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venerdì 8 giugno 2012

SU FOGU capitolo quarantacinque


45. Tergiversavo. Mi ero accorto che la soluzione intravista non era di mio gradimento. Morale. Personale. Pratico. Non saprei: certo è che tergiversavo, come se tutte le conferme che ora sembravano presentarsi da sole, in una sequenza ordinata, non avessero già fatto precipitare la si­tuazione. Per archiviare pratica, istruttoria, tutto, dovevo soltanto fare il nome. Era così semplice. Fra l'altro avrei potuto telefonare a Marta per comunicarle che non era più accusata di niente, scusandomi per quanto aveva dovuto sopportare a causa dei miei sospetti, ma forse facendole amorevolmente pesare che, questa volta, una mia intuizione la liberava dall'incubo. No, troppo facile: lei sapeva dall'inizio di essere innocente, dunque quella soluzione, la mia soluzione, la salvava solo dalla mia testardaggine, non da un pericolo reale.
Lavorava strano il mio cervello: invece di affannarmi sui particolari dell'indagine, chiamare Casula, stilare rapporti, preparare il terreno per l'arresto, dipanavo ipotesi sul modo migliore per presentare la vicenda a Marta, per recuperare terreno sul piano personale e affettivo. Cercavo di immaginare la scena adatta a sfruttare appieno l'effetto di quel mio insperato pezzo di bravura. Ma non facevo grandi progressi. Vedevo uno solo dei personaggi: un uomo forte, posato, dai gesti controllati e vagamente protettivi...  Squillò il telefono.
- Il commissario Fontana, per cortesia.
- Chi lo desidera?
- Giacomo, sei tu?
- Ah, Tiziana. Sono io. Cosa succede?
- Ci sono novità?
- È una domanda o un'affermazione?
- Una domanda.
- Sì, ce ne sono. Ma preferirei non parlarne al telefono, se non ti dispiace. Ti avrei chiamato in ogni caso: volevo chiederti se sai dove la nostra signora incontrava, di preferenza, il suo amico. In albergo, in macchina, a casa?
- No. - Una pausa di riflessione. - Ma suppongo a casa: mi sembra scontato, con il marito sempre fuori, la villa isolata, al riparo da sguardi indiscreti. Perché rischiare di farsi pizzicare in un albergo? Non sembra anche a te?
- E da quanto durava, questa tresca?
- Dicevano che era una cosa vecchia, forse iniziata l'anno scorso, sempre d'estate, e poi ripresa a giugno. Questo giugno. Sono sicura.
- Dell'inizio, o della ripresa?
- Della ripresa. Ma non mi puoi dire proprio niente?
- Preferisco di no. Ma credo di sapere chi era lui.
- Ma dài! Stupendo!
- Nemmeno tanto, credimi. Preferirei che le cose fossero andate in un altro modo.
La congedai garbatamente, promettendole che mi sarei fatto vivo molto presto. Poi chiamai Casula e, senza troppi preamboli, gli raccontai tutta la storia. Dall'altro capo del filo un silenzio cupo accompagnava il dipanarsi di quella piccola tragedia di paese: Giuseppe si convinse subito, d'altronde non c'erano più spazi per il dubbio. Alla fine mi fece i complimenti - sembrava sincero - e mi autorizzò a procedere con l'ultimo accertamento.
Così chiamai Pirro e gli chiesi se fosse possibile sentire Mereu, il ragazzo biondo arrestato pochi giorni prima, spacciatore e possibile testimone oculare di alcuni fatti nella notte dell'incendio. Era ancora in stato di fermo e lo portarono nel mio ufficio in pochi minuti. Aveva una faccia sbattuta, ma non sconvolta. Nessun segno di astinenza: benché agli inizi, Mereu si avviava a diventare un serio professionista, di quelli che commerciano ma non consumano, se non in piccole quantità e sempre "fuori servizio". Ma per il momento sembrava ancora quello che era: un digraziato ragazzetto di paese, travolto da cose più grandi di lui.
- Quanti anni hai?
- Siamo stati a scuola insieme? Sono un cittadino come gli altri e ho diritto al lei. E poi voglio un avvocato.
- Non si preoccupi, signor Mereu, il suo avvocato lo avrà, quando sarà necessario. Adesso voglio solo fare due chiacchiere. - Di solito, quando ho a che fare con questa gente, mi dolgo di non poter più disporre dell'apparato giuridico e penitenziario di Torquemada; ma la sagoma del successo definitivo, che si andava delineando all'orizzonte, mi forniva una dose di pazienza prossima alla santità. - Va bene?
- Dipende. - Si scostò il ciuffo dalla fronte: aveva la pelle delle mani rossiccia e screpolata e il viso ancora segnato dall'acne.
- È vero che lei abita in contrada Flumineddu, lungo la centotrentacinque?
- Sì. Posso fumare?
- No. È la strada che porta a Cala Veronese, vero?
- Sì.
- Lei era a casa, la notte dell'incendio?
- Vuole accusarmi di aver messo fuoco? Guardi che si sbaglia di grosso: io lo so chi ha messo fuoco.
- Signor Mereu, risponda alle mie domande: era a casa la notte dell'incendio?
- Bé, no. Però ero da tutt'altra parte, a Chilivani.
- A Chilivani! E cosa faceva di bello a Chilivani, prendeva il treno? O spacciava nel vagon restaurant di un intercity?
- Eravamo andati alle corse dei cavalli, poi abbiamo fatto tardi e abbiamo dormito in un posto... c'era gente con me, glielo possono dire loro.
- Non me ne può fregare di meno, signor Mereu. Voglio sapere come fa a conoscere l'identità del piromane, se quella notte se ne stava a Chilivani.
- Me l'ha detto... - la risposta si era persa in un mugugno.
- Chi?
- Mia madre.
- Sua madre. Ah, bene, "signor Mereu', lei vive ancora con i genitori: fa bene, alla sua età, fa bene... E cosa le ha detto sua madre? - Quel fessacchiotto si stava confondendo. E perché? perché si vergognava di avere una mamma. I veri uomini non vivono in famiglia e non hanno nemmeno una madre.
- Ma cosa vuole da me? - aveva alzato la voce, ma non troppo. - Io non so nulla, non ero qui. Non ho fatto nulla.
- Si calmi, "signor Mereu", non c'è ragione di agitarsi. Cosa le ha detto mammina?
- Mi ha detto che ha visto una macchina.
- Ma che bellezza. Su una strada provinciale: che stranezza!
- Non era una macchina...
- Un carro a buoi, allora?
- No, non una macchina qualunque. Correva. Fuggiva.
- Mi sono stufato, signor Mereu: adesso mi racconti tutto, senza farmi sprecare fiato.
- Mia madre era sveglia… sta sempre sveglia. Ha visto le fiamme sul promontorio. Dice che ha pensato che stessero bruciando frasche, ma poi ha visto l'ora e si è spaven­tata. Era sola in casa e non abbiamo il telefono...
- Lui però ha l’i-phone! - lo interruppe Pirro.
- Sai, Nicola, il Mereu è un manager, a suo modo. Continui, prego.
- Io il cellulare me lo sono comprato con...
- Non mi fotte nulla del suo cellulare, se permette. Le ho detto di continuare.
- È uscita di casa ed è andata fino alla strada, per chiamare aiuto, penso. Allora ha visto la macchina: lei ha fatto dei cenni, per farlo fermare ma lui non si è fermato. Guidava come un pazzo, ancora più veloce delle altre volte.
- Lui chi, scusi, e quali altre volte?
- Quasi tutta l'estate, dice mamma. Alle ore più impensate della notte: in quella strada non ci passa quasi nessuno, e mia madre sta sempre sveglia ad aspettare che torniamo. Quindi ogni motore che sente va a vedere. Lei dice che quella macchina passava quasi ogni notte.
- E dopo?
- Dopo cosa?
- Dopo l'incendio?
- No, non si è mai più rivista.
- Che macchina era?
- E io cosa ci guadagno, se ve lo dico?
- Guarda che non siamo in un film americano. Se non mi dici che macchina era ti ritrovi nei pasticci. Ci arrivi o te lo devo spiegare?
- Una Range Rover.
- E ha visto anche chi era alla guida?
- Credo di sì. Ma perché non lo chiede a mia madre?
- Penso che seguirò il suo consiglio. Grazie signor Mereu, può andare. 

1 commento:

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