Visualizzazioni totali

lunedì 11 giugno 2012

SU FOGU capitolo cinquantuno


51. Quelle giornate passate sotto il sole mi stremavano: andavo a letto alle nove, massimo le dieci e mi svegliavo all'alba, pronto per tornare a pescare. Marta aveva telefonato, finalmente, ma solo per comunicarmi la sua partenza. Non aveva voluto che la accompagnassi fino al traghetto e nemmeno che la andassi a salutare. Però parlammo a lungo (anche se odio parlare a lungo per telefono) e ci lasciammo, come si dice, da amici: nessun rancore, e la vita continua. E con una specie di promessa. Alla fine della telefonata mi ero steso sul letto, convinto che l'agitazione mi avrebbe tenuto sveglio. Invece ero caduto in un torpore instabile, che presto si era trasformato in sonno profondo. Stavo sognando di battere un polpo sul bordo della barca quando mi resi conto che i colpi erano reali e provenivano dal portone: qualcuno che mi svegliava nel cuore della notte, probabilmente un caso urgente. Guardai l'orologio e scoprii che erano solo le dieci e dieci. Guardai me stesso e mi accorsi di essere ancora completamente vestito. Riguadagnai la realtà e mi precipitai ad aprire. Era Fadda, il pompiere, con un sorriso timido disperso tra le guance irsute.
- Buonasera Gavino, cosa succede?
- Niente di grave, commissario, non si preoccupi. Ero venuto per dirle una parola.
- Cosa fa lì sulla porta? entri che le offro un bicchiere di vino, una birra, un caffè. - Mentre varcava la soglia cercai di domare i miei capelli, o quel che ne resta e che la salsedine rende comunque indomabile. Entrò guardandosi intorno con curiosità rispettosa e mi seguì nello studio, cioè nella stanza dove trovano posto un tavolo su cavalletti, due poltrone da terrazzo e tutti i miei libri.
- Allora?
- Allora. Allora non è facile. So che avete arrestato Salvatore.
- Sarebbe difficile non saperlo: ne hanno parlato tutti i giornali. Però, mi creda, mi è dispiaciuto davvero molto. Non ci avrei mai creduto, una persona come lui...
- Ma ha confessato.
- Certo, ha confessato.
- È questo il punto.
- Allora?
- Lei conosce la moglie? Chiara Deidda?
- No.
- È venuta da me, ieri sera, e mi ha raccontato una strana storia. Su quella notte e sull'incendio.
- Ma non era al suo paese? Salvatore ci ha detto che...
- Aspetti, commissario, mi lasci finire. Il giorno dopo l'incendio, Salvatore ha spedito moglie e figli a Villasor, al paese, appunto.
- È vero, mi ricordo: me lo disse Pirro, perché avevano organizzato una cena da scapoli.
- Sì, c'ero anch'io. E la moglie è sempre rimasta lì, per tutto questo tempo. Poi, il giorno dopo l'arresto, è ricomparsa, senza i due figli, è andata a casa e si è chiusa dentro. Esce soltanto per andare a trovare Salvatore. Ma ieri sera si è presentata a casa mia, scura in volto e molto emo­zionata, si vedeva che aveva pianto. E mi ha raccontato questa storia.
- E in cosa consiste, questa storia?
- È per questo che sono qui. Le ho detto che io non me ne intendevo di cose legali, ma che conoscevo qualcuno che, forse, poteva aiutarla o almeno darle ascolto. Lei non vorrebbe fare questo?
- Ascoltare la storia di Chiara Deidda? certamente, non vedo perché no. Ma quello che non capisco è questa aria di mistero, le visite notturne, le sue esitazioni.
- È che Salvatore non sa nulla di quello che sta facendo sua moglie.
- Ah! - rimasi in silenzio per qualche istante. - Va bene: possiamo vederci domani mattina, alle nove, in Questura?
- Direi di no. È sempre perché Chiara non vuole che si sappia che ha parlato con lei. Che Salvatore sappia.  E dice che è urgente.
- Allora dobbiamo andare da lei, subito?
- Per la verità, no: è qui fuori che aspetta.
Mi sentii stupido, imbarazzato e anche insensibile: non avevo capito che, a pochi metri dal mio portone, si stava consumando una piccola tragedia. Corsi fuori; sul lato opposto della piazza intravidi nella penombra una figura femminile, che guardava nella mia direzione; le feci un gesto di saluto che trasformai in un invito ad avvicinarsi. Lei si voltò verso la strada principale, poi scrutò la vetrina illuminata del bar d'angolo e infine s'incamminò cautamente in direzione del mio portone. Nel farlo si coprì il capo con uno scialle, aggiungendo a tutta la scena, già di per sé inutilmente teatrale, un tocco arcaico. Deleddiano, direi, se non fo

4 commenti:

  1. Il testo è troncato...
    editore puoi intervenire?

    RispondiElimina
  2. . Deleddiano, direi, se non fosse banale!

    RispondiElimina
  3. deleddiano, direi, se non fottesse a nessuno.

    Pilon

    RispondiElimina
  4. deleddiamo, direi, se non fornicasse tutto il tempo.

    RispondiElimina