20. Il giorno seguente, mentre preparavo con cura i
miei spostamenti, mezza Sardegna andò a fuoco. Quasi per un piano concertato,
una spaventosa serie di incendi iniziò a colpire le zone più disparate
dell'isola e, sotto il bombardamento delle nuove disastrose notizie, il nostro
modesto caso finì nel dimenticatoio. Ma passammo alcuni giorni d'inferno
proprio perché la Gallura e la Costa Smeralda non erano state toccate dall'onda
di fuoco e si temeva un prevedibile scoppio ritardato. Così mi ritrovai a coordinare
(il termine proprio sarebbe "tenere a freno") un pittoresco esercito
composto da vigili del fuoco e guardie forestali, volontari della protezione
civile e carabinieri, poliziotti e semplici cittadini in tenuta da Rambo: tutti
a battere la campagna e tutti, chi più chi meno, a fare casino. Si deve
ringraziare solo la buona sorte se quell'atmosfera carica di tensione, resa
insopportabile da uno scirocco asfissiante, non scatenò episodi gravi di
violenza. E neppure altri incendi, per la verità. Il primo giorno dovetti
profondermi in scuse con tre contadini, fermati e condotti in Questura perché
sorpresi a bruciare frasche: lo facevano in una radura adibita a quello scopo
addirittura con ordinanza comunale ma, naturalmente, i volontari che li avevano
prelevati non lo sapevano. Un altro giorno, al calar del sole, giunse la
segnalazione di disordini in prossimità dello svincolo per Golfo Aranci.
Arrivammo in cinque minuti, a sirene spiegate, e trovammo un capannello di auto
intorno a uno stazzo, due giovani seduti per terra con il naso sanguinante e un
pastore che conoscevo di vista seduto su una pietra, con il fazzoletto premuto
sulla fronte. C'era anche la Range Rover di Deidda: proprio al centro del
capannello lui e il mio amico Fadda Gavino discutevano animatamente con gli
altri presenti. Quel che era accaduto è presto detto, anche se poi del racconto
sono circolate versioni iperboliche, alimentando l'epopea dei bar di paese.
Deidda aveva visto un gruppo di persone strattonare e colpire ripetutamente con
calci e pugni il pastore davanti al suo stazzo, ed era accorso in difesa del
poveraccio, evidentemente scambiato per un piromane. Era stato accolto a male
parole e un ragazzino biondo, che identificai subito perché lo tenevamo
d'occhio per spaccio di stupefacenti, gli aveva urlato:
- Siete voi che mettete il fuoco, per mantenervi il posto! Ti abbiamo
visto, la notte di Cala Veronese: il fuoco lo metti tu! - e altre gradevolezze
del genere. Deidda era sceso dalla macchina e, fuori di sé dalla rabbia, aveva spintonato
il ragazzo. A questo punto era stato messo in mezzo e, senza l'intervento
risolutore del suo aiutante, le cose si sarebbero messe davvero male. Fadda era
sceso placidamente dalla macchina e senza ulteriori commenti aveva steso i due
capi del gruppo di esagitati con altrettante testate, chiedendo poi gentilmente
se vi fossero "altri volontari" che volevano sperimentare qualche istumbadda (le testate si chiamano
così). Il nostro arrivo aveva placato gli animi: nessuno volle sporgere
denuncia, anche perché minacciai il coinvolgimento di tutti i presenti, nessuno
escluso, sotto l'imputazione di rissa. Mandai una volante a portare gli
infortunati all'ospedale e poi presi da parte Deidda.
- Non ha una bella cera, Salvatore - gli dissi, preoccupato per il suo
pallore - si sente male? L'hanno colpita?
- No, grazie. È che in questi giorni siamo tutti molto stanchi. Bisogna
stare sempre in giro e non si riesce a dormire per il caldo.
- Si prenda una vacanza e si porti anche Fadda, mi pare che se lo sia
meritato.
idiosincrasia per zero commenti
RispondiEliminaRoscia
In copertina il volto dell'assassino?
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