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mercoledì 30 maggio 2012

SU FOGU capitoli trentatre e trentaquattro



33. Ci sedemmo su due panchetti di ferula che Bachisio aveva portato fuori dallo stazzo fin sul limitare del breve pianoro, a seguire l'unica chiazza di sole che ne illuminava uno spazio sempre più esiguo, malgrado l'ora e la stagione. Giovanni Maria era scomparso: credo che facesse da sentinella.
- Vuoi mangiare qualcosa? - tirò fuori dallo zainetto di pelle un pezzo di formaggio, un po' di spianata e una leppa  vecchissima, affilata come un rasoio. Poi girò dietro lo stazzo e tornò con una bottiglia impolverata. - Non lo so se è ancora buono, ce l'ho lasciato da qualche mese.
- Siamo solo noi?
- E in quanti dovevamo essere?
- Non hai una banda?
- Per fare la musica? - sorrise - no, non ho una banda: per fuggire non serve una banda. C'è quel ragazzo che ogni tanto mi dà una mano, se serve. Di lui mi fido.
- Dice che è tuo figlio.
- Così dice. Te l'ha messo il cappuccio?
- Sì, ma tanto lo so dove siamo: sul monte Gutturgios o sull'Uddé.
- Gliel'avevo detto che era inutile bendarti, ma lui ha insistito: si preoccupa di me.
- Ho visto la chiesetta di Nostra Signora di Buon Cammino, dall'altra parte della valle e ho sentito l'odore del mare: pensavo che stessi in Supramonte, più all'interno.
- Mi sposto sempre, domani sarò da un'altra parte.
- Ma di che cosa vivi?
- Non è che ho molte spese. Non pago le tasse e mangio poco.
Restammo in silenzio, un silenzio gigantesco e incombente. Bachisio guardava le quattro pecore inerpicarsi sul pendio del monte e tagliava il formaggio con movimenti prosciugati.
- Non ti fa male, adesso, vivere all'aperto?
- E chi te l'ha detto che vivo all'aperto? - mi guardava con un'aria vagamente ironica.
- Pensavo. - Di nuovo il silenzio. Ebbi la sensazione onnipotente di poter udire ogni rumore, da lì fino alla civiltà.
- Un incendio? - mi chiese: evidentemente mio cugino doveva avergli anticipato l'argomento del colloquio.
- Un incendio.
- E io a cosa ti servo?
- A sapere qualcosa. Non so ancora niente se non che è un incendio strano. - Raccontai tutta la storia di Cala Veronese, evitando accuratamente di propendere verso un'ipotesi in particolare, così da lasciare a Bachisio la libertà di scegliere quale consiglio darmi, se davvero ne fosse valsa la pena. Ascoltava distrattamente e senza fare domande. Mi interruppe una sola volta, quando, accalorato nella descrizione della villa bruciata, avevo involontariamente parlato a voce più alta: senza sollevare il polso dalla coscia su cui posava la mano, alzò il palmo e agitò per tre volte le dita, su e giù, per impormi di tacere. Restammo in ascolto per qualche secondo.
- Continua, ma a voce più bassa: quando non sento Giovanni Maria mi viene l'ansia. - Ripresi a parlare, senza più il senso di onnipotenza: quell'uomo poteva sentire il figlio muoversi lontano nella macchia e contemporaneamente seguire i miei discorsi, mentre a me il silenzio restituiva solo silenzio. Conclusi la storia, ma senza dirgli che l'idea di consultarlo era stata di Casula: ora che lo rivedevo, dopo tanti anni, non solo non me ne dolevo ma mi chiedevo come mai avessi aspettato tanto tempo prima di cercare di incontrarlo. Sul momento, sospeso sull'orlo di un dirupo, faccia a faccia con il brigante Ferru, pluriomicida ricercato da polizia e carabinieri, mi sen­tivo semplicemente contento; solo qualche mese più tardi riuscii a spiegarmi anche il perché di quella gioia, legata al senso di un incontro che si incuneava in mezzo alla mia fuga dai ricordi come un pilastro di maturata decantazione della memoria e, finalmente, di serenità.

34. - Su fogu, Grodde, este unu fattore de sa cultura..
- Ma cosa dici, Bachì!?
- Ho detto: "il fuoco, Volpe, è un fattore culturale".  
- Il sardo lo capisco, è il concetto che non mi convince: io sono un poliziotto e queste storielle della cultura pastorale non me le dai a bere. - Volevo che Bachisio non mi confondesse con il mio ruolo o, meglio, che non sovrapponesse mio padre a me: di confuso, in questo senso, bastavo io. - Se vogliamo che questo incontro serva a qualcosa, oltre a rivederci che é già molto, dobbiamo metterci d'accordo su una cosa: non posso ammettere giustificazioni a un delitto. Io non faccio l'avvocato.
            - Purtroppo.
- Purtroppo, ma è così. Cerco i colpevoli e non li giudico, né bene né male: non sono abilitato a farlo, ci pensano altri. Quindi la storia del codice barbaricino non la iniziare nemmeno.
- Devi avere pazienza con me, - di nuovo quell'aria ironica - bandito sono, ma bandito vecchio, di quelli della balentia. Un nonno ce l'avevi? sempre le stesse storie raccon­tano i nonni, e io pure, sempre le stesse storie, che vanno bene per Giovanni Maria che è un ragazzo semplice.
- A proposito, quanti anni hai?
- Chimbanta e chimbe. E chimbe. E atteri chimbe.
- Cinquantacinque e cinque e... sessantacinque?
- Sì.
- Accidenti!
- Sentire vuoi, o parlare?
- Va bene, parla, ma ricordati quello che ti ho detto.
Frugò nello zaino e ne trasse un libro, piuttosto malridotto. Me lo porse: era Pastori e contadini di Sardegna  di Maurice Le Lannou nella prima edizione, quella del '41, in francese. Un libro, scritto da un grande geografo, che ricordavo ancora molto attuale malgrado le ariose descrizioni di una natura incontaminata non rispondano più, purtroppo, alla realtà. Lo sfogliai e vi trovai chiose e lunghi pezzi di traduzione appuntati a margine, con una grafia minuta ed elegante, quella di mio padre. Guardai Bachisio.
- Sì, me l'ha dato lui: diceva che mi sarebbe servito leggerlo e che il francese si capiva bene. Malannu! vent'anni c'ho messo a leggerlo, altro che si capisce bene!
- Pensa che adesso esiste la traduzione italiana.
- Lo so, me la sono fatta comprare, ma non è lo stesso. Tutti quegli appunti di tuo padre servono a capire meglio. L'hai letto anche tu, di sicuro, ma forse non ti ricordi bene.
- Mi ricordo il punto principale: la contrapposizione tra contadini e pastori, tra nomadi e sedentari...
- ... che ha creato scontri tanto antichi che adesso non si sa nemmeno perché ci sono e proprio per questo non si può trovare più l'accordo, come quelle faide che si ammazzava e non si sapeva perché.
- Sì, mi ricordo. Ma cosa c'entra?
- L'incendio è l'arma del pastore contro il contadino.
- Ma quale contadino! in Costa Smeralda ci sono interessi che nemmeno te li immagini: case, ville, alberghi, multinazionali in lotta per un acro di terra!
- Allora non vuoi capire: il pastore e il contadino sono puppias 'e ludu (“bambole di fango”), come sos Mammuntones, o i pupazzi del pre­sepio...
-  Simboli?
- Simboli, giusto. Maniere di pensare una contro l'altra. Da quando è nato l'uomo. Poi si è dimenticato e allora le ha chiamate in modo diverso: pagani e cristiani, comunisti e fascisti. È come se vai sul colle e vedi tutto insieme, quando capisci questa cosa.
- Questa è filosofia, Bachisio, la tua filosofia: a me sembra di vedere soltanto gente che rapisce per soldi o che mette fuoco per arricchirsi.
- Se capisci quello che ti ho detto, trovi anche chi ha messo fuoco alla Gallura.
- Mi stai suggerendo di individuare la matrice politica dell'incendio, o continuo a non capire?
- Ti sto dicendo di provare a capire tutto l'insieme: non lo so il nome di chi ha incendiato quella villa. Forse posso provare a informarmi, ma sono fuori dal giro. Adesso non so nulla di nulla e non posso prometterti che lo saprò domani, o fra un anno. Però posso dirti che l'incendio è un'arma da pastore.
Imbruniva. Parlammo ancora e a lungo. Ma quando mi apprestai ad andarmene ebbi la sensazione di essere stato preso in giro: quel manto ideologico che Bachisio aveva steso sulla sua sostanziale omertà mi aveva deluso. Subivo profondamente il fascino di quella filosofia un po' primitiva perché Bachisio, che era semianalfabeta, l'aveva sì tratta da un libro, forse anche da discussioni con mio padre, ma poi doveva averci ragionato a lungo, con fatica e forse con dolore. Me ne aveva fatto partecipe, generosamente e, come capii solo molto più tardi, con la certezza di potermi aiutare. Eppure la sensazione era molto simile a quella che si prova dopo una lunga ricerca in biblioteca, quando non si è trovato nulla: hai imparato molte cose comunque, ma te ne renderai conto solo dopo qualche tempo. Al momento sei solo irritato.
Quando arrivai al limite della radura, Bachisio mi richiamò. Nella sua voce percepii una nota di ansia.
- Grodde, Grodde! - mi voltai e intravidi la sua figura, quasi scomparsa nel grigiore azzurro del crepuscolo. -Grodde, ma tue a l'ischisi che a babbu tou l'ana occhidu? (“ma tu lo sai che a tuo padre l’hanno assassinato?”)
- E perché credi che abbia fatto il poliziotto?
- Deo gratias

4 commenti:

  1. bellissimi questi due capitoli, bravo Pilon!

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  2. Sono totalmente inutili, nell'economia del giallo, ma erano messi: a) per dare un po' di colore locale; b) per sfoggiare cultura generale e di contesto.

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  3. come potevo saperlo? e comunque mi piacciono le cose inutili e adoro le digressioni (e m'è pure venuta voglia di formaggio)

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  4. Belli, e comunque sicuramente il pastore verrà fuori...

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