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domenica 10 giugno 2012

SU FOGU capitoli quarantanove cinquanta



49. Nei giorni seguenti tentai di parlare di nuovo con Salvatore. Volevo capire se, superato il momento dello scontro diretto, quando anch'io avevo trasceso il livello minimo di  comprensione umana, sarebbe riuscito a spiegarmi, e forse a spiegarsi, quello che era successo; con calma, serenamente, come in uno sfogo tra buoni conoscenti, se non fra amici. Fu inutile: andai a trovarlo, ci stringemmo la mano e restammo a guardarci per lunghi secondi. Quando iniziai a parlare, con il tono pacato che uso sempre ma che in questo caso era anche studiato, lui distolse lo sguardo e si mise a fissare il bordo del tavolo. Mi lasciò correre, con le mie ipotesi - ulteriori ipotesi, più dettagliate e stringenti di quelle esposte nello studio di Casula - non più sulle sue azioni, ma sui suoi sentimenti, che in quel momento, nella veste del giudice autoproclamato, mi sembravano altrettanto nitidi. Ma che, soprattutto, non mi riguardavano.
Fu proprio quanto, alla fine, mi fece notare Salvatore; senza livore, anzi quasi con cortesia, come chi vuol fare rilevare al suo interlocutore una piccola gaffe che imba­razza entrambi.
- Fontana, - mi disse, - lei ha avuto la cortesia di venire a trovarmi: non sciupi tutto con queste miserie.
- Speravo che avesse voglia di confidarsi e così sono venuto come amico e non come poliziotto. Proprio perché la stimo non riesco a spiegarmi come una persona come lei...
- La sua è solo curiosità, Fontana, curiosità non morbosa, ma in questo momento non c'è niente che mi irriti di più della curiosità. No, no, - con un gesto stanco interruppe la mia protesta - lo so che il suo interessamento è  amichevole, che magari potrebbe anche avere buone ripercussioni sulla mia sorte. Ma non voglio più parlare di tutto questo. Ha letto i giornali?
- Sì, purtroppo. Sa, noi abbiamo fatto del nostro meglio, ma il Sindaco ci teneva a prendere le distanze, a chiarire la posizione di "netta condanna da parte delle autorità per un gesto inspiegabilmente efferato oltre che nocivo per l'ordine pubblico". - Citai a braccio un brano saliente dell'intervista pubblicata su un giornale locale. Salvatore accennò a un sorriso.
- Come la peronospora.
- Come dice?
- "Nocivo". Nocivo come un parassita.
- Il nostro primo cittadino non brilla nella scelta degli aggettivi.
- Invece trovo calzante il paragone. Mi sento proprio nocivo. Nocivo e minuscolo come un insetto molesto.
Parlammo del più e del meno, ancora per qualche mi­nuto. Salvatore chiese notizie dell'ingegnere e anche di Marta. Mi confidò di sentirsi profondamente in colpa, nei loro riguardi. Gli spiegai che all'ingegnere probabilmente non importava molto della sorte della moglie e che forse per lui quella morte inaspettata rappresentava una liberazione, almeno stando a quanto mi aveva detto. Se n'era andato, era partito per Milano, e aveva messo in vendita la casa. Marta invece - era il mio turno di confidenze - ce l'aveva soltanto con me, che l'avevo sospettata ingiustamente, malgrado fra di noi si fosse instaurato un rapporto di amicizia. Salvatore scosse il capo e disse che non sarebbe mai riuscito a capire le donne. Poi mi ringraziò della visita e ci congedammo, ami­chevolmente.

50. Settembre. La sua luce tersa, di estate stanca ma di anno nuovo, stava ponendo seri interrogativi sull'attendibilità delle previsioni meteorologiche, che davano ancora per sicuri grande caldo e afa, su tutta la Sardegna. La gente. Erano spariti tutti, tranne qualche tedesco povero, da fuori stagione, che si godeva il paradiso terrestre per pochi marchi. Poi c'ero io, ufficialmente e praticamente in vacanza. Guardavo un cielo color cobalto attraverso i forellini del mio cappello di paglia; stavo steso sul dorso, nel centro geometrico di un semicerchio deserto di corallo sminuzzato, rosa e soffice, i piedi nel mare fresco, la schiena sulla sabbia calda. La paglietta mi copriva la faccia, nascondendo al sole, settembrino ma ancora pericoloso, il naso scottato e, al mondo, una vergognosa inerzia. La prua della mia barca, ancorata a terra e ormai quasi in secca, amplificava il flebile suono di risacca di onde impercettibili, tonfando e poi stronfiando sulla sabbia. Presi una bottiglietta di Campari dalla borsa frigorifera e me la imposi sul naso sofferente, procurandomi un ingannevole attimo di sollievo. Poi iniziai a bere, poggiato sul gomito sinistro, assorto nella contemplazione del movimento ritmico della cima dell'ancora che entrava e usciva dall'acqua, sempre nello stesso punto, tesa dal movimento oscillatorio della barca.
Quanto tempo era che me ne stavo cosi? Un'ora, due? Una settimana, un mese? Il tempo dilatato dall'ozio mi aveva confuso le idee. Dopo l'ultimo incontro con Salvatore non avevo fatto niente. Niente di niente. Una cena da Casula, va bene, ma avevamo parlato d'altro, perché la storia di Cala Veronese non piaceva a nessuno dei due. Poi ancora due giorni in ufficio, per sistemare i particolari, chiedere le ferie, lasciare istruzioni a Pirro. Istruzioni indiscutibili e immodificabili: non c'ero, ero fuori, lontano, irreperibile. Per tutti. Tranne che per casi particolarmente urgenti, per mia madre, per Giuseppe (che tanto sapeva dov'ero, cioè a casa la sera e in barca dalla mattina al pome­riggio). E per Marta, che comunque non aveva chiamato. A dire il vero non c'era stata nessuna chiamata, perché settembre è il mese dei pensieri, non delle azioni, e la Polizia non serve.
Ma sarebbe ingiusto dire che non avevo fatto proprio niente: avevo sbrogliato due lenze da traino, pulito la barca e la casa, preso un dentice nano o forse sottosviluppato e un'ombrina da un chilo. Avevo cucinato uova al bacon, patate fritte, spaghetti con le vongole, l'ombrina. E avevo rimesso in libertà il dentice nano. Letto tre libri, iniziato un quarto e abbandonato il quinto che mi annoiava. Dormito, pescato, fatto il bagno, veleggiato e pensato. A Marta, essenzialmente, e al caso di Cala Veronese, negli intervalli. È una strana sensazione sentirsi felici nel corpo e malinconici nello spirito, ma settembre è un bel mese, anche per questo. 

13 commenti:

  1. giusto una precisazione: i tedeschi non vanno in vacanza ad agosto come gli italiani, possono scegliere e settembre per loro l'Italia è meno congestionata e meno calda, quindi la frase "tranne qualche tedesco povero, da fuori stagione" andrebbe corretta.

    un rompiballe

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  2. ma anche mio fratello che è notoriamente francese
    va a settembre in sardegna

    enrico

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  3. Nella seconda ristampa lo correggo. Pilon

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  4. Che bella la libertà di espressione senza censura!

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  5. Che bella la libertà di poter scrivere quello che ci pare senza censura!

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  6. ... Mi sbagliavo, la censura viene ancora praticata, editore fascista...

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  7. lettore anoniimo
    sappiamo chi sei

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  8. Non importa, voglio rimanere anonimo lo stesso!

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  9. Il giallo mi è piaciuto molto, ma non so se mi piacerebbe un happy ending o piuttosto un eroe romantico tipo Rick Blaine (Humphrey Bogart).
    Ma é stato tratto un film dal libro? Non sarebbe male, Brad Pitt potrebbe interpretare Deidda.

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  10. Io vorrei Angelina Jolie per Marta Fresi.

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    1. Lo volevo dire io, ma ho lasciato l'onere della scelta ad un maschio ha ha ha ha

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  11. So che la Universal Picture ha preso contatti con il nostro editore per la cessione dei diritti. A me va bene.

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  12. Ancora una precisazione. Col termine comune di peronospora in agricoltura si indica genericamente una malattia delle piante causata da protisti appartenenti non solo al genere Peronospora, ma anche ad altri generi, sia della famiglia Peronosporacee che della famiglia Piziacee. La malattia rientra in generale nella categoria delle malattie trofiche in quanto causata da organismi parassiti che sottraggono risorse trofiche alla pianta ospite per mezzo di rapporti anatomici e fisiologici abbastanza stretti. L'eziologia si manifesta, in generale, con depigmentazioni a carico dei tessuti verdi, a cui seguono in genere necrosi più o meno estese. A carico dei frutti si instaurano processi degenerativi che si manifestano con necrosi o marciumi. L'esito degli attacchi di peronospora è spesso letale, soprattutto quando interessa le piante erbacee.

    P. Binco

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