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