29. - E chi è questo Pitzalis?
- Ma come sarebbe chi è Pitzalis! Pietro, fai uno sforzo: è stato tuo
compagno di scuola quanto mio e sicuramente tu lo vedi molto più di me, visto
che abitate entrambi a Sassari.
- Va bene, va bene. E dove l'avresti visto?
- Da Mokador. Stamattina.
- Mah! proprio non lo conosco. Ma non è che è uno dei paesi? venuto a
Sassari di recente?
- Ho detto: tuo compagno di scuola. Tuo!
- Mai sentito. - Pietro non si ricorda sul serio, non lo fa per
snobismo o per fedeltà al suo personaggio: le persone proprio non gli entrano
in testa e i loro nomi ancora meno. - Avrei un appuntamento alle undici. Se la
smettiamo di parlare di sconosciuti e mi dici cosa ti serve siamo un bel pezzo
avanti.
- Che maleducato! Va bene, voglio un appuntamento: voglio parlare con Ferru .
- Con chi?! - questa volta aveva capito benissimo, ma credo che avrebbe
voluto non capire o, ancora meglio, trovarsi decisamente da un'altra parte.
Fece l'atto di premere un bottone immaginario, nascosto sotto la sua scrivania,
come per chiamare la sicurezza o gli infermieri della neuro: una vecchia
pantomima consolidata, inventata per le occasioni in cui l'interlocutore diceva
fesserie o assurdità. - Ma tu sei diventato matto! È uno scherzo?
- No: è una cosa seria: devo parlare con Bachisio Uras, noto Ferru, latitante da vent’anni e da
quattordici tuo assistito. Di quella specie di assistiti, abbondante e florida,
che hai ereditato da papà. Diciamo che fa parte del mio credito.
- Ma davvero è una cosa seria? Perché vuoi parlare con Uras? Non so
nemmeno se mi starà a sentire, ammesso che riesca a rintracciarlo.
- Vedrai che se gli dici che sono io a chiedere di vederlo non si farà
pregare. Lo cercherei io stesso ma, come puoi ben immaginare, se sapessimo come
trovarlo sarebbe già in galera.
- Ti serve per informazioni, o per una mediazione? Hai un rapimento per
le mani? Non credo che si voglia prestare ancora a questo genere di cose.
- Informazioni, solo informazioni, nei modi e nei tempi che decide lui.
- Ma a che cosa ti serve?
- Lo vuoi sapere per curiosità o per lavoro?
- Lo voglio sapere perché altrimenti te lo cerchi da solo.
- Esplicito, incisivo, diretto. Ma non hai un appuntamento alle undici?
la storia è lunga.
Trovò il tempo per farsela raccontare perché è curioso come una
scimmia: è divertente l'organizzazione del suo cervello, perchè funziona come
un teatrino di marionette. Lui ricorda, analizza e confronta qualsiasi
situazione, ogni esperienza di vita, tutti i modi di tirare avanti o di
cacciarsi nei guai che la varia umanità che frequenta ogni giorno gli mette a
disposizione; ma senza associare facce e nomi, senza le persone vere, insomma.
Proprio come un repertorio di canovacci teatrali. Non giudica mai, perché non
saprebbe chi giudicare, ma capisce quasi sempre come va a finire. Così gli
raccontai tutto, tralasciando solo le mie avventure amorose: più che la
reputazione di Marta - tanto Pietro non si sarebbe ricordato il suo nome
neppure sotto tortura - ci tenevo a salvaguardare la mia, che non ne usciva
propriamente indenne.
- ... e in definitiva nessuno di noi è convinto che la Fresi abbia
appiccato il fuoco. Eppure non ci sono elementi che conducano in direzioni
diverse. Il che sarebbe niente, se non avessimo la necessità di chiudere
un'indagine che altrimenti...
- Va bene, va bene, - interruppe la perorazione sul nascere,
evidentemente colpito a sufficienza dalla stranezza del mio piccolo caso - ti
cercherò Ferru. Ma guarda che
Bachisio è invecchiato, non so quanto gli diano ancora retta, questi nuovi.
- Non mi serve un generale, mi serve un infiltrato. E un bandito alla
macchia, specie se amareggiato, sa parecchie cosette e magari avrebbe anche
voglia di dirle: sono suscettibili anche loro, no?
- Eeeh! eccome! - roteò vorticosamente la mano destra. Ma quel dottor
Obino, perché non lo interroghi? Perché non lo fai convocare da Casula?
- E chi è questo Obino?
- Il ricercatore di Cagliari, come si chiama?
- O - ni - da: Onida, si chiama. E perché lo dovrei convocare?
- Il bello è che chiedi anche il perché! Ma come: secondo te una
medaglia ha una faccia sola? Scusa sai, ma per la stessa ragione per cui
ritieni ammissibile che la ricercatrice romana, Maria ...
- Marta Fresi.
-... ecco, Marta Fresi sia andata in Gallura e, scoperto il proprio
errore, abbia bruciato la macchia per distruggerlo, per converso devi ammettere
almeno in via ipotetica che il ricercatore cagliaritano... il dottor Onida,
sapendo di essere in errore ed essendo a conoscenza della visita della romana,
abbia bruciato lui la macchia, per impedire a lei di dimostrare la verità. Se
parti da un presupposto devi seguirlo in tutte le direzioni: in questo caso, la
guerra tra teorie deve avere almeno due fronti. Perlomeno senti se ha un
alibi.
- Sei un genio! Non ci avevamo pensato.
- Perché siete dei paesani. Ciao.
- Come ciao? E Ferru ?
- Tu pensi che adesso prendo il telefono e lo chiamo? al cellulare? o
in villa? te ne puoi scordare. La procedura è un pochino più complicata. Vai,
adesso: ti chiamo io quando so qualcosa.
- Presto?
- Prestissimo.
30. Se anche avessi voluto concedermi qualche giorno di vacanza, a
cavallo di Ferragosto, il tempo afoso e la folla che andava invadendo ogni angolo
di terra, sabbia, asfalto e mare disponibili, me ne avrebbero dissuaso. Rimasi
solo, abbandonato da tutti: da Casula, impegnato in una serie di pranzi e cene
familiari; da Pirro, coinvolto suo malgrado in un finesettimana lungo materano;
da Onida, che non riuscii a rintracciare. Da Marta, per sempre.
Di conseguenza una dose di moderata allegria si accompagnò allo
stupore, quando mi vidi recapitare a casa l'invito del barone d'Elia: un
cartoncino stampato mi informava che barone e baronessa organizzavano un party
di mezza estate nella villa di Porto Rotondo e che la mia presenza sarebbe
stata gradita. R.S.V.P.: risposi di sì, che altro potevo fare? questi bagni
nella mondanità si rivelano sempre occasioni formidabili per intercettare
piccoli pettegolezzi, tessere di mosaici scomposti che possono fare comodo
nell'esercizio del mestiere più indiscreto del mondo. E poi, malgrado una
misantropia ormai incurabile, di tanto in tanto mi diverte partecipare a
qualche ricevimento: in fondo sono stato educato a comportarmi come un perfetto
animale da società. Il fatto di essere diventato solo un perfetto animale è un
problema del tutto mio.
La sera del quindici agosto mi recai, elegante ma non troppo, pettinato
ma non molto, sbarbato ma non di fresco, alla villa dei d'Elia, facendomi
precedere da uno dei miei biglietti da visita - di quelli che il barone già
conosceva - con un cortese cenno di accettazione. Arrivai con un ritardo
eccessivo, frutto di calcolo e di lunghe ore di noia. Mi accolse la baronessa,
in abito conturbante e sorriso smagliante: indossava un'ampia tunica bianca
nella quale si concentrava l'insanabile contraddizione tra alto e basso, caldo
e freddo, Nord e Sud: casto girocollo sul davanti e abisso di perdizione nella
scollatura a V retrostante. More solito
le gambe erano in mostra, sottoposte a un supplemento della mia attenzione da
un paio di sandali dorati, con laccetti incrociati fin sopra la caviglia e
tacchi a spillo. Un giorno dovrò studiare meglio la connessione, per me
inevitabile, tra assoluto cattivo gusto e devastante attrazione sessuale.
Arrivai talmente ultimo che la cena era già cominciata. Il menu doveva
essere stato architettato per colpire l'attenzione di qualche ospite
"continentale", perché comprendeva soltanto voci di cucina nostrana,
volutamente rustiche. In un angolo del giardino, lussureggiante di palme, agavi
e oleandri, era stato imbandito un enorme tavolo rotondo sul quale
troneggiavano taglieri di radica e vassoi di sughero pieni di porcetti e
agnelli alla brace, interi o già tagliati a pezzetti; tra un vassoio e l'altro,
a mo' di tovaglia, rami fronzuti di mirto e di lentischio. Malloreddos al sugo di carne
o al burro fuso, suppa cuadda alla gallurese, pane frattau, piatti di caccia fuori stagione (dunque proveniente
dal freezer del barone) e altre prelibatezze riempivano invece due tavoli
rettangolari, dai quali ci si poteva servire prima o dopo aver preso posto in
uno dei tavolinetti sparsi tra la veranda e il giardino o lungo il bordo della
piscina illuminata che, in pianta, ricordava un fagiolo.
A parte gli ospiti forestieri conoscevo tutti. Ma, tanto per non
sbagliare, il barone mi ripresentò a ognuno, utilizzando sempre il mio titolo
nobiliare e mai quello professionale. Ero incline al perdono, anzi, mi era quasi
simpatico, ma solo perché andavo metabolizzando due o tre bicchieri di un
prodigioso miscuglio alcoolico che quattro perfettibili camerieri distribuivano
con ostinazione, detreggiandosi in quell'intrico di belle presenze. In un
primo giro panoramico ne avevo notato cinque o sei più belle delle altre: una
bionda fulminante ma nei cui occhi il lume dell'intelligenza si era spento da
un pezzo, o forse non era mai stato acceso; due brune o, meglio, una bruna e
una brunetta, entrambe abbronzatissime e inguainatissime in vestitini di
stretch fuori moda ma adatti a sottolineare il proprio contenuto; una signora
alta, sui quaranta, elegante e schiva, che non parlava italiano e che mi fu
presentata come un astro del firmamento operistico internazionale.
Rintracciai due vassoi ricolmi di frutti di mare freschi: ricci aperti
a metà, patelle giganti, cannolicchi e polpa di granchi e di capre di mare. Con
un bicchiere di Vermentino in una mano e il piatto nell'altra mi apprestavo,
impacciato ma deciso, a fare scempio di mitili e crostacei, quando la voce
della baronessa interruppe la mia razzia:
- Signor Duca, anche lei è un'appassionato di queste cosine: sa che
sono afrodisiache?
- Non lo sapevo, ma si può sempre sperimentare. - Va detto che ormai
ero praticamente ubriaco.
- Ma che audace! proprio uno scostumato! - la baronessa, ridendo,
simulava un imbarazzo inesistente.
- Scherzavo, signora d'Elia. Mi ha sorpreso mentre tentavo di farne
scempio.
- Ma che dice! mi fa piacere trovare una corrispondenza di gusti con
lei. Ma non potremmo darci del tu: io mi chiamo Tiziana.
- Volentieri: io mi chiamo Giacomo, ma non ti posso stringere la mano,
come vedi. - La baronessa, Tiziana, rise e mi prese cautamente sottobraccio,
dalla parte del vino.
- Vieni, sediamoci qui, prendo un piatto anch'io e ti faccio compagnia.
Dopo essersi servita senza parsimonia mi raggiunse a un tavolinetto
rotondo che distava meno di due metri dal piatto dei frutti di mare.
- Lei non sa... no no, scusa: tu non sai, che dolore ha dato al mio Ercole
l'incendio di Cala Veronese. Non fa che parlarne. Te ne occupi tu, vero? A che
punto sono le indagini?
La tentazione di dirle di farsi i cazzacci suoi mi lambì
pericolosamente labbra e cervello, ma era la padrona di casa e le concessi il
beneficio del dubbio: forse non voleva estorcermi informazioni riservate per
conto del marito, magari la sua era solo curiosità.
- Purtroppo niente di nuovo: capita spesso, in questo tipo di indagini.
- Ma si diceva in paese che c'era di mezzo una signora di Roma, una
studiosa dell'Università, come si chiama?
La consegna era non parlare! Da sobri, mantenerla sarebbe stato più
facile. In quello stato, la coscienza di questurino non più inappuntabile,
corresse la formula in un più permissivo "non parlare troppo". In fondo,
anche da ubriaco, potevo se non altro appurare se l'alta scuola del
pettegolezzo della Costa disponesse in anteprima di particolari sulla mia
tresca personale.
- E che altro si dice, in paese?
- Ah, non chiedermelo: la mia bocca è cucita. - Sfoderò un sorriso da
Sfinge.
- A me dovresti dirlo, potrei convocarti in Questura. - Sorrisi, ma
solo per nascondere la scarica di adrenalina che la risposta evasiva e il
sorriso eloquente mi avevano procurato.
- Non sai niente dell'amante? - si era inchinata verso di me,
sussurrando.
- Quale amante? - mimai la sua aria complice, mentre subivo un'altra
stretta al cuore.
- Ma dài! l'amante della Grisi Rinaldi! - tirai un sospiro di sollievo
- è possibile che voi della Polizia siate sempre gli ultimi a sapere le cose?
Tutti, in paese, sanno che la signora della villa aveva un amante, anche se
bisogna dire che questo tipo di storie non ci diverte più. Però, sai come
capita, le voci circolano lo stesso e ti arrivano a tiro anche se non te le
cerchi. Questa poi, era talmente lampante: il marito sempre fuori, una vita da
separati in casa. La signora si era fatta l'amichetto, almeno così si dice.
Il mio interesse, fino a quel momento annientato dalla paura di essere
io l'oggetto dei pettegolezzi, si risvegliò subitaneo.
- Chi era, lo sai?
- Eh, no. Purtroppo non si sa. Non che mi interessi più di tanto, ma
resta il fatto che non si sa. Speravo me lo potessi dire tu, ma vedo che sei
troppo disinformato. O troppo dritto? commissario Fontana, - agitò l'indice in
segno di scherzoso ammonimento - non è che mi hai fatto parlare per motivi di
lavoro? pensavo fossi fuori servizio. Non si prendono in giro le signore.
- Non mi permetterei mai. Anzi, sai che quello che mi hai riferito
potrebbe essere molto importante? Sei sicura di non riuscire ad appurare
qualcosa di più?
- Davvero è importante? - sul suo viso si era dipinta un'espressione di
emozione, disarmante in quanto profondamente sincera. - Che brivido!
collaborare con la Polizia! ma non diciamo niente a Ercole, però.
- Stai tranquilla: sarà un segreto professionale. Ti puoi informare
meglio...
- ...da stasera!
- ...e poi telefonami, quando vuoi. - Le diedi un altro dei miei
biglietti da visita, aggiungendo a penna il numero di cellulare. Poi, adducendo
come scusa il lavoro, me ne andai dalla festa. Avevo intuito, dallo sguardo
della baronessa e dal contatto insistente che il suo ginocchio aveva instaurato
con il mio, che da quel colloquio potevano nascere sviluppi di altra specie, ma
avevo ancora meno voglia della prima volta di essere il suo Gennarino.
Mi piacerebbe un capitolo 30 bis (aggiunto dunque) sull'affascinante questione della "connessione [...] tra assoluto cattivo gusto e devastante attrazione sessuale", se possibile con riferimento alla visiera, ma va bene anche in generale
RispondiEliminae a proposito di quello che scrivevo ieri, sul curriculum eccetera, proporrei che l'editore oltre a mostrare foto degli autori quando erano brutti (entrambi siamo molto migliorati, adesso siamo praticamente irresistibili) pubblichi anche foto brutte dei lettori, Ged già c'è (anche come ciucco), Roscia invece manca, e anche Emilia e compagnia bella. Avanti, editore, fallo. Fallo.
RispondiEliminaDevo dire che la copertina di oggi supera tutte le altre. Complimenti: a livello comunicativo venderebbe moltissimo.
RispondiEliminaL'idea diEnrico di pubblicare le foto dei lettori mi pare ottima. Editore, il ne posseggo parecchie. Non hai che da chiedere.
Per quanto riguarda l'assoluto cattivo gusto e la devastante attrazione sessuale, mi rendo disponibile. Solo che non concordo sui cappelli a visiera. Mi sembra più interessante un travestimento da Bocassini, semmai.
Per quanto riguarda l'assenza di Ged dal blog, mi duole dover pensare che Su Fogu sia meno attrattivo di Adesso altre pecore ma, essendo il priimo a riconoscere che questo risponde al vero, me ne duolgo non per amor proprio ferito ma perché viene a mancare un contributo fondamentale. Lancio quindi un appello, GEDE TORNA, che i lettori possono sottoscrivere cliccando qui:
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Se vi chiede di inserire il codice segreto del bancomat non date retta.
GEDE TORNA PERO', senza di te è tutto più brutto
RispondiEliminaPilon non sa che la visiera rende gnocche anche le cozze, provare per credere, ti prende un formicolio all'altezza dell'ombelico, poi però appea si toglie la visiera (sennò non ci si può baciare, ti finisce sugli occhi) l'incanto cessa e nasce il disagio
RispondiEliminasi dice "appea", non "appena"
RispondiEliminaIo non ho capito il passaggio dal capitolo 28 al 29...
RispondiEliminaMi sono persa qualcosa?