52. La moglie di Deidda era una bella donna, una tipica bellezza
dell'interno, con grandi occhi neri, zigomi alti sul viso
perfettamente ovale, il mento sfuggente. Era piccola di statura, ma
proporzionata, sebbene mani e piedi risultassero stranamente lunghi e
ossuti rispetto alla corporatura complessiva. Sotto lo scialle - che
una volta dentro, al sicuro, si tolse - era vestita in modo
indefinibile: gonna grigio chiaro e camicetta bianca senza tasche né
impunture. Soprattutto mi colpì l'anacronismo dell'orologino d'oro,
uno di quei modelli esclusivamente femminili, ormai fuori moda. Non
so perché ma provai una stretta, che probabilmente era pena.
- Si sieda, prego, - le dissi, dopo averla dirottata verso l'unica
stanza che ricordavo ordinata, la cucina. - Mi scusi se la faccio
accomodare qui, ma, sa come succede, le case degli scapoli non
sono mai del tutto presentabili... - Mi rifugiavo nelle frasi fatte
per darle il tempo di adattarsi e di trovare il coraggio di espormi
la sua storia: lo stava cercando, poverina, e lo potevo capire dal
silenzio ostinato e dai grandi occhi liquidi che erravano lungo gli
interstizi delle piastrelle. Fu Fadda a sollecitarla.
- Forza, Chiara, racconta al commissario quello che volevi dirgli.
Non c'è niente da temere, vero commissario?
- Non lo so, non posso promettere che sarò buono quando la mia bontà
è legata a quella degli altri. - Sorrisi, per far capire che
scherzavo, ma i miei interlocutori non erano in vena, quella sera. -
Coraggio, signora Chiara: non le ha detto Gavino che io sono un
poliziotto per modo di dire? Ha mai visto un poliziotto con un naso
spellato come il mio? - Guardò il mio naso e, finalmente, accennò a
una parvenza di sorriso. Le disgrazie altrui, pur minime, sollevano
sempre. Poi, tutto d'un fiato, come se sospirasse:
- Io ero lì. - E restò zitta, fissandomi negli occhi. Per dire la
verità: forse ero ancora mezzo addormentato, e probabilmente tutto
quell'ozio mi aveva intontito. Quale che fosse la causa, fino a quel
momento non mi aveva neppure sfiorato l'idea che quella visita
significasse qualcosa di veramente importante; pensavo alla normale
amministrazione della miseria di questi casi: mogli che chiedono cosa
sarà di loro, una parola buona col giudice, un permesso di visita
più lungo, un limite di peso più alto per i pacchi da portare in
carcere. Niente che io possa fare per loro, di solito, ma cerco di
trovare almeno una parola di incoraggiamento. Ero pronto a farlo
anche ora, quando misi a fuoco il significato di quella frase.
- Era lì dove?
- Nella villa, a Cala Veronese. - Di nuovo silenzio, forse pensava
che il mio lavoro consistesse nel domandare frase dopo frase.
- Signora, vorrei che riflettesse su quanto dice. Oppure che mi
spiegasse meglio: lei era presente, diciamo, alla morte della signora
Rinaldi, a villa "La Rotonda", la sera dell'incendio? Ho
capito bene? - Spostai la sedia, fino a trovarmi esattamente di
fronte a lei, per catturarne lo sguardo che aveva ripreso a
vagabondare.
- Ha capito bene.
- Dunque lei è una testimone oculare del delitto di... di suo... del
Deidda? In questo caso, signora, sono spiacente, ma credo che
potrebbe essere accusata di complicità, a meno che non riesca a
spiegarsi meglio. Insomma io vorrei capire se lei, in qualche modo, è
stata costretta...
- Chiara, malasorte, perché non dici quello che hai detto a me?! -
La brusca esortazione di Gavino sortì un qualche effetto: Chiara si
passò una mano sugli occhi e poi sul naso, una, due volte; poi riunì
anche l'altra mano e si coprì il viso per un secondo. Infine disse:
- Lei ha capito tutto tranne che una cosa: mio marito non ha ucciso
nessuno...
- Attenzione, signora Deidda: esiste una confessione che contraddice
quanto lei afferma. Se vuole continuare su questa linea, la avverto
che non potrò starla a sentire se non in presenza del sostituto
procuratore, in una sede ufficiale. Soprattutto se, come penso, vuole
confessare lei il delitto, per scagionare suo marito. Ha capito bene?
- Io non voglio confessare niente. Volevo solo dirle che mio marito
non ha ammazzato la signora.
- E lei come lo sa?
- Le ho detto che ero presente.
- Era presente a cosa, se non c'è stato delitto? E poi, se non c'è
stato delitto, mi dovete spiegare perché la signora Grisi era morta.
- Avevo alzato la voce: quel colloquio mi stava irritando.
- Aspetti, commissario, non si arrabbi. - Fadda mi appoggiò la sua
mano gigantesca sul polso. - Chiara, per favore, racconta tutta la
storia al commissario, così come l'hai detta a me, senza fare questa
scena assurda. Vedrai che se dici tutto poi ti senti meglio, e anche
il commissario sa cosa fare.
53. - Io lo sapevo che c'era un'altra donna. Salvatore adesso è un
uomo serio, ma quando eravamo giovani me ne ha fatte di cotte e di
crude e io lo vedo quando c'è qualcosa che non va. Me lo sentivo,
già prima che tia Maria, la moglie di Cosimo, me lo dicesse.
- Chi è Cosimo?
- L'avete interrogato: è quel vecchietto, il giardiniere. La moglie
è una vecchia pazza, che lo tiene ancora in casa la sera perché è
gelosa di lui e non fa altro che vedere corna dovunque, anche adesso
che ha ottant'anni. Anzi, adesso vede meglio quelle degli altri. Il
marito deve averle raccontato che Salvatore andava alla villa, che si
vedeva con quella milanese, mattina e sera, e anche la notte. Per lui
è facile: basta dire che c'è un'emergenza.
- E poi?
- Poi ho cominciato a controllarlo e... allora gli ho fatto una
scenata: io sono una donna molto gelosa, commissario, e sono
fidanzata con Salvatore da quando avevo quindici anni, dunque non
sono disposta a farmelo portare via. Lui prima ha negato, poi, quando
gli ho detto che sapevo tutto, anche i particolari e i nomi, si è
fatto serio e mi ha detto che lo sapeva, sì, certo ma che, questa
volta, non era certo di come sarebbe finita. "Te lo faccio
vedere io come finisce", gli ho urlato e me ne sono uscita di
casa. Questo la sera prima dell'incendio.
- E il giorno dopo?
- Il giorno dopo lui è uscito presto e non si è visto per tutta la
mattina, nemmeno a pranzo. Alle due si è ripresentato e non ha detto
una parola; si è cambiato la camicia ed è uscito di nuovo. Ero
fuori di me dalla rabbia, pensavo che andasse dalla signora. Ho
aspettato l'ora di cena, poi la notte: niente, non si è fatto vivo,
nemmeno per telefono. Alle undici ho portato i bambini da mia sorella
e poi, come una pazza, sono andata verso la villa di Cala Veronese.
- Quanto tempo ci ha messo? a che ora è arrivata?
- Almeno un'ora dopo. Di notte non guido mai e poi non conoscevo la
strada.
- A mezzanotte, dunque. Poi?
- Poi mi sono fatta coraggio e sono entrata nel giardino. Sono andata
verso il davanti, perché vedevo delle luci accese.
- In che senso "il davanti"?
- Dove c'era la vetrata, dalla parte del mare. Mi sono avvicinata ai
vetri, per spiare dentro. Non si sentiva niente, nessun rumore. C'era
una lampada da tavolo accesa, e basta. Poi ho visto la signora: stava
sdraiata sul divano e sembrava addormentata. Mi sono decisa: lì per
lì ho pensato di parlarle francamente, da donna a donna, così
ho bussato sui vetri, facendo un gran rumore, per svegliarla; ho
gridato "permesso, permesso", poi sono entrata da una delle
porte, perché erano tutte aperte. C'era un silenzio da far paura, ma
soprattutto era tutto in disordine: le poltrone rovesciate, le fodere
squarciate, i cassetti buttati per terra. "Signora", ho
chiamato, "signora". Poi ho visto la sua testa, illuminata
dalla lampada del tavolino. - Si interruppe e deglutì a vuoto. Aveva
gli occhi spalancati, come chi si sveglia nel sonno con un
incubo ancora nel cervello. Guardò prima Fadda, poi me: le feci un
gesto amichevole. - Aveva la testa insanguinata, qui sul lato destro,
una ferita enorme, tutti i capelli sporchi di sangue. Dio mio! -
Scoppiò in lacrime ma continuò il suo racconto, tra i singhiozzi. -
Per terra, vicino al divano, c'era un bastone, tutto sporco di sangue
e di capelli. Dio mio! Dio mio! - Coraggio, signora Deidda, si calmi. Gavino, per favore, versi un
po' di rum in quel bicchiere. Grazie. Beva un sorso di questo, le
farà bene.
- Grazie, commissario, non è nulla. - Sorseggiò appena il liquore e
rabbrividì. - Quando ho visto quel bastone devo essere svenuta,
perché mi sono risvegliata tra le braccia di Salvatore. Pensavo di
avere sognato, così l'ho abbracciato, come se niente fosse. Poi ho
visto la lampada e il divano e la testa insanguinata. Mi sono messa a
urlare, a tremare. Salvatore mi ha stretto forte, poi mi ha dato uno
schiaffo. Mi ha fatto sedere e diceva: "adesso sistemiamo tutto,
adesso sistemiamo tutto, è colpa mia, è colpa mia". Sembrava
un pazzo anche lui. Si è infilato dietro un muro ed è tornato con
una tanica che sembrava piena di benzina. Poi mi ha detto di mettere
un po' d'ordine, ma io non capivo niente. Allora ha raddrizzato lui
qualche poltrona, ha rimesso a posto due o tre cassetti, sollevato un
tavolinetto e una lampada. Poi è tornato da me e mi ha preso le
mani, dicendo che mi capiva, che mi voleva bene e che mi avrebbe
difeso. Pensava che avessi ammazzato la sua amante, ha capito
commissario? che fossi stata io a spaccarle la testa! lo ha sempre
pensato e lo pensa ancora. Non crede a una parola di quello che gli
dico, pensa che io sia sotto choc, o pazza completamente. Quando mi
sono calmata mi ha chiesto se me la sentivo di guidare: gli ho
risposto "non lo so" e lui ha detto "devi per forza".
Ha preso quel pezzo di bastone orribile e la tanica, poi mi ha fatto
cenno di uscire con lui. Sono salita in macchina e sono fuggita via.
Non so quanto tempo è passato, né che ora era quando è tornato a
casa: io ero in cucina e ancora tremavo. Mi ha preso per mano, poi in
braccio, e mi ha messo a letto. Ho sentito che trafficava in cucina,
forse mangiava qualcosa. È uscito che ero ancora sveglia.
- Quando l'ha rivisto?
- È tornato a casa alle tre e mezzo del pomeriggio del giorno dopo,
ridotto da far pietà perché era stato tutta la notte e tutta la
mattina a spegnere l'incendio che aveva appiccato lui stesso.
Non si è neppure lavato: ha fatto i bagagli per me e per i bambini,
ci ha caricati sulla Range Rover e ci ha portati fino alla stazione
di Olbia, perché il pullman era già partito. Mi ha detto di andare
al paese e di dimenticarmi tutto. Di pensare ai bambini. Poi mi ha
dato un bacio e se n'è andato. Per favore, commissario, ci aiuti!
non sono stata io, anche se Salvatore è convinto di sì. Ma non è
stato neppure lui.
L'aiutai a calmarsi, le preparai una camomilla, che rifiutò. Le
dissi di andarsene a casa e di dormire tranquilla perché avrei
pensato a tutto io. Pregai Gavino di riaccompagnarla, ma quando
furono sulla strada lo richiamai con una scusa e mentre Chiara lo
aspettava camminando lentamente verso una Panda verde oliva, gli
dissi:
- La storia sarà anche convincente, ma purtroppo non scagiona
Salvatore: ha avuto comunque tutto il tempo per ammazzare la Rinaldi,
poi si è ritrovato una moglie di troppo, al momento sbagliato e nel
posto sbagliato: ha inventato una bella pantomima, destinata a lei
che, come ha visto, in nessun tempo e in nessun caso lo sospetterà
mai di omicidio. Almeno lei.
accendilo tu su foggu che e spentu
RispondiEliminaBello il video e anche il coup de théâtre.
RispondiEliminaCosa pubblicherai dopo il giallo?
A me piacerebbe un romanzo storico
che periodo storico?
RispondiEliminane ho molti nel cassetto
A scelta:
RispondiEliminaInghilterra XVIII-XIX sec. oppure Italia XVII sec.
Cosa ci puoi proporre?