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domenica 27 maggio 2012

SU FOGU capitoli ventinove e trenta




29. - E chi è questo Pitzalis?
- Ma come sarebbe chi è Pitzalis! Pietro, fai uno sforzo: è stato tuo compagno di scuola quanto mio e sicuramente tu lo vedi molto più di me, visto che abitate entrambi a Sassari.
- Va bene, va bene. E dove l'avresti visto?
-  Da Mokador. Stamattina.
- Mah! proprio non lo conosco. Ma non è che è uno dei paesi? venuto a Sassari di recente?
- Ho detto: tuo compagno di scuola. Tuo!
- Mai sentito. - Pietro non si ricorda sul serio, non lo fa per snobismo o per fedeltà al suo personaggio: le persone proprio non gli entrano in testa e i loro nomi ancora meno. - Avrei un appuntamento alle undici. Se la smettiamo di parlare di sconosciuti e mi dici cosa ti serve siamo un bel pezzo avanti.
- Che maleducato! Va bene, voglio un appuntamento: voglio parlare con Ferru .
- Con chi?! - questa volta aveva capito benissimo, ma credo che avrebbe voluto non capire o, ancora meglio, trovarsi decisamente da un'altra parte. Fece l'atto di premere un bottone immaginario, nascosto sotto la sua scrivania, come per chiamare la sicurezza o gli infermieri della neuro: una vecchia pantomima consolidata, inventata per le occasioni in cui l'interlocutore diceva fesserie o assurdità. - Ma tu sei diventato matto! È uno scherzo?
- No: è una cosa seria: devo parlare con Bachisio Uras, noto Ferru, latitante da vent’anni e da quattordici tuo assistito. Di quella specie di assistiti, abbondante e florida, che hai ereditato da papà. Diciamo che fa parte del mio credito.
- Ma davvero è una cosa seria? Perché vuoi parlare con Uras? Non so nemmeno se mi starà a sentire, ammesso che riesca a rintracciarlo.
- Vedrai che se gli dici che sono io a chiedere di vederlo non si farà pregare. Lo cercherei io stesso ma, come puoi ben immaginare, se sapessimo come trovarlo sarebbe già in galera.
- Ti serve per informazioni, o per una mediazione? Hai un rapimento per le mani? Non credo che si voglia prestare ancora a questo genere di cose.
- Informazioni, solo informazioni, nei modi e nei tempi che decide lui.
- Ma a che cosa ti serve?
- Lo vuoi sapere per curiosità o per lavoro?
- Lo voglio sapere perché altrimenti te lo cerchi da solo.
- Esplicito, incisivo, diretto. Ma non hai un appuntamento alle undici? la storia è lunga.
Trovò il tempo per farsela raccontare perché è curioso come una scimmia: è divertente l'organizzazione del suo cervello, perchè funziona come un teatrino di marionette. Lui ricorda, analizza e confronta qualsiasi situazione, ogni esperienza di vita, tutti i modi di tirare avanti o di cacciarsi nei guai che la varia umanità che frequenta ogni giorno gli mette a disposizione; ma senza associare facce e nomi, senza le persone vere, insomma. Proprio come un repertorio di canovacci teatrali. Non giudica mai, perché non saprebbe chi giudicare, ma capisce quasi sempre come va a finire. Così gli raccontai tutto, tralasciando solo le mie avventure amorose: più che la reputazione di Marta - tanto Pietro non si sarebbe ricordato il suo nome neppure sotto tortura - ci tenevo a salvaguardare la mia, che non ne usciva propriamente indenne.
- ... e in definitiva nessuno di noi è convinto che la Fresi abbia appiccato il fuoco. Eppure non ci sono elementi che conducano in direzioni diverse. Il che sarebbe niente, se non avessimo la necessità di chiudere un'indagine che altrimenti...
- Va bene, va bene, - interruppe la perorazione sul nascere, evidentemente colpito a sufficienza dalla stranezza del mio piccolo caso - ti cercherò Ferru. Ma guarda che Bachisio è invecchiato, non so quanto gli diano ancora retta, questi nuovi.
- Non mi serve un generale, mi serve un infiltrato. E un bandito alla macchia, specie se amareggiato, sa parecchie cosette e magari avrebbe anche voglia di dirle: sono suscettibili anche loro, no?
- Eeeh! eccome! - roteò vorticosamente la mano destra. Ma quel dottor Obino, perché non lo interroghi? Perché non lo fai convocare da Casula?
- E chi è questo Obino?
- Il ricercatore di Cagliari, come si chiama?
- O - ni - da: Onida, si chiama. E perché lo dovrei convocare?
- Il bello è che chiedi anche il perché! Ma come: secondo te una medaglia ha una faccia sola? Scusa sai, ma per la stessa ragione per cui ritieni ammissibile che la ricercatrice romana, Maria ...
- Marta Fresi.
-... ecco, Marta Fresi sia andata in Gallura e, scoperto il proprio errore, abbia bruciato la macchia per distruggerlo, per converso devi ammettere almeno in via ipotetica che il ricercatore cagliaritano... il dottor Onida, sapendo di essere in errore ed essendo a conoscenza della visita della romana, abbia bruciato lui la macchia, per impedire a lei di dimostrare la verità. Se parti da un presupposto devi seguirlo in tutte le direzioni: in questo caso, la guerra tra teorie deve avere al­meno due fronti. Perlomeno senti se ha un alibi.
- Sei un genio! Non ci avevamo pensato.
- Perché siete dei paesani. Ciao.
- Come ciao? E Ferru ?
- Tu pensi che adesso prendo il telefono e lo chiamo? al cellulare? o in villa? te ne puoi scordare. La procedura è un pochino più complicata. Vai, adesso: ti chiamo io quando so qualcosa.
- Presto?
- Prestissimo.

30. Se anche avessi voluto concedermi qualche giorno di vacanza, a cavallo di Ferragosto, il tempo afoso e la folla che andava invadendo ogni angolo di terra, sabbia, asfalto e mare disponibili, me ne avrebbero dissuaso. Rimasi solo, abbandonato da tutti: da Casula, impegnato in una serie di pranzi e cene familiari; da Pirro, coinvolto suo malgrado in un finesettimana lungo materano; da Onida, che non riuscii a rintracciare. Da Marta, per sempre.
Di conseguenza una dose di moderata allegria si accompagnò allo stupore, quando mi vidi recapitare a casa l'invito del barone d'Elia: un cartoncino stampato mi informava che barone e baronessa organizzavano un party di mezza estate nella villa di Porto Rotondo e che la mia pre­senza sarebbe stata gradita. R.S.V.P.: risposi di sì, che altro potevo fare? questi bagni nella mondanità si rivelano sempre occasioni formidabili per intercettare piccoli pettegolezzi, tessere di mosaici scomposti che possono fare comodo nell'esercizio del mestiere più indiscreto del mondo. E poi, malgrado una misantropia ormai incurabile, di tanto in tanto mi diverte partecipare a qualche ricevimento: in fondo sono stato educato a comportarmi come un perfetto animale da società. Il fatto di essere diventato solo un perfetto animale è un problema del tutto mio.
La sera del quindici agosto mi recai, elegante ma non troppo, pettinato ma non molto, sbarbato ma non di fresco, alla villa dei d'Elia, facendomi precedere da uno dei miei biglietti da visita - di quelli che il barone già conosceva - con un cortese cenno di accettazione. Arrivai con un ritardo eccessivo, frutto di calcolo e di lunghe ore di noia. Mi accolse la baronessa, in abito conturbante e sorriso smagliante: indossava un'ampia tunica bianca nella quale si concentrava l'insanabile contraddizione tra alto e basso, caldo e freddo, Nord e Sud: casto girocollo sul davanti e abisso di perdizione nella scollatura a V retrostante. More solito le gambe erano in mostra, sottoposte a un supplemento della mia attenzione da un paio di sandali dorati, con laccetti incrociati fin sopra la caviglia e tacchi a spillo. Un giorno dovrò studiare meglio la connessione, per me inevitabile, tra assoluto cattivo gusto e devastante attrazione sessuale.
Arrivai talmente ultimo che la cena era già cominciata. Il menu doveva essere stato architettato per colpire l'attenzione di qualche ospite "continentale", perché comprendeva soltanto voci di cucina nostrana, volutamente rustiche. In un angolo del giardino, lussureggiante di palme, agavi e oleandri, era stato imbandito un enorme tavolo rotondo sul quale troneggiavano taglieri di radica e vassoi di sughero pieni di porcetti e agnelli alla brace, interi o già tagliati a pezzetti; tra un vassoio e l'altro, a mo' di tovaglia, rami fronzuti di mirto e di lentischio. Malloreddos  al sugo di carne o al burro fuso, suppa cuadda  alla gallurese, pane frattau, piatti di caccia fuori stagione (dunque proveniente dal freezer del barone) e altre prelibatezze riempivano invece due tavoli rettangolari, dai quali ci si poteva servire prima o dopo aver preso posto in uno dei tavolinetti sparsi tra la veranda e il giardino o lungo il bordo della piscina illuminata che, in pianta, ricordava un fagiolo.
A parte gli ospiti forestieri conoscevo tutti. Ma, tanto per non sbagliare, il barone mi ripresentò a ognuno, utilizzando sempre il mio titolo nobiliare e mai quello professionale. Ero incline al perdono, anzi, mi era quasi simpatico, ma solo perché andavo metabolizzando due o tre bicchieri di un prodigioso miscuglio alcoolico che quattro perfettibili camerieri distribuivano con ostinazione, de­treggiandosi in quell'intrico di belle presenze. In un primo giro panoramico ne avevo notato cinque o sei più belle delle altre: una bionda fulminante ma nei cui occhi il lume dell'intelligenza si era spento da un pezzo, o forse non era mai stato acceso; due brune o, meglio, una bruna e una brunetta, entrambe abbronzatissime e inguainatissime in vestitini di stretch fuori moda ma adatti a sottolineare il proprio contenuto; una signora alta, sui quaranta, elegante e schiva, che non parlava italiano e che mi fu presentata come un astro del firmamento operistico internazionale.
Rintracciai due vassoi ricolmi di frutti di mare freschi: ricci aperti a metà, patelle giganti, cannolicchi e polpa di granchi e di capre di mare. Con un bicchiere di Vermentino in una mano e il piatto nell'altra mi apprestavo, impacciato ma deciso, a fare scempio di mitili e crostacei, quando la voce della baronessa interruppe la mia razzia:
- Signor Duca, anche lei è un'appassionato di queste cosine: sa che sono afrodisiache?
- Non lo sapevo, ma si può sempre sperimentare. - Va detto che ormai ero praticamente ubriaco.
- Ma che audace! proprio uno scostumato! - la baronessa, ridendo, simulava un imbarazzo inesistente.
- Scherzavo, signora d'Elia. Mi ha sorpreso mentre tentavo di farne scempio.
- Ma che dice! mi fa piacere trovare una corrispondenza di gusti con lei. Ma non potremmo darci del tu: io mi chiamo Tiziana.
- Volentieri: io mi chiamo Giacomo, ma non ti posso stringere la mano, come vedi. - La baronessa, Tiziana, rise e mi prese cautamente sottobraccio, dalla parte del vino.
- Vieni, sediamoci qui, prendo un piatto anch'io e ti faccio compagnia.
Dopo essersi servita senza parsimonia mi raggiunse a un tavolinetto rotondo che distava meno di due metri dal piatto dei frutti di mare.
- Lei non sa... no no, scusa: tu non sai, che dolore ha dato al mio Ercole l'incendio di Cala Veronese. Non fa che parlarne. Te ne occupi tu, vero? A che punto sono le indagini?
La tentazione di dirle di farsi i cazzacci suoi mi lambì pericolosamente labbra e cervello, ma era la padrona di casa e le concessi il beneficio del dubbio: forse non voleva estorcermi informazioni riservate per conto del marito, magari la sua era solo curiosità.
- Purtroppo niente di nuovo: capita spesso, in questo tipo di indagini.
- Ma si diceva in paese che c'era di mezzo una signora di Roma, una studiosa dell'Università, come si chiama?
La consegna era non parlare! Da sobri, mantenerla sarebbe stato più facile. In quello stato, la coscienza di questurino non più inappuntabile, corresse la formula in un più permissivo "non parlare troppo". In fondo, anche da ubriaco, potevo se non altro appurare se l'alta scuola del pettegolezzo della Costa disponesse in anteprima di particolari sulla mia tresca personale.
- E che altro si dice, in paese?
- Ah, non chiedermelo: la mia bocca è cucita. - Sfoderò un sorriso da Sfinge.
- A me dovresti dirlo, potrei convocarti in Questura. - Sorrisi, ma solo per nascondere la scarica di adrenalina che la risposta evasiva e il sorriso eloquente mi avevano procurato.
- Non sai niente dell'amante? - si era inchinata verso di me, sussurrando.
- Quale amante? - mimai la sua aria complice, mentre subivo un'altra stretta al cuore.
- Ma dài! l'amante della Grisi Rinaldi! - tirai un sospiro di sollievo - è possibile che voi della Polizia siate sempre gli ultimi a sapere le cose? Tutti, in paese, sanno che la signora della villa aveva un amante, anche se bisogna dire che questo tipo di storie non ci diverte più. Però, sai come capita, le voci circolano lo stesso e ti arrivano a tiro anche se non te le cerchi. Questa poi, era talmente lampante: il marito sempre fuori, una vita da separati in casa. La signora si era fatta l'amichetto, almeno così si dice.
Il mio interesse, fino a quel momento annientato dalla paura di essere io l'oggetto dei pettegolezzi, si risvegliò subitaneo.
- Chi era, lo sai?
- Eh, no. Purtroppo non si sa. Non che mi interessi più di tanto, ma resta il fatto che non si sa. Speravo me lo potessi dire tu, ma vedo che sei troppo disinformato. O troppo dritto? commissario Fontana, - agitò l'indice in segno di scherzoso ammonimento - non è che mi hai fatto parlare per motivi di lavoro? pensavo fossi fuori servizio. Non si prendono in giro le signore.
- Non mi permetterei mai. Anzi, sai che quello che mi hai riferito potrebbe essere molto importante? Sei sicura di non riuscire ad appurare qualcosa di più? 
- Davvero è importante? - sul suo viso si era dipinta un'espressione di emozione, disarmante in quanto profondamente sincera. - Che brivido! collaborare con la Polizia! ma non diciamo niente a Ercole, però.
- Stai tranquilla: sarà un segreto professionale. Ti puoi informare meglio...
- ...da stasera!
- ...e poi telefonami, quando vuoi. - Le diedi un altro dei miei biglietti da visita, aggiungendo a penna il numero di cellulare. Poi, adducendo come scusa il lavoro, me ne andai dalla festa. Avevo intuito, dallo sguardo della baronessa e dal contatto insistente che il suo ginocchio aveva instaurato con il mio, che da quel colloquio potevano nascere sviluppi di altra specie, ma avevo ancora meno voglia della prima volta di essere il suo Gennarino.

7 commenti:

  1. Mi piacerebbe un capitolo 30 bis (aggiunto dunque) sull'affascinante questione della "connessione [...] tra assoluto cattivo gusto e devastante attrazione sessuale", se possibile con riferimento alla visiera, ma va bene anche in generale

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  2. e a proposito di quello che scrivevo ieri, sul curriculum eccetera, proporrei che l'editore oltre a mostrare foto degli autori quando erano brutti (entrambi siamo molto migliorati, adesso siamo praticamente irresistibili) pubblichi anche foto brutte dei lettori, Ged già c'è (anche come ciucco), Roscia invece manca, e anche Emilia e compagnia bella. Avanti, editore, fallo. Fallo.

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  3. Devo dire che la copertina di oggi supera tutte le altre. Complimenti: a livello comunicativo venderebbe moltissimo.

    L'idea diEnrico di pubblicare le foto dei lettori mi pare ottima. Editore, il ne posseggo parecchie. Non hai che da chiedere.

    Per quanto riguarda l'assoluto cattivo gusto e la devastante attrazione sessuale, mi rendo disponibile. Solo che non concordo sui cappelli a visiera. Mi sembra più interessante un travestimento da Bocassini, semmai.

    Per quanto riguarda l'assenza di Ged dal blog, mi duole dover pensare che Su Fogu sia meno attrattivo di Adesso altre pecore ma, essendo il priimo a riconoscere che questo risponde al vero, me ne duolgo non per amor proprio ferito ma perché viene a mancare un contributo fondamentale. Lancio quindi un appello, GEDE TORNA, che i lettori possono sottoscrivere cliccando qui:
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    Se vi chiede di inserire il codice segreto del bancomat non date retta.

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  4. GEDE TORNA PERO', senza di te è tutto più brutto

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  5. Pilon non sa che la visiera rende gnocche anche le cozze, provare per credere, ti prende un formicolio all'altezza dell'ombelico, poi però appea si toglie la visiera (sennò non ci si può baciare, ti finisce sugli occhi) l'incanto cessa e nasce il disagio

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  6. si dice "appea", non "appena"

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  7. Io non ho capito il passaggio dal capitolo 28 al 29...
    Mi sono persa qualcosa?

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