33. Ci sedemmo su due panchetti di ferula che Bachisio aveva portato
fuori dallo stazzo fin sul limitare del breve pianoro, a seguire l'unica
chiazza di sole che ne illuminava uno spazio sempre più esiguo, malgrado l'ora
e la stagione. Giovanni Maria era scomparso: credo che facesse da sentinella.
- Vuoi mangiare qualcosa? - tirò fuori dallo zainetto di pelle un pezzo
di formaggio, un po' di spianata e una leppa vecchissima, affilata come un rasoio. Poi
girò dietro lo stazzo e tornò con una bottiglia impolverata. - Non lo so se è
ancora buono, ce l'ho lasciato da qualche mese.
- Siamo solo noi?
- E in quanti dovevamo essere?
- Non hai una banda?
- Per fare la musica? - sorrise - no, non ho una banda: per fuggire non
serve una banda. C'è quel ragazzo che ogni tanto mi dà una mano, se serve. Di
lui mi fido.
- Dice che è tuo figlio.
- Così dice. Te l'ha messo il cappuccio?
- Sì, ma tanto lo so dove siamo: sul monte Gutturgios o sull'Uddé.
- Gliel'avevo detto che era inutile bendarti, ma lui ha insistito: si
preoccupa di me.
- Ho visto la chiesetta di Nostra Signora di Buon Cammino, dall'altra
parte della valle e ho sentito l'odore del mare: pensavo che stessi in
Supramonte, più all'interno.
- Mi sposto sempre, domani sarò da un'altra parte.
- Ma di che cosa vivi?
- Non è che ho molte spese. Non pago le tasse e mangio poco.
Restammo in silenzio, un silenzio gigantesco e incombente. Bachisio
guardava le quattro pecore inerpicarsi sul pendio del monte e tagliava il
formaggio con movimenti prosciugati.
- Non ti fa male, adesso, vivere all'aperto?
- E chi te l'ha detto che vivo all'aperto? - mi guardava con un'aria
vagamente ironica.
- Pensavo. - Di nuovo il silenzio. Ebbi la sensazione onnipotente di
poter udire ogni rumore, da lì fino alla civiltà.
- Un incendio? - mi chiese: evidentemente mio cugino doveva avergli
anticipato l'argomento del colloquio.
- Un incendio.
- E io a cosa ti servo?
- A sapere qualcosa. Non so ancora niente se non che è un incendio
strano. - Raccontai tutta la storia di Cala Veronese, evitando accuratamente di
propendere verso un'ipotesi in particolare, così da lasciare a Bachisio la
libertà di scegliere quale consiglio darmi, se davvero ne fosse valsa la pena.
Ascoltava distrattamente e senza fare domande. Mi interruppe una sola volta,
quando, accalorato nella descrizione della villa bruciata, avevo
involontariamente parlato a voce più alta: senza sollevare il polso dalla
coscia su cui posava la mano, alzò il palmo e agitò per tre volte le dita, su e
giù, per impormi di tacere. Restammo in ascolto per qualche secondo.
- Continua, ma a voce più bassa: quando non sento Giovanni Maria mi
viene l'ansia. - Ripresi a parlare, senza più il senso di onnipotenza:
quell'uomo poteva sentire il figlio muoversi lontano nella macchia e
contemporaneamente seguire i miei discorsi, mentre a me il silenzio restituiva
solo silenzio. Conclusi la storia, ma senza dirgli che l'idea di consultarlo
era stata di Casula: ora che lo rivedevo, dopo tanti anni, non solo non me ne
dolevo ma mi chiedevo come mai avessi aspettato tanto tempo prima di cercare di
incontrarlo. Sul momento, sospeso sull'orlo di un dirupo, faccia a faccia con
il brigante Ferru, pluriomicida
ricercato da polizia e carabinieri, mi sentivo semplicemente contento; solo
qualche mese più tardi riuscii a spiegarmi anche il perché di quella gioia,
legata al senso di un incontro che si incuneava in mezzo alla mia fuga dai
ricordi come un pilastro di maturata decantazione della memoria e, finalmente,
di serenità.
34. - Su fogu, Grodde, este unu
fattore de sa cultura..
- Ma cosa dici, Bachì!?
- Ho detto: "il fuoco, Volpe, è un fattore culturale".
- Il sardo lo capisco, è il concetto che non mi convince: io sono un
poliziotto e queste storielle della cultura pastorale non me le dai a bere. -
Volevo che Bachisio non mi confondesse con il mio ruolo o, meglio, che non
sovrapponesse mio padre a me: di confuso, in questo senso, bastavo io. - Se
vogliamo che questo incontro serva a qualcosa, oltre a rivederci che é già
molto, dobbiamo metterci d'accordo su una cosa: non posso ammettere
giustificazioni a un delitto. Io non faccio l'avvocato.
- Purtroppo.
- Purtroppo, ma è così. Cerco i colpevoli e non li giudico, né bene né
male: non sono abilitato a farlo, ci pensano altri. Quindi la storia del codice
barbaricino non la iniziare nemmeno.
- Devi avere pazienza con me, - di nuovo quell'aria ironica - bandito
sono, ma bandito vecchio, di quelli della balentia.
Un nonno ce l'avevi? sempre le stesse storie raccontano i nonni, e io pure,
sempre le stesse storie, che vanno bene per Giovanni Maria che è un ragazzo
semplice.
- A proposito, quanti anni hai?
- Chimbanta e chimbe. E chimbe. E
atteri chimbe.
- Cinquantacinque e cinque e... sessantacinque?
- Sì.
- Accidenti!
- Sentire vuoi, o parlare?
- Va bene, parla, ma ricordati quello che ti ho detto.
Frugò nello zaino e ne trasse un libro, piuttosto malridotto. Me lo
porse: era Pastori e contadini di
Sardegna di Maurice Le Lannou nella
prima edizione, quella del '41, in francese. Un libro, scritto da un grande
geografo, che ricordavo ancora molto attuale malgrado le ariose descrizioni di
una natura incontaminata non rispondano più, purtroppo, alla realtà. Lo
sfogliai e vi trovai chiose e lunghi pezzi di traduzione appuntati a margine,
con una grafia minuta ed elegante, quella di mio padre. Guardai Bachisio.
- Sì, me l'ha dato lui: diceva che mi sarebbe servito leggerlo e che il
francese si capiva bene. Malannu!
vent'anni c'ho messo a leggerlo, altro che si capisce bene!
- Pensa che adesso esiste la traduzione italiana.
- Lo so, me la sono fatta comprare, ma non è lo stesso. Tutti quegli
appunti di tuo padre servono a capire meglio. L'hai letto anche tu, di sicuro,
ma forse non ti ricordi bene.
- Mi ricordo il punto principale: la contrapposizione tra contadini e
pastori, tra nomadi e sedentari...
- ... che ha creato scontri tanto antichi che adesso non si sa nemmeno
perché ci sono e proprio per questo non si può trovare più l'accordo, come
quelle faide che si ammazzava e non si sapeva perché.
- Sì, mi ricordo. Ma cosa c'entra?
- L'incendio è l'arma del pastore contro il contadino.
- Ma quale contadino! in Costa Smeralda ci sono interessi che nemmeno
te li immagini: case, ville, alberghi, multinazionali in lotta per un acro di
terra!
- Allora non vuoi capire: il pastore e il contadino sono puppias 'e ludu (“bambole di fango”),
come sos Mammuntones, o i pupazzi del
presepio...
- Simboli?
- Simboli, giusto. Maniere di pensare una contro l'altra. Da quando è
nato l'uomo. Poi si è dimenticato e allora le ha chiamate in modo diverso:
pagani e cristiani, comunisti e fascisti. È come se vai sul colle e vedi tutto
insieme, quando capisci questa cosa.
- Questa è filosofia, Bachisio, la tua filosofia: a me sembra di vedere
soltanto gente che rapisce per soldi o che mette fuoco per arricchirsi.
- Se capisci quello che ti ho detto, trovi anche chi ha messo fuoco
alla Gallura.
- Mi stai suggerendo di individuare la matrice politica dell'incendio,
o continuo a non capire?
- Ti sto dicendo di provare a capire tutto l'insieme: non lo so il nome
di chi ha incendiato quella villa. Forse posso provare a informarmi, ma sono
fuori dal giro. Adesso non so nulla di nulla e non posso prometterti che lo
saprò domani, o fra un anno. Però posso dirti che l'incendio è un'arma da
pastore.
Imbruniva. Parlammo ancora e a lungo. Ma quando mi apprestai ad
andarmene ebbi la sensazione di essere stato preso in giro: quel manto
ideologico che Bachisio aveva steso sulla sua sostanziale omertà mi aveva
deluso. Subivo profondamente il fascino di quella filosofia un po' primitiva
perché Bachisio, che era semianalfabeta, l'aveva sì tratta da un libro, forse
anche da discussioni con mio padre, ma poi doveva averci ragionato a lungo, con
fatica e forse con dolore. Me ne aveva fatto partecipe, generosamente e, come
capii solo molto più tardi, con la certezza di potermi aiutare. Eppure la sensazione
era molto simile a quella che si prova dopo una lunga ricerca in biblioteca,
quando non si è trovato nulla: hai imparato molte cose comunque, ma te ne
renderai conto solo dopo qualche tempo. Al momento sei solo irritato.
Quando arrivai al limite della radura, Bachisio mi richiamò. Nella sua
voce percepii una nota di ansia.
- Grodde, Grodde! - mi voltai
e intravidi la sua figura, quasi scomparsa nel grigiore azzurro del crepuscolo.
-Grodde, ma tue a l'ischisi che a babbu
tou l'ana occhidu? (“ma tu lo sai che a tuo padre l’hanno assassinato?”)
- E perché credi che abbia fatto il poliziotto?
- Deo gratias!
bellissimi questi due capitoli, bravo Pilon!
RispondiEliminaSono totalmente inutili, nell'economia del giallo, ma erano messi: a) per dare un po' di colore locale; b) per sfoggiare cultura generale e di contesto.
RispondiEliminacome potevo saperlo? e comunque mi piacciono le cose inutili e adoro le digressioni (e m'è pure venuta voglia di formaggio)
RispondiEliminaBelli, e comunque sicuramente il pastore verrà fuori...
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