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martedì 12 giugno 2012

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 52. La moglie di Deidda era una bella donna, una tipica bellezza dell'interno, con grandi occhi neri, zigomi alti sul viso perfettamente ovale, il mento sfuggente. Era piccola di statura, ma proporzionata, sebbene mani e piedi risultassero stranamente lunghi e ossuti rispetto alla corporatura complessiva. Sotto lo scialle - che una volta dentro, al sicuro, si tolse - era vestita in modo indefinibile: gonna grigio chiaro e camicetta bianca senza tasche né impunture. Soprattutto mi colpì l'anacronismo dell'orologino d'oro, uno di quei modelli esclusivamente femminili, ormai fuori moda. Non so perché ma provai una stretta, che probabilmente era pena.
- Si sieda, prego, - le dissi, dopo averla dirottata verso l'unica stanza che ricordavo ordinata, la cucina. - Mi scusi se la faccio accomodare qui, ma, sa come succede, le case degli sca­poli non sono mai del tutto presentabili... - Mi rifugiavo nelle frasi fatte per darle il tempo di adattarsi e di trovare il coraggio di espormi la sua storia: lo stava cercando, poverina, e lo potevo capire dal silenzio ostinato e dai grandi occhi liquidi che erravano lungo gli interstizi delle piastrelle. Fu Fadda a sollecitarla.
- Forza, Chiara, racconta al commissario quello che volevi dirgli. Non c'è niente da temere, vero commissario?
- Non lo so, non posso promettere che sarò buono quando la mia bontà è legata a quella degli altri. - Sorrisi, per far capire che scherzavo, ma i miei interlocutori non erano in vena, quella sera. - Coraggio, signora Chiara: non le ha detto Gavino che io sono un poliziotto per modo di dire? Ha mai visto un poliziotto con un naso spellato come il mio? - Guardò il mio naso e, finalmente, accennò a una parvenza di sorriso. Le disgrazie altrui, pur minime, sollevano sempre. Poi, tutto d'un fiato, come se sospirasse:
- Io ero lì. - E restò zitta, fissandomi negli occhi. Per dire la verità: forse ero ancora mezzo addormentato, e probabilmente tutto quell'ozio mi aveva intontito. Quale che fosse la causa, fino a quel momento non mi aveva neppure sfiorato l'idea che quella visita significasse qualcosa di veramente importante; pensavo alla normale amministrazione della miseria di questi casi: mogli che chiedono cosa sarà di loro, una parola buona col giudice, un permesso di visita più lungo, un limite di peso più alto per i pacchi da portare in carcere. Niente che io possa fare per loro, di solito, ma cerco di trovare almeno una parola di incoraggiamento. Ero pronto a farlo anche ora, quando misi a fuoco il significato di quella frase.
- Era lì dove?
- Nella villa, a Cala Veronese. - Di nuovo silenzio, forse pensava che il mio lavoro consistesse nel domandare frase dopo frase.
- Signora, vorrei che riflettesse su quanto dice. Oppure che mi spiegasse meglio: lei era presente, diciamo, alla morte della signora Rinaldi, a villa "La Rotonda", la sera dell'incendio? Ho capito bene? - Spostai la sedia, fino a trovarmi esattamente di fronte a lei, per catturarne lo sguardo che aveva ripreso a vagabondare.
- Ha capito bene.
- Dunque lei è una testimone oculare del delitto di... di suo... del Deidda? In questo caso, signora, sono spiacente, ma credo che potrebbe essere accusata di complicità, a meno che non riesca a spiegarsi meglio. Insomma io vorrei capire se lei, in qualche modo, è stata costretta...
- Chiara, malasorte, perché non dici quello che hai detto a me?! - La brusca esortazione di Gavino sortì un qualche effetto: Chiara si passò una mano sugli occhi e poi sul naso, una, due volte; poi riunì anche l'altra mano e si coprì il viso per un secondo. Infine disse:
- Lei ha capito tutto tranne che una cosa: mio marito non ha ucciso nessuno...
- Attenzione, signora Deidda: esiste una confessione che contraddice quanto lei afferma. Se vuole continuare su questa linea, la avverto che non potrò starla a sentire se non in presenza del sostituto procuratore, in una sede ufficiale. Soprattutto se, come penso, vuole confessare lei il delitto, per scagionare suo marito. Ha capito bene?
- Io non voglio confessare niente. Volevo solo dirle che mio marito non ha ammazzato la signora.
- E lei come lo sa?
- Le ho detto che ero presente.
- Era presente a cosa, se non c'è stato delitto? E poi, se non c'è stato delitto, mi dovete spiegare perché la signora Grisi era morta. - Avevo alzato la voce: quel colloquio mi stava irritando.
- Aspetti, commissario, non si arrabbi. - Fadda mi appoggiò la sua mano gigantesca sul polso. - Chiara, per favore, racconta tutta la storia al commissario, così come l'hai detta a me, senza fare questa scena assurda. Vedrai che se dici tutto poi ti senti meglio, e anche il commissario sa cosa fare.

53. - Io lo sapevo che c'era un'altra donna. Salvatore adesso è un uomo serio, ma quando eravamo giovani me ne ha fatte di cotte e di crude e io lo vedo quando c'è qualcosa che non va. Me lo sentivo, già prima che tia Maria, la moglie di Cosimo, me lo dicesse.
- Chi è Cosimo?
- L'avete interrogato: è quel vecchietto, il giardiniere. La moglie è una vecchia pazza, che lo tiene ancora in casa la sera perché è gelosa di lui e non fa altro che vedere corna dovunque, anche adesso che ha ottant'anni. Anzi, adesso vede meglio quelle degli altri. Il marito deve averle raccontato che Salvatore andava alla villa, che si vedeva con quella milanese, mattina e sera, e anche la notte. Per lui è facile: basta dire che c'è un'emergenza.
- E poi?
- Poi ho cominciato a controllarlo e... allora gli ho fatto una scenata: io sono una donna molto gelosa, commissario, e sono fidanzata con Salvatore da quando avevo quindici anni, dunque non sono disposta a farmelo portare via. Lui prima ha negato, poi, quando gli ho detto che sapevo tutto, anche i particolari e i nomi, si è fatto serio e mi ha detto che lo sapeva, sì, certo ma che, questa volta, non era certo di come sarebbe finita. "Te lo faccio vedere io come finisce", gli ho urlato e me ne sono uscita di casa. Questo la sera prima del­l'incendio.
- E il giorno dopo?
- Il giorno dopo lui è uscito presto e non si è visto per tutta la mattina, nemmeno a pranzo. Alle due si è ripresentato e non ha detto una parola; si è cambiato la camicia ed è uscito di nuovo. Ero fuori di me dalla rabbia, pensavo che andasse dalla signora. Ho aspettato l'ora di cena, poi la notte: niente, non si è fatto vivo, nemmeno per telefono. Alle undici ho portato i bambini da mia sorella e poi, come una pazza, sono andata verso la villa di Cala Veronese.
- Quanto tempo ci ha messo? a che ora è arrivata?
- Almeno un'ora dopo. Di notte non guido mai e poi non conoscevo la strada.
- A mezzanotte, dunque. Poi?
- Poi mi sono fatta coraggio e sono entrata nel giardino. Sono andata verso il davanti, perché vedevo delle luci accese.
- In che senso "il davanti"?
- Dove c'era la vetrata, dalla parte del mare. Mi sono avvicinata ai vetri, per spiare dentro. Non si sentiva niente, nessun rumore. C'era una lampada da tavolo accesa, e basta. Poi ho visto la signora: stava sdraiata sul divano e sembrava addormentata. Mi sono decisa: lì per lì ho pensato di par­larle francamente, da donna a donna, così ho bussato sui vetri, fa­cendo un gran rumore, per svegliarla; ho gridato "permesso, permesso", poi sono entrata da una delle porte, perché erano tutte aperte. C'era un silenzio da far paura, ma soprattutto era tutto in disordine: le poltrone rovesciate, le fodere squarciate, i cassetti buttati per terra. "Signora", ho chiamato, "signora". Poi ho visto la sua testa, illuminata dalla lampada del tavolino. - Si interruppe e deglutì a vuoto. Aveva gli occhi spa­lancati, come chi si sveglia nel sonno con un incubo ancora nel cervello. Guardò prima Fadda, poi me: le feci un gesto amichevole. - Aveva la testa insanguinata, qui sul lato destro, una ferita enorme, tutti i capelli sporchi di sangue. Dio mio! - Scoppiò in lacrime ma continuò il suo racconto, tra i singhiozzi. - Per terra, vicino al divano, c'era un bastone, tutto sporco di sangue e di ca­pelli. Dio mio! Dio mio! - Coraggio, signora Deidda, si calmi. Gavino, per favore, versi un po' di rum in quel bicchiere. Grazie. Beva un sorso di questo, le farà bene.
- Grazie, commissario, non è nulla. - Sorseggiò appena il liquore e rabbrividì. - Quando ho visto quel bastone devo essere svenuta, perché mi sono risvegliata tra le braccia di Salvatore. Pensavo di avere sognato, così l'ho abbracciato, come se niente fosse. Poi ho visto la lampada e il divano e la testa insanguinata. Mi sono messa a urlare, a tremare. Salvatore mi ha stretto forte, poi mi ha dato uno schiaffo. Mi ha fatto sedere e diceva: "adesso sistemiamo tutto, adesso sistemiamo tutto, è colpa mia, è colpa mia". Sembrava un pazzo anche lui. Si è infilato dietro un muro ed è tornato con una tanica che sembrava piena di benzina. Poi mi ha detto di mettere un po' d'ordine, ma io non capivo niente. Allora ha raddrizzato lui qualche poltrona, ha rimesso a posto due o tre cassetti, sollevato un tavolinetto e una lampada. Poi è tornato da me e mi ha preso le mani, dicendo che mi capiva, che mi voleva bene e che mi avrebbe difeso. Pensava che avessi ammazzato la sua amante, ha capito commissario? che fossi stata io a spaccarle la testa! lo ha sempre pensato e lo pensa ancora. Non crede a una parola di quello che gli dico, pensa che io sia sotto choc, o pazza completamente. Quando mi sono calmata mi ha chiesto se me la sentivo di guidare: gli ho risposto "non lo so" e lui ha detto "devi per forza". Ha preso quel pezzo di bastone orribile e la tanica, poi mi ha fatto cenno di uscire con lui. Sono salita in macchina e sono fuggita via. Non so quanto tempo è passato, né che ora era quando è tornato a casa: io ero in cucina e ancora tremavo. Mi ha preso per mano, poi in braccio, e mi ha messo a letto. Ho sentito che trafficava in cucina, forse mangiava qualcosa. È uscito che ero ancora sveglia.
- Quando l'ha rivisto?
- È tornato a casa alle tre e mezzo del pomeriggio del giorno dopo, ridotto da far pietà perché era stato tutta la notte e tutta la mattina a spegnere l'incendio che aveva ap­piccato lui stesso. Non si è neppure lavato: ha fatto i bagagli per me e per i bambini, ci ha caricati sulla Range Rover e ci ha portati fino alla stazione di Olbia, perché il pullman era già partito. Mi ha detto di andare al paese e di dimenticarmi tutto. Di pensare ai bambini. Poi mi ha dato un bacio e se n'è andato. Per favore, commissario, ci aiuti! non sono stata io, anche se Salvatore è convinto di sì. Ma non è stato neppure lui.
L'aiutai a calmarsi, le preparai una camomilla, che rifiutò. Le dissi di andarsene a casa e di dormire tranquilla perché avrei pensato a tutto io. Pregai Gavino di riaccompagnarla, ma quando furono sulla strada lo richiamai con una scusa e mentre Chiara lo aspettava camminando lenta­mente verso una Panda verde oliva, gli dissi:
- La storia sarà anche convincente, ma purtroppo non scagiona Salvatore: ha avuto comunque tutto il tempo per ammazzare la Rinaldi, poi si è ritrovato una moglie di troppo, al momento sbagliato e nel posto sbagliato: ha inventato una bella pantomima, destinata a lei che, come ha visto, in nessun tempo e in nessun caso lo sospetterà mai di omici­dio. Almeno lei.
- Molto diabolico, commissà, ma molto inutile e soprattutto molto impossibile, dato che Salvatore, dal pomeriggio dell'incendio, è stato sempre con me, prima in campagna e poi in caserma, fino a mezzanotte passata. Sul resto no, ma su questo posso proprio giurarci…  

4 commenti:

  1. accendilo tu su foggu che e spentu

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  2. Bello il video e anche il coup de théâtre.
    Cosa pubblicherai dopo il giallo?
    A me piacerebbe un romanzo storico

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  3. che periodo storico?
    ne ho molti nel cassetto

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  4. A scelta:
    Inghilterra XVIII-XIX sec. oppure Italia XVII sec.
    Cosa ci puoi proporre?

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