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martedì 15 maggio 2012

SU FOGU capitoli vent'uno e ventidue


21. Ci volle del tempo perché la situazione tornasse alla normalità, esattamente il tempo necessario ai volontari per esaurire le motivazioni rambistiche e tornarsene a casa. Il sabato pomeriggio, quando mi sorpresi a rimettere in ordine per la terza volta la stessa pratica, capii che era venuto il momento di tornare al mio piccolo incendio personale. Sulla scrivania finalmente vuota ricomparve l'appunto con gli orari degli aerei, ma era del tutto inutile andare a Roma di domenica: rischiavo di non trovare il professore che, a quanto avevamo appreso dal sito Internet dell'Ateneo romano, risultava essere il “capo” di Marta Fresi. Marta Fresi! mi ero completamente dimenticato di lei! probabilmente era partita e già tornata al lavoro. Questo avrebbe reso molto imbarazzante il mio incontro con il suo profes­sore. Composi il numero della pensione: miracolosamente era là, in stanza; me la passarono dopo cinque minuti buoni .
- Dottoressa, sono Fontana: non mi sono più fatto vivo e volevo...
- Buongiorno commissario, - sembrava sinceramente contenta di sentirmi - beato chi la vede! E io che mi ero illusa di solcare il Mediterraneo sulla sua barca!
- Sì, sì… mi spiace tantissimo, ma avrà letto i giornali: in questi ultimi giorni è successo di tutto e, francamente, avevo dimenticato non solo i miei doveri di ospitalità, ma anche tutti i problemi legati al lavoro, almeno a quello di Cala Veronese.
- Ci sono novità? - una nota di ansia - no, mi scusi: non sono domande che si possono fare con un'indagine in corso.
- Non si preoccupi, non faccio molto caso ai formalismi. Comunque no: non ci sono novità, né buone né brutte. Lei come sta?
- Benissimo: sono contenta di aver deciso di rimanere. Sa come succede di solito. Il lavoro ti assorbe completamente e non ti rendi conto della bellezza dei posti, della pace, del sole, del mare...
- Non mi pare che il tempo sia stato proprio magnifico.
- È tutto splendido, lo stesso.
- Allora, andiamo? - Fui il primo a sorprendermi di quello che dicevo. E non era nemmeno la prima volta.
- Dove?
- In barca, no? C'è un pochino di vento e questa è l'ora migliore per una veleggiata. Ogni promessa è debito.
- Davvero? Subito? - c'era entusiasmo nella sua voce, o ce lo mettevo io? - dove devo raggiungerla?
- La passo a prendere tra poco, il tempo di cambiarmi. Si porti il costume da bagno ma anche il maglione, non si sa mai.
Circa un'ora dopo uscivamo dalla baia di Porto Rotondo, sospinti da un debole scirocco che sembrava intenzionato a calare del tutto nel volgere del pomeriggio. Se si prescinde dagli involontari irrigidimenti al sopraggiungere delle blande raffiche che piegavano appena la barca, la dottoressa Fresi sembrava divertita, quasi entusiasta. In costume da bagno era come un terremoto o un ciclone, oppure come un incendio: uno spettacolo della natura, decisamente pericoloso! Come avevo previsto aveva gambe splendide: tipologia muscolosa, con polpaccio forte ma allungato, caviglie solcate da ramificazioni venose prominenti sotto la pelle liscia e abbronzata. Decidemmo di darci del tu.
Procedemmo al lasco per un lungo tratto, poi iniziai a stringere il vento fino a portarmi su un'andatura di bolina stretta. Facevo tutto da solo, dandomi quel po' di tono che nessun marinaio può evitare se ha in barca un profano. In realtà il mio compito era facilitato da un miracoloso si­stema, concepito e realizzato da un amico molto più esperto di me, che mi consentiva di manovrare senza l'aiuto a prua, indispensabile con l'armatura latina. Dovetti rassicurare Marta, perché di bolina la barca piega molto di più e i suoi irrigidimenti stavano aumentando in proporzione. Le spiegai che con quella bava di vento non si correva alcun pericolo e soprattutto che, su un gozzo di legno, è più facile rompere l'albero che rovesciarsi e affondare. O almeno così si spera…
Avevo fatto rotta su Cala Veronese, un po' perché è sempre stata una delle mie mete preferite, un po' per riportare il discorso sul caso, ma senza averne l'aria. Ora il promontorio bruciato scorreva sulla nostra sinistra.
- Secondo te quanto ci vorrà perché ricresca la vegeta­zione?
- Di cosa parli? - si voltò verso la terra, seguendo la direzione del mio sguardo. - Oh Dio, ma è Cala Veronese! Dal mare sembra ancora più tremendo. Credi che un giorno sarà tutto come prima?
- Allora non mi stai a sentire: te l'ho appena chiesto io. Sei tu la botanica.
- Già, queste vacanze inaspettate mi hanno trasformato nella turista perfetta, ignara ed estatica. Con esattezza non te lo so dire. Per la vegetazione di base basta un anno. Alcune specie non ricresceranno più, per altre ci possono volere secoli.
- Erano quelle che cercavi?
- Non proprio. In realtà cercavo qualcosa che non ci doveva essere.
- Che misteriosa! Cosa vuol dire?
- A proposito di misteri, - scosse i capelli e si girò verso prua, come se si volesse distaccare fisicamente dal­l'argomento precedente - sei uno strano poliziotto, commissario Fontana: sembri un intellettuale vagamente snob, più che un questurino manesco.
Mi sorprese, con quell'improvvisa svolta di familiarità e ne fui contento. Ma l'uomo che aveva appena descritto non mi piaceva per niente e al suo giudizio ci tenevo.
- Vuoi dire che sono pedante?
- Ah, ah: ti sei offeso.
- Allora?
- No. - finse un tono da maestrina: - sei divertente, gentile, carino. E fin troppo timido. Come mai fai il poliziotto?
- Anche gli altri poliziotti sono divertenti, carini, gentili - le feci il verso - solo che non li conosci. Per esempio Pirro...
- Perché non rispondi alle mie domande?
- È una storia lunga, noiosa e anche triste. Almeno per me.
- Scusa, non volevo...
- Ma no, non importa. Me lo chiedono in molti, quindi ho imparato la risposta a memoria. Non amavo il mio mondo e il modo di vivere e di pensare nel quale sono cresciuto.  Quando morì mio padre, che faceva l'avvocato, mi trovai, per motivi che non ti possono interessare, in profondo disaccordo con alcuni componenti della mia grande famiglia. E allora, oltre a non amare, non sopportai nemmeno più. Me ne sono andato: ho fatto le valigie e sono andato via. Senza drammi. Papà aveva fatto in tempo a inculcarmi l'amore per la giustizia, o almeno così ho sempre creduto: tutto quello in cui credo, veramente, me l'ha insegnato lui che pure parlava così poco e con noi aveva un rapporto così distante. Lo ricordo ancora, chiuso nel suo studio, oppure a cavallo davanti a me, taciturno, brusco. Eppure credo di ricordare parola per parola tutti i discorsi che abbiamo fatto insieme, forse proprio perché sono stati pochi. La mia scelta forse è stata guidata da questi pochi insegnamenti. O forse volevo solo onorare la sua memoria, a modo mio. Insomma: ho una rendita, che per due anni fu sufficiente, da sola, per tirare avanti mentre preparavo il concorso in Polizia. Avrei fatto il magistrato, o l'avvocato, ma sono laureato in lettere e sarebbe stato ancora più faticoso trovare...
- Dove sei laureato?
- A Roma.
- Ah! Guarda un po’…, scusa: continua.
- Ho finito: vinsi il concorso perché mi impegnai come mai in vita mia. Poteva andare tutto molto male, non sapevo cosa mi aspettava e, se non ci sei portato - o costretto - un lavoro come questo può anche disgustare. Invece mi sono ritrovato a fare un mestiere che mi piace e adesso sono contento così. - Per attenuare l'imbarazzo che sembra cogliere chiunque ascolti la mia storia, mi chinai a cassare un po' di scotta.
- E la tua famiglia? Dove sono i tuoi?
- Non molto lontano, ma lontanissimi: sono a Sassari e sono contenti anche loro, penso. - Cassai anche la scotta del fiocco.
- Sei sposato? Lo sei mai stato?
- No. Tra le persone che non amavo né sopportavo rientrava la mia cosiddetta ex promessa sposa. - Sorrisi, ma lei restò seria. - Io ho risposto, adesso tocca a te: cosa cercavi a Cala Veronese?
Avrei voluto che la domanda scivolasse via quasi inavvertita, che Marta pensasse che in fondo scherzavo, anche se non era affatto vero. Dovevo aver sbagliato i tempi, o il tono, perché suonò solo inquisitoria.
- Lo vedi: io ti ho risposto e tu no e non lo faresti in ogni caso, neppure se ti chiedessi che ore sono. - Continuai nello scherzo ma lei sembrava definitivamente irritata. Guardava il bordo della barca, percorrendone la superficie ruvida con il dito. Sollevò la testa all'improvviso, per fis­sarmi dritto negli occhi.
- Non ti rispondo perché tu domandi e domandi, ma solo per lavoro. Sai che esistono delle differenze tra gli uomini, commissario? Per esempio, io rientro nella tipologia di quelli a cui interessano gli altri. E tu mi interessi. Ma io? Dico: io ti interesso? io come persona, non come pi­romane?
- Mi interessi più del consentito. - Forse ero arrossito, sicuramente avevo risposto troppo in fretta. Gli eventi precipitavano senza che l'avessi né deciso, né previsto. Mi era già capitato tante volte di sentirmi attratto da una sconosciuta, ma su un piano accademico, per una specie di tributo formale all'altro sesso. Questa volta c'era qualcosa di diverso. Era calata la sera, anche il vento: la barca procedeva lentissima, in un silenzio quasi totale, su un mare che aveva assunto quel tenue color mosto che in una giornata - e non ogni giorno - compare solo per dieci minuti, i più belli. Senza credere a quel che facevo mi avvicinai a Marta e la baciai. Non incontrai opposizione.

22. Due o tre ore più tardi bevevo un caffè, seduto su una delle poltroncine di vimini del mio antibagno. Marta era sotto la doccia da tempo immemorabile: avevo sentito tramestii acquatici prima, e poi di armadietti aperti e richiusi. Gridò, attraverso la porta socchiusa:
- Posso prendere uno di questi asciugamani bellissimi? Ci sono anche le mie cifre sopra!
- Non sono le tue cifre: MF sta per Marina Fontana, che era la mia trisnonna.
- Come mai c'è una corona sopra?
- Perché la mia trisnonna era duchessa.
- Allora anche tu sei una specie di duca?
- Non una specie, un duca.
La porta del bagno si aprì completamente. Da una nuvola di vapore fuoriuscì la dottoressa Fresi, con uno degli asciugamani di famiglia avvolto intorno alla testa, come un turbante. Ma nient'altro.
- Signor duca, le difettano gli asciugamani.
La dottoressa Fresi, nuda, era davvero un’indagata pericolosa. Pericolosissima!

10 commenti:

  1. troppo facile con la barca il tramonto il vento le manovre di scotti...

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  2. quando alla sera
    al mare di fuori
    ci provi e si spera
    e dentro muori
    quando tramonta
    l'ultimo di sole raggio
    e lei è li pronta
    e tu non hai il coraggio
    e ti dici in silenzio adesso
    capisci che sei un gran fesso

    Enrico C.

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  3. lo dicevo che Marta era una zoccola !

    Roscia

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  4. la poesia "Quando alla sera" non l'ho scritta io, comunque Marta è una gran zoccola
    (a proposito di ungolati, sto scrivendo un romanzo d'amore ambientato nel Serengeti con protagonisti ungolati, quando finisce il gagliardo poliziesco lo pubblico sul blog rosa di Emilia e Roscia "Amore al casello": www.http//emiliaeroscia/rosa/sesso/amorealcasello.org)

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  5. ma Ged dov'è? non lo capisce che così va tutto a puttane? a zoccole appunto
    Ciro Esposito
    Portici (Na)

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  6. enrico
    perchè invece non scrivi un romanzo ambientato nell'isola piana con le mucche le lepri i topi e i gabbiani?

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  7. che palle!!! ma non sapete parlare d'altro, solo stintino, isola piana (uno scogklio in realtà), barche a vela uff uff!
    Un bel romanzo sulla condizione della donna in ghana? Dai Emilia, apriamo i cassetti!
    Roscia

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  8. perché "non sapete", tutte così, uno fa qualcosa e se la prendono anche con te che non c'entri nulla, io di Stintino non parlo mai, a me interessa la condizione della gnu femmina nel Serengeti, sto scrivendo un romanzo d'amore appassionante e lo pubblicherò nel nuovissimo blog di Emilia e Roscia www//http/attorifighipiùdiRobertRedford.org

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  9. Bono! (Robert Redford)
    Roscia

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  10. Boni i vichinghi!

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