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sabato 19 maggio 2012

il signor F




Un giorno, il signor F si accorse di aver terminato i soldi dello stipendio a metà mese.
Aveva in tasca gli ultimi, pochi, e decise di spenderli tutti. Tanto valeva. Comperò una spazzola per cani, un tubetto di attaccatutto, una biro blu, una busta e un francobollo per ogni evenienza, un biglietto del bus. Scosse le tasche: c'erano due o tre monetine e non le contò nemmeno. Aveva fame ed entrò dal fornaio. Stava chiudendo e le ceste erano vuote. Il panettiere uscì dal retro strofinandosi le sopracciglia infarinate. Di farina era pieno anche sotto le unghie. Capì che era stanco, ma lo stesso gli disse prego, avvezzo alle maniere del giorno.
Vorrei un panino, chiese il signor F. Ho solo questo, disse il fornaio, estraendo da un sacchettino una pagnotta. Il signor F comprese che si trattava del pane che il fornaio si era tenuto per cena, ma aveva i crampi allo stomaco e l'acquistò. Le monetine bastarono.

Una volta a casa però gli passò di colpo la fame. Prese una molletta da bucato e rinchiuse stretta la pagnotta nell'incarto perché rimanesse fresca per la mattina dopo. Non così stretto, sentì dire al sacchetto. Ilsignor F non si spaventò, né si meravigliò: non era la prima volta che una cosa gli parlava. Aprì, prese in mano il pane e lo avvicinò all'orecchio. Da lì sentì il suo profumo: non solo quello del pane, ma il profumo di una donna. Se così era, non poteva spezzarlo in due, ne tolse perciò un pezzo dal fondo. Spuntarono piccoli piedi, scalzi. Allora passò alla crosta e poi alla mollica e gli tremavano le mani perché gli pareva di spogliare la donna nel pane sfogliandola. Ogni tanto metteva un boccone in bocca, il resto si sbriciolava sul tavolo e con la mano faceva mucchietti ordinati. Ne uscì una donna appoggiata su un fianco, la mano che si reggeva la testa, i capelli che le cadevano sul bordo di un libro, aperto, sotto il suo mento.
Non toccare il mio libro, disse la donnetta con un poco di apprensione: era, evidentemente, la sua unica preoccupazione in quel momento. Lui la prese e la ripulì per bene, lasciando stare il libro: soffiò via dal vestito leggero che indossava ogni traccia di mollica, così dalle braccia, dalle mani, dai capelli, dalle ginocchia e persino dalle ciglia.

Quando ebbe finito – lei lasciò fare senza dire nulla – la pose per terra. Gli si sedette davanti. La donna aveva ripreso a leggere, nella sua posizione di prima, solo più calma, come se si trovasse esattamente dove era prima, in mezzo al pane.
Cosa stai leggendo, le chiese il signor F. Un libro, rispose lei lasciando passare qualche secondo dalla domanda. Ma di che parla? Di cosa abbiamo dentro, dove eravamo, dove siamo stati trovati, dove siamo, le solite cose, no? Ma in modo diverso: forse è quello giusto.
Quello giusto? Chiese il signor F, ripetendo la sua ultima frase.
Sì, sembra non finire mai, devo tornare spesso indietro, ma non è questo. Quando ritorno alla pagina lasciata, mi pare cambiata.

Il signor F non aveva intenzione di andare oltre, gli pareva indiscreto. Lei in quel momento alzò gli occhi dalla pagina: lo guardò in modo noto e sconosciuto.
Mettimi sotto l'abat jour per favore, gli chiese.
Quando l'accomodò, lei rialzò le palpebre e in quel modo gli diede la buonanotte. Il signor F si addormentò. Sognò in modo agitato di trovarsi in una fornace, con montagne di braci a destra e sinistra e cenere incandescente che saliva dopo scoppi sotterranei. Si svegliò sudato, si tastò le mani che sentiva pizzicargli e un poco gonfie.

Si ricordò improvvisamente della donna del pane. Guardò ed era come l'aveva lasciata la sera prima. Abbandonata sul fianco, così come la teletta del vestito, che le segnava le cosce. La donna si alzò, si mise accanto a lui. Fecero l'amore a lungo. I capelli sapevano di farina fine, facevano volute come dentro un'impastatrice. La sua bocca sapeva di sesamo. Si mangiarono in silenzio, chiudendo e riaprendo gli occhi, a seconda dei sapori e degli odori che sentirono.
Poi lui dovette uscire per andare al lavoro. Anche lei disse che si sarebbe preparata per il lavoro; lo disse distesa sul fianco guardandolo come un segreto che va avanti e indietro, come leggeva il suo libro.
Ti serve qualcosa? le chiese il signor F prima di uscire.
Sì, disse lei, che quando torni mi giri la pagina del libro, non importa se avanti o se indietro.






racconto di Lievito 

10 commenti:

  1. uno.
    uno ne fai e cento ne pensi.
    per rompere cubetti di ghiaccio di imbarazzo.
    grazie.

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  2. sono o non sono un'editore:-)

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  3. bellissimo, lievito, proprio bello, tutto bellissimo, ancora per favore

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  4. cosa?
    devo comperare dell'altro pane?

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  5. sì, e poi tutto il resto, con storie del signor A, B, C, D, F l'hai già fatto, quindi si passa ad H eccetera fino a Z saltando però K che è troppo kafkiano.
    grazie

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  6. guada che enrico non ha capito che se clicca sulla tua icona poi trova il tuo blog con tutto quello che c'è dentro e forse anche con matisse non ha capito, bisogna spiegarglielo o adesso avrà capito, cosa dici devo mandargli una mail?

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  7. per me enrico ha capito un poco troppo, invece.
    uhm.
    uno, cosa vuoi spiegargli?
    come editore dovresti ordinarmi, se lo ritieni, altro pane e altre lettere dell'alfabeto.
    ma prima devo mandarti una mia credenziale.
    se riterrai che sarà abbastanza credenza, insomma.

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  8. A enrico interessano solo gli affali
    quindi devi mandargli le cambiali

    Enrico C.

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  9. purtroppo ha ragione l'editore, non sapevo che cliccando l'icona ci sono sorprese, forse dopo provo, però le storie di Lievito preferisco leggerle qui, preferisco leggere tutto solo qui, non voglio complicazioni, già è un miracolo che son diventato membro fisso, adesso per una decina d'anni voglio stare qui, al massimo vado sul sito di trenitalia e su repubblica

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  10. lo trovo ragionevole.
    per un attimo, comunque, avevo letto che al signor enrico interessavano solo gli scaff-ali.
    in questo caso.

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